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La danza del de-risking. Seul sempre più centrale nel distacco da Pechino

Semiconduttori e batterie sono pilastri dell’economia nazionale, ma anche le direttrici di una collaborazione sempre più stretta con i partner occidentali, evidenziata con chiarezza dall’aumento di investimenti diretti dall’estero. L’intento comune è contrastare il gigante cinese con supply chain (indo-pacifiche) alternative

Si è appena chiuso un anno brillante per la Corea del Sud, che nonostante gli scossoni politici – culminati nell’accoltellamento del leader dell’opposizione pochi giorni fa – e prospettive più moderate per la crescita del 2024 – il ministro dell’economia si aspetta un rallentamento della crescita, causa inflazione persistente – ha attirato un flusso record di investimenti diretti dall’estero; 18,8 miliardi di dollari, di cui 3 sono stati assorbiti dal settore tecnologico. Anche gli impegni per gli investimenti esteri diretti in Corea del Sud hanno raggiunto la cifra record di 32,7 miliardi di dollari (più 7,5% dal 2022), segno che la loro crescita è destinata a continuare, rileva Bloomberg.

Ci sono diversi motivi per cui l’industria coreana è vista sempre più favorevolmente dagli investitori del resto del mondo come una pedina su cui scommettere nel quadrante asiatico. E vanno anche oltre l’iper-strategica supply chain dei semiconduttori, in cui Seul gioca un ruolo da protagonista e dove titani come Samsung e SK Hynix fungono da pilastri per l’intera economia del Paese. Le esportazioni di smartphone e computer hanno sofferto negli ultimi mesi, scendendo dai picchi del periodo pandemico anche per via degli effetti delle policrisi, ma si tratta di un’industria ciclica – e gli investitori sono fiduciosi riguardo al suo futuro.

L’altra grande scommessa della Corea del Sud sono le batterie, settore in cui il titano cinese esercita un controllo soffocante lungo l’intera filiera, dalle materie prime alla tecnologia di punta. Ma nell’ottica del de-risking occidentale, c’è ampio spazio per proporsi come fornitore alternativo. E consolidare la posizione del Paese nel segmento delle batterie è una priorità strategica per il governo, che a dicembre ha varato un pacchetto di sussidi da 29 miliardi di dollari in 5 anni per sostenere l’industria nazionale.

Il convitato di pietra qui sono gli Stati Uniti e le provvigioni dell’Inflation Reduction Act (Ira), che prevedono limiti sempre più rigidi per l’origine di batterie e materiali – in maniera da favorire i fornitori affidabili – in cambio di sussidi per il loro acquisto. Il tango tra Seul e Washington si gioca anche attraverso le joint venture: negli States il gruppo coreano LG Energy Solutions (che assieme a Samsung SDI e SK Innovation controlla circa un quarto del mercato globale delle batterie) sta costruendo o espandendo sette siti produttivi con partner come General Motors, Stellantis e Honda. L’Europa è il secondo mercato di destinazione degli investimenti coreani, con Ungheria e Polonia in testa per nuove gigafactory.

Tutto questo avviene sullo sfondo del processo di de-risking occidentale nei confronti della Cina, che ha già dimostrato di poter usare l’accesso a batterie e materiali come leva geopolitica. E serrando i ranghi con i partner occidentali, Seul manda avanti un esercizio parallelo nei confronti di Pechino, reso più complesso dalla strettissima interconnessione tra le due economie asiatiche ma facilitato dalla sponda con Tokyo – consolidata dagli accordi di Camp David della scorsa estate, patrocinati di Joe Biden.

Come ha spiegato Wonho Yeonresearch fellow e capo della squadra di sicurezza economica dell’Istituto coreano per la politica economica internazionale (Kiep) – a un panel tenuto da The Diplomat, l’approccio coreano al de-risking dalla Cina è abbastanza simile a quello europeo, basato sulla diversificazione e adottato anche dalla Casa Bianca al posto del più rigido decoupling. Si basa anzitutto sul potenziamento della resilienza delle supply chain, amplificato da sistemi di allerta rapida, ambito in cui Seul primeggia a livello globale avendo già affrontato il taglio improvviso di importazioni da Giappone e Cina negli ultimi anni.

Il secondo elemento, ha puntualizzato l’esperto, è l’utilizzo dell’Indo-Pacific Economic Framework (Ipef), la piattaforma varata nel 2022 dall’amministrazione Biden per rinsaldare i legami tra gli alleati della regione attraverso un nuovo approccio al commercio. In questa cornice, ma anche a Camp David, ha detto Wonho, si è molto discusso di resilienza e supply chain – termini che indicano per vie traverse il de-risking dal titano cinese. Spinta che per Seul, trovatasi quest’anno per la prima volta dal 1992 in deficit commerciale con Pechino, sta diventando sempre più vitale. Anche perché ci sono segnali del fatto che la stessa Cina stia lavorando per ridurre la propria esposizione verso la Corea del Sud, ha concluso.

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