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Il rischio concreto dell’occupazione politica nella Pa. L’opinione di Tivelli

Pochi dei troppo pochi che si dedicano alla materia dell’amministrazione tengono conto della questione del rapporto fra amministrazione e cittadini, o imprese, o operatori. L’opinione di Luigi Tivelli sul Dpcm riguardante la Pubblica amministrazione

Credo di conoscere abbastanza la materia e le questioni della Pubblica amministrazione e dell’alta amministrazione per averla praticata, studiata e insegnata a lungo.

Il professor Sabino Cassese ha scoperchiato dalle colonne del Corriere della Sera nei giorni scorsi una pentola ricca di ingredienti pericolosi che si è messa sul fuoco di una Pubblica amministrazione che di tutto aveva bisogno, alla luce dei problemi che già presenta (ad esempio, anche in relazione all’attuazione del Pnrr) tranne che di ciò. L’introduzione del sistema delle spoglie “a tappeto”, fino alla dirigenza di seconda fascia, operata con un recente (e passato quasi sotto silenzio) Dpcm del governo, può essere una sorta di colpo di grazia per la nostra Pa.

Ho detto non correttamente “introduzione”, perché a dire il vero la prima introduzione di un modello del genere avvenne nella seconda metà degli anni Novanta, durante il governo Prodi, ad opera del ministro della Funzione pubblica di allora Franco Bassanini.

Poi man mano, per fortuna, la cosa è stata attuata solo in parte e a puntate, come in una sorta di giallo dell’horror dell’amministrazione pubblica.

Con l’occupazione politica della Pa, coloro che vi saranno infilati potranno fare non pochi danni. E così, lo spoils system all’italiana, secondo cui, appunto, i nuovi nominati si aggiungono ai precedenti titolari degli incarichi, che perdono gli incarichi ma restano nella carriera, si realizzerà a tappeto.

Il centrosinistra di allora, nell’introdurre malamente questa sorta di regole, scopiazzava un po’ dal modello americano. Ma a dire il vero negli Stati Uniti non solo ciò è più plausibile perché siamo in presenza di un sistema presidenzialista, ma ogni volta che un nuovo presidente entra in carica migliaia di posizioni dirigenziali nell’amministrazione e nelle agenzie federali vengono sostituite, a differenza che in Italia.

Le questioni che insorgono, a questo punto, non sono poche. La prima è quella che Giuseppe De Rita evoca con profondità e chiarezza in un mio recente libro (“I segreti del potere, Le voci del silenzio” – Rai Libri).

Secondo il grande sociologo italiano, infatti, le amministrazioni e quelle che lui definisce “oligarchie” che in esse operano, hanno bisogno di continuità, e possono vivere ed evolvere solo nella continuità.

Se riflettiamo, in fondo è grazie a ciò che abbiamo avuto le grandi personalità dell’amministrazione italiana: da Pasquale Saraceno, andando indietro nel tempo o ai direttori generali dell’epoca cavouriana e giolittiana se vogliamo andare ancora più indietro, oppure a personalità della seconda parte della storia della Repubblica come Antonio Maccanico, Corrado Calabrò, Andrea Monorchio, Antonio Catricalà, Carlo Malinconico e anche altre figure di civil servant o alti dirigenti pubblici che hanno potuto esprimersi, anche man mano che si succedevano governi di diversa caratteristica e colore, appunto come “Agenti della continuità” dell’alta amministrazione e dell’amministrazione stessa.

Ma, come poi ricorda al meglio Cassese, che fine fa a questo punto l’articolo 97 della Costituzione, che sancisce il “Buon andamento e l’imparzialità” dell’amministrazione?

E poi, i troppi alti e medi dirigenti che verrebbero aggiunti assumerebbero un po’ la casacca del ministro o del sottosegretario di turno o del loro partito di riferimento, con un vulnus pericolosissimo, all’articolo 98 della Costituzione, secondo cui “I pubblici impiegati sono al servizio della nazione”.

Pochi dei troppo pochi che si dedicano alla materia dell’amministrazione tengono conto della questione del rapporto fra amministrazione e cittadini, o imprese, o operatori.

Che succederà? Forse che, per l’appunto, il cittadino o l’operatore che dovranno dialogare con l’amministrazione si troveranno persone con la casacca azzurra della “nazionale” o con la casacca “diversamente colorata” di partito? Spesso ho riscontrato che da troppo tempo in Italia i veri partiti trasversali che dominano la scena sono diversi dai partiti ufficiali.

Sono ancora non poco diffuse, purtroppo, le schiere del Pnf, che per fortuna non è il partito nazionale fascista, ma il partito nazionale dei favori, dove per “favore” si intende dalla piccola raccomandazione fino alle influenze illecite e alla corruzione. Ovviamente, se viene meno in modo così significativo l’imparzialità della Pubblica amministrazione, le schiere di questo pericoloso partito trasversale, che distingue l’Italia rispetto ad altre grandi democrazie europee, si rimpolperanno ulteriormente, con pericolosi effetti sul sistema del vivere associato.

Stupisce non poco che sia la destra a condurre questa operazione, una destra che evidentemente non conosce i classici fondamentali della destra storica, a cominciare da quelli di Marco Minghetti e Silvio Spaventa, che già nella seconda metà dell’800 illustravano al meglio il significato e l’importanza del “principio dell’imparzialità dell’amministrazione”. Se questa era la prova di sé che dava la destra storica, l’attuale “destra geografica” sembra dare, purtroppo in questo caso troppo poco illuminato sin qui dalla pubblica opinione, una prova opposta.



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