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Blitz israeliano a Rafah. Cosa (non) cambia con la liberazione dei due ostaggi di Hamas

Mentre i quattro leader dell’intelligence di Egitto, Qatar, Usa e Israele muovono la diplomazia, le Idf annunciano la liberazione di due ostaggi da Rafah, dove presto Netanyahu potrebbe dirigere l’invasione contro Hamas, col rischio di indispettire Washington, Cairo, Riad e Abu Dhabi

Questa notte le forze armate israeliane (Idf) hanno comunicato di aver liberato due ostaggi a Rafah, la città del sud della Striscia di Gaza che Israele potrebbe invadere nel giro di poco tempo, andando a toccare altri equilibri complessi con la regione e con Washington, complicando ulteriormente la situazione. I due ostaggi sono stati riportati alla luce da un’operazione tattica di Idf, unità speciali della polizia e Shabak, e fanno parte degli oltre duecento rapiti da Hamas durante il sanguinoso attacco che il 7 ottobre ha dato il via alla stagione di guerra. La liberazione dei due ostaggi arriva in un momento complicato per Israele e pare dimostrare la necessità dell’operazione all’estremo sud della Striscia — dove, secondo l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu, si sono annidati “quattro battaglioni” di Hamas e senza distruggerli non è possibile arrivare al risultato finale di sconfiggere l’organizzazione terroristica.

Poco prima del comunicato sulla liberazione dei due, Netanyahu ha avuto una conversazione con Joe Biden, il quale gli avrebbe detto che “un’operazione militare a Rafah non dovrebbe procedere senza un piano credibile ed eseguibile per garantire la sicurezza e il sostegno a oltre un milione di persone che vi si rifugiano”, secondo quanto passato dalla Casa Bianca ai giornalisti. “Queste continue fughe di notizie da parte della Casa Bianca si stanno trasformando in una sorta di paradosso di Zeno in cui Biden si avvicina sempre più a una rottura con Netanyahu (qualunque cosa significhi) ma non raggiunge mai effettivamente la rottura”, commenta Gregg Carlstrom, esperto di Medio Oriente dell’Economist. Nei giorni scorsi, sempre sulla stessa linea, il Washington Post aveva pubblicato informazioni su un briefing a porte chiuse in cui, la scorsa settimana, i funzionari dell’intelligence statunitense hanno avvertito i legislatori che, sebbene Israele abbia ridotto le capacità militari di Hamas, non è vicino all’eliminazione del gruppo. Questo dopo più di oltre quattro mesi dall’inizio della guerra, e mentre l’ufficio del primo ministro ha fatto pressioni sui membri del gabinetto del Likud (il partito dei Netanyahu) affinché si pronunciassero pubblicamente contro la proposta di accordo sugli ostaggi mediata a Parigi. Secondo Haaretz, si sta preparando l’opinione pubblica alla necessità di rinunciare all’idea di riportare a casa gli ostaggi, in nome di una vittoria finale.

Israele potrebbe sfruttare opportunità come quella dei due ostaggi di Rafah, mentre ne restano oltre cento in mano ai terroristi. Questo coincide con le indiscrezioni che arrivano dagli Stati Uniti, con i funzionari della Casa Bianca che sarebbero giunti alla conclusione che Netanyahu è concentrato sulla propria sopravvivenza politica escludendo qualsiasi altro obiettivo, ed è ansioso di posizionarsi per contrastare la spinta di Biden per una soluzione a due Stati. A che prezzo però? L’operazione a Rafah, sebbene potrebbe avere un senso tattico, potrebbe significare l’avvio di una retorica pubblica esplicita sulla rottura con l’amministrazione Biden (che deve gestire anche i malumori tra leadership ed elettori democratici, aspetto non di poco conto se si considera Usa2024).

Inoltre, l’Egitto ha minacciato di uscire dagli accordi di pace con Israele se l’offensiva su Gaza provocherà l’esodo dei palestinesi (che si sono rifugiati attorno alla città fuggendo dalla guerra nel nord) sul proprio territorio; gli Emirati Arabi Uniti, Paese alleato di Israele, ha messo severamente in guardia sui rischi umanitari (e geopolitici) dell’invasione di Rafah; l’Arabia Saudita, Paese la cui normalizzazione con Israele avrebbe un valore strategico cruciale per l’Indo Mediterraneo, avverte delle gravissime ripercussioni dell’assalto e del targeting contro la città. Tutto mente i capi delle intelligence di Egitto, Stati Uniti, Qatar e Israele tornano a vedersi nel formato a quattro che ha già prodotto in passato pause diplomatiche al conflitto.

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