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Meloni o Thatcher? I nodi del passaggio dal sovranismo al conservatorismo secondo Tivelli

Per arrivare a una destra conservatrice occorre fare alcuni passaggi, prima di tutto culturali. Spero che a Meloni non mancherà il coraggio di trovare un solido ancoraggio ideale, di cercare e trovare un pantheon culturale e politico di riferimento, di superare man mano il troppo diffuso statalismo, e di scoprire l’importanza del valore e del fattore della concorrenza, inseparabile da quello del merito (non ci può essere, infatti realmente l’uno senza l’altra). Nel nome della Thatcher. La riflessione di Tivelli

Conservatori o sovranisti? Quale è il tasso di conservatorismo e il tasso di sovranismo della destra al potere? È una questione che si agita come un fiume carsico che a volte riemerge, sia in Europa che in Italia. Ma in questo caso ci concentreremo sull’Italia. Il quesito è semplice: riuscirà e potrà Giorgia Meloni evolvere ancora, come per certi versi sta cercando di fare, verso una vera e sana posizione conservatrice?
La risposta è più complessa di quanto qualcuno possa credere. Se si pensa alla politica corrente i primi accenni di risposta al quesito stanno nel fatto che per un verso Giorgia Meloni ha un po’ una palla al piede nel suo partito, in cui i rigurgiti sovranisti più di qualche volta riemergono. Per altro verso c’è il ruolo del compagno di cordata di governo Salvini, che ovviamente anche in chiave elettorale, tende a sposare il più possibile specie da varie settimane, posizioni sovraniste e populiste.
Attuando giochi di scavalcamento per molti aspetti e su molti piani, rispetto a Fratelli d’Italia. Ma questo è un antefatto già conosciuto dai lettori, che attiene alla normale politics del nostro Paese, e che spesso assume la veste di politica politicante corrente. C’è infatti un’altra questione da ben pochi considerata che grava sul nostro ceto politico (sia all’opposizione che al Governo).
Quel “presentismo” degenerato in quello che amo chiamare “oggicrazia”, che pesa più della nebbia intorno al delta del Po sulla nostra vita politica. Una condizione per cui manca il senso della storia e in cui non si capisce a che boe della loro storia sono agganciati o a quali riferimenti ideali guardano leader, semi leader e politici (ammesso che ne abbiano…). La Thatcher, ad esempio, era sanamente in linea di successione, seppur con la sua autonomia e originalità, con la storia del conservatorismo inglese. Per la Meloni non è facile capire invece in quale linea di successione si voglia inserire.
Ad esempio Gianfranco Fini, fondando a Fiuggi Alleanza Nazionale, aveva tra gli altri soprattutto un ideologo di matrice sanamente conservatrice come Domenico Fisichella (fra l’altro a lungo editorialista di punta de Il Tempo). Il quale aveva bevuto il latte della migliore scuola italiana di scienza politica, da Maranini a Sartori passando per Spadolini. Allora allocata alla sua facoltà di scienze politiche Cesare Alfieri di Firenze. Sembra invece purtroppo che la Meloni non disponga del Fisichella di turno, né sembra capace di fare quello che con grande abilità e intelligenza riusciva man mano a fare il pur ottimo Walter Veltroni, che di tanto in tanto modificava il suo pantheon ideale fino a riuscire a far dimenticare di essere stato un fior di comunista.
Quale è invece il pantheon di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia? La prima sensazione è che la Meloni sia decisamente un passo avanti rispetto alla media del suo partito, anche perché è riuscita per buona parte ad affrancarsi da troppe pulsioni sovraniste. Eppure in Italia un filone conservatore c’è stato eccome. Un filone che nasce col Risorgimento con Minghetti, con i fratelli Spaventa e con quella che è stata la più sana Destra Storica. Ma poi ci sono dei filoni nel Novecento, che rappresentano dei precedenti significativi di cultura conservatrice in Italia e in Europa.
Come il movimento Strapaese, o il largo gruppo di intellettuali che ruotavano attorno a La Voce, che annoveravano personalità come Longanesi, Maccari, Papini, anche in collegamento con la figura di Giuseppe Prezzolini. Non so quanto la destra al potere conosca poi, visto che i migliori conservatori negli altri paesi hanno anche un impronta liberale, il pensiero di Benedetto Croce, da confrontare magari con quello di Giovanni Gentile. Senza un aggancio storico, senza la definizione di un pantheon ideale basato sui vari filoni italiani del conservatorismo, la transustanziazione della Meloni in una sorta di Thatcher italiana è più complessa.
Venendo ai programmi e ai contenuti della politica, la Thatcher praticava poi sane politiche liberiste, mentre l’impronta di Fratelli d’Italia è più statalista o di destra sociale se vogliamo pensare agli aspetti economici. In sintesi una destra con una sana impronta conservatrice, meglio se dotata anche di un po’ di sani semi di liberalismo, ancora deve profilarsi. Ad esempio la Thatcher era molto legata al concetto e alla pratica della concorrenza. Da noi quando si deve affrontare la questione della concorrenza si pensa quasi solo alla tutela dei balneari o dei taxisti.
Non certo che quanto a concorrenza la sinistra abbia fatto di meglio… Ma questa è anche la cartina di tornasole di quella impronta paracorporativa che privilegia clan, gilde, corporazioni, ordini professionali chiusi, che pesa non poco su quella che dovrebbe essere una sana impronta conservatrice. Forse questa impronta corporativa è il vero lascito del fascismo alla Repubblica. Il vero “pericolo” che grava sulla dinamica economico-sociale del Paese, mentre non vedo assolutamente un rischio fascista.
Sono nato nel Polesine, terra di Giacomo Matteotti, e sono di sana formazione e cultura antifascista (e il mio pantheon ideale, che si aggancia a Mazzini e Cattaneo e da lì poi si sviluppa ed è diverso da quello della presidente Meloni, non lo ho mai cambiato, ma non è il mio pantheon quello che conta) ma sono assolutamente convinto che non esiste nessun pericolo di ritorno, in qualche modo, fascista. E credo che agitare lo spettro di rischi di ritorni del fascismo sia solo un idola fori di certa sinistra.
C’è poi un punto non poco determinate. O l’Italia rimane saldamente agganciata al carro europeo o rischia di diventare un’Italietta provinciale. Non mi pare, ad esempio, infatti che abbia giovato o giovi molto la “sindrome del Mes”. Un trattato, approvato da tutti gli altri paesi europei… Per fortuna a Giorgia Meloni, sempre un passo avanti rispetto al suo partito, il coraggio non manca certamente. E soprattutto credo e spero che non le mancherà il coraggio di trovare un solido (scusate il bisticcio) ancoraggio ideale, di cercare e trovare un pantheon culturale e politico di riferimento, di superare man mano il troppo diffuso statalismo, e di scoprire l’importanza del valore e del fattore della concorrenza, inseparabile da quello del merito (non ci può essere, infatti realmente l’uno senza l’altra).
Quest’ultimo da lei rilanciato fin dal discorso di presentazione del governo alle Camere. Un fattore e un valore che la sinistra aveva completamente dimenticato e aggirato. In questo modo la Meloni potrebbe riscoprire ed agganciarsi ad una cultura sanamente conservatrice, sì patriottica, ma per cui le patrie devono essere due (l’Italia e l’Europa), contribuendo al superamento del troppo diffuso presentismo.


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