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I tre scenari di guerra a cui si prepara l’Ue. L’analisi di Secci

Di Danilo Secci

La settimana appena trascorsa è stata ricca di fatti e dichiarazioni politiche di assoluto rilievo. Dal Consiglio europeo la richiesta di proteggere la popolazione dalle minacce della guerra. L’analisi di Danilo Secci, responsabile dell’Osservatorio difesa e sicurezza dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, ed esperto di politica nucleare russa

A margine del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo scorso, è stato pubblicato un documento conclusivo con importanti indicazioni sulla preparazione e risposta alle situazioni di crisi. L’atto richiama l’esistenza di minacce correnti alla sicurezza europea, per affrontare le quali si ritiene necessario preparare anche la popolazione civile. Sebbene, nell’apposito punto (n.44, sezione VIII), non venga citata la parola “guerra” e non vi sia alcun riferimento agli attacchi in Ucraina, è ragionevole pensare che le motivazioni che hanno spinto i capi di Stato e di Governo dell’Unione europea a chiedere la predisposizione di piani per la difesa dei cittadini siano legate a una possibile escalation militare nel conflitto tra Mosca e Kyiv. D’altronde, gran parte del documento è incentrato sulla crisi in Ucraina e conseguenti ripercussioni sui piani della difesa e sicurezza europea.

La settimana appena trascorsa è stata ricca di fatti e dichiarazioni politiche di assoluto rilievo. Lunedì 18 marzo sono arrivati i dati definitivi sull’esito delle elezioni presidenziali russe. Come prevedibile, con una percentuale di preferenze pari all’87% dei voti espressi, Vladimir Putin è stato riconfermato alla guida del Paese. Il dato potrebbe essere interpretato dal presidente come un segnale di approvazione popolare della politica estera e militare del Cremlino. Ma, anche, come una sorta di mandato per continuare ed, eventualmente, incrementare lo sforzo bellico su un conflitto che, ormai, potrebbe non limitarsi più alla sola Ucraina.

Non a caso, mercoledì 20 marzo, l’Institute for the Study of War, autorevole think tank americano specializzato in tematiche militari, ha pubblicato un rapporto in base al quale diversi indicatori economici e finanziari suggeriscono che la Russia si stia preparando a un conflitto su vasta scala con la Nato. Da tempo si sostiene che la Federazione Russa abbia convertito la propria economia a uno stato – ancora parziale – di guerra. Ma ciò che colpisce nelle valutazioni del centro studi americano è che, rispetto alle previsioni, la preparazione economica e industriale della Russia a uno scenario di guerra totale in Europa è superiore alle aspettative. Di conseguenza, il cuscinetto temporale che ci separa dal conflitto diretto con Mosca è più ristretto di quanto previsto sinora.

Giovedì 21 marzo ha poi avuto inizio il Consiglio europeo, focalizzato sulle iniziative di difesa e sicurezza del continente. Proprio nella notte tra giovedì e venerdì, Putin ha ordinato il più massiccio attacco aereo e missilistico contro le infrastrutture energetiche dell’Ucraina da inizio guerra. Tra gli obiettivi la diga sul fiume Dnepr, la cui centrale idroelettrica, nei pressi di Zaporizia, è a sua volta collegata al sistema elettrico della vicina centrale nucleare.

Gli attacchi aerei su vasta scala si sono poi ripetuti nella notte tra sabato e domenica, con bombardamenti finanche nella provincia di Leopoli. Durante uno di questi raid, un missile cruise russo ha attraversato i cieli della Polonia, Paese membro della Nato, salvo poi rientrare nello spazio aereo ucraino e colpire il suo obiettivo. Trattandosi di dispositivi altamente sofisticati, la cui rotta viene tracciata e seguita con una precisione dell’ordine di metri, è difficile pensare che lo sconfinamento sui cieli polacchi sia avvenuto per errore e non, invece, per pura e sfrontata provocazione.

Nel mezzo di tutto ciò, poi, c’è stato l’attentato di venerdì sera alla sala concerti di Mosca (Crocus Music Hall), una strage costata la vita a quasi 140 persone, per la quale, nonostante le rivendicazioni dell’ISIS, sin dalle prime ore dell’accaduto, il Cremlino ha voluto collegare a una presunta pista ucraina. Lo stesso Putin, in un videomessaggio trasmesso sabato pomeriggio, ha parlato dell’esistenza di una via di fuga al confine con l’Ucraina, verso la quale, a suo dire, sembrerebbe si stessero dirigendo gli attentatori.

Con queste premesse, è ragionevole ipotizzare una prossima escalation militare da parte del Cremlino. Cadute le linee di difesa nei sobborghi di Bakhmut e Avdijvka, con un esercito ucraino indebolito dalla carenza di uomini ed equipaggiamenti, le possibilità di avanzamenti russi sul fronte sono aumentate. In un prossimo futuro, è possibile che i russi riescano a completare la conquista di almeno tre delle quattro regioni (oblast) continentali ucraine che già rivendicano. Il riferimento è ai territori del Lugansk (conquista quasi completata), del Donetsk e di Zaporizia (per entrambi, oltre metà del territorio già in mano russa). Il quarto oblast, quello di Kherson, sarebbe da escludere: la presa completa implicherebbe l’attraversamento del Dnepr, una manovra complessa e assai dispendiosa in termini di truppe e mezzi.

Questo lo scenario possibile nel breve periodo (12-24 mesi). Su un orizzonte temporale più ampio (3-5 anni), probabilmente lo stesso preso in esame dal Consiglio europeo e dall’Institute for the Study of War, sembrerebbe delinearsi un quadro più tragico di quello descritto sinora. Le ipotesi da considerare (a premessa delle quali vi sarebbe un organico delle forze armate russe molto più ampio di quello attuale, frutto di un’ulteriore mobilitazione dei riservisti), ordinate su un criterio di consequenzialità temporale e possibilità di realizzazione, sono almeno tre. Tutte, tra le tante variabili che potranno verificarsi nel corso del tempo, saranno certamente influenzate, oltre che dai rapporti di forza sul campo, anche dagli equilibri politici che andranno a delinearsi tra Washington, Bruxelles, Kyiv e Mosca.

La prima è quella della presa di Odessa. Con la città costiera in mani russe, Kyiv non avrebbe più sbocco al mare, perdendo l’asset geopolitico più importante del Paese. Non solo: Mosca acquisirebbe il controllo su quasi tutto il mercato del grano ucraino, beneficiando dei proventi derivanti dalla sua vendita, e di una maggiore (e migliore) posizione nel mercato mondiale dei cereali, con inevitabili ripercussioni sui flussi di esportazione e, soprattutto, sui prezzi. Diversi Paesi europei, tra i quali il nostro, sono importatori di grano ucraino e un’eventuale azione russa su Odessa avrebbe delle conseguenze sulla sicurezza alimentare ed economico-sociale (aumento generale del prezzo dei generi alimentari) di non poco conto. Tanta è l’importanza di Odessa che, da un punto di vista geopolitico, la sua caduta potrebbe persino determinare, in una sorta di effetto domino, la capitolazione della capitale Kyiv.

Le conseguenze di un’azione di questo tipo si estenderebbero ben oltre l’Ucraina: nei primi mesi del conflitto, il Cremlino fece di tutto per mantenere il controllo sull’Isola dei Serpenti, piccolo avamposto terrestre sul Mar Nero di fronte al delta del Danubio. È chiaro che una conquista russa dell’intera regione di Odessa (confinante, tra l’altro, con la Romania) e dell’Isola dei Serpenti, implicherebbe, inevitabilmente, un’influenza/minaccia russa alla sicurezza dei traffici danubiani che passano per il Mar Nero.

A rimarcare il valore geopolitico della città ucraina vi sono le recenti dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron: in un ipotetico scenario di coinvolgimento diretto di Parigi nel conflitto tra Mosca e Kyiv, l’Eliseo sarebbe disposto a schierare un contingente militare proprio a Odessa.

La seconda ipotesi, che è in forte congiunzione con la prima, fa perno su una possibile estensione del teatro delle operazioni russe alla Moldavia. Quest’ultimo Paese confina con l’Ucraina e al suo interno, nella piccola regione separatista della Transnistria, è presente una guarnigione di circa 1500 soldati russi. Nonostante accordi e partnership con Bruxelles, la Repubblica di Moldavia non fa parte dell’Unione europea né della Nato: un’eventuale azione militare di Mosca, limitata anche solo al congiungimento territoriale con la Transnistria, non comporterebbe alcuna risposta automatica e diretta dell’Alleanza Atlantica. Ma gli effetti destabilizzanti di uno scenario di questo tipo sarebbero notevoli. Innanzitutto, segnalerebbe la volontà della leadership russa di espandere le proprie mire geopolitiche oltre l’Ucraina, creando un precedente che metterebbe in allarme tutti gli Stati ex sovietici, soprattutto quelli del Caucaso Meridionale e dell’Asia Centrale, non coperti dall’ombrello difensivo della Nato. Inoltre, si avrebbe un ulteriore avvicinamento di Mosca alle importanti installazioni militari americane e della Nato presenti in Romania, tra cui la base per la difesa missilistica di Deveselu e le due basi aeree di Câmpia Turzii e di Mihail Kogãlniceanu.

Ultima ipotesi, che riprende lo scenario più improbabile e lontano da un punto di vista temporale, è quella di un attacco russo a uno o più Paesi della Nato. Visto il passato negli imperi zarista e sovietico, e l’attuale presenza di minoranze russe, il contesto è quello di un intervento sui Baltici: Estonia, Lettonia e Lituania. L’interesse del Cremlino non sarebbe solo di tipo storico ma anche geopolitico: un’azione di quel tipo permetterebbe il congiungimento territoriale con l’exclave russa di Kaliningrad e darebbe a Mosca un maggior respiro strategico sul Baltico, bacino che, dopo l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica, è diventato – escludendo il Golfo della Luga – uno specchio d’acqua Nato. In uno scenario di questo tipo verrebbe attivato l’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico, con conseguente impegno militare diretto degli Stati membri. Il contesto sarebbe quello di una guerra totale, con il possibile impiego di armi nucleari. L’ipotesi – è doveroso ribadirlo – è assai improbabile, ma, comunque possibile.

Probabilmente, è in vista di questi (o simil) scenari che il Consiglio europeo ha richiesto la preparazione e messa in sicurezza della popolazione civile. Nel testo, si parla di “approccio multirischio”. Le conseguenze di un’escalation militare in Europa potrebbero essere diverse, così come gli obiettivi da salvaguardare: stabilità politica e sociale; garanzia degli approvvigionamenti energetici, alimentari e farmaceutici; sicurezza e continuità delle telecomunicazioni; equilibrio strategico-militare.

Le modalità di coinvolgimento, responsabilizzazione e protezione dei cittadini potrebbero essere varie e commisurate agli scenari di rischio incombenti. Si potrebbe pensare alla diffusione di opuscoli con buone pratiche da adottare in situazioni di crisi; all’ampliamento delle capacità di stoccaggio di carburanti, generi alimentari e medicinali; al potenziamento degli organici e delle strutture esistenti di Protezione e Difesa Civile; finanche, all’adozione di un piano per il recupero e la costruzione ex-novo di rifugi, in luoghi pubblici e nelle abitazioni private.

Non si tratta certamente di obiettivi che si possono raggiungere in tempi brevi e a costi esigui. Ma occorre garantire un livello minimo di protezione della popolazione, necessario a ridurre la vulnerabilità tanto alle minacce di escalation (guerra psicologica) quanto alle condizioni che si verrebbero a creare nell’ipotesi più remota di una guerra totale sul suolo europeo.

La sicurezza, le cui fondamenta devono essere posate in tempo di pace, garantisce la stabilità dei governi e le condizioni migliori affinché si sviluppi, privo di interferenze, il processo legislativo e decisionale delle nostre democrazie. Pertanto, anche nelle forme della partecipazione e responsabilizzazione popolare, come giustamente espresso dal Consiglio europeo, merita di essere difesa e promossa.

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