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Inutile e controproducente. L’approccio militare al nucleare di Teheran visto da Azodi

Il professore della George Washington University denota in un articolo pubblicato da Foreign Policy come la soluzione militare al programma nucleare iraniano non solo sia inefficace, ma anche pericolosa. Evidenziando il ruolo giocato dalle “minacce percepite” nel suo sviluppo

L’attacco missilistico israeliano diretto verso l’ambasciata di Teheran a Damasco e la logica di escalation da esso messa in moto hanno riportato in auge nel dibattito della comunità internazionale la questione del nucleare iraniano, intesa sia come capacità di Teheran di dotarsi di un ordigno atomico che di volontà politica nell’eventuale utilizzo. Tuttavia, all’interno dell’Iran, questa tematica era già oggetto di crescenti attenzioni da ben prime dei recenti avvenimenti. Anche nella retorica “popolare”: nel gennaio 2024, in diretta televisiva, è stato chiesto a Mohammad Eslami, attuale capo dell’Organizzazione dell’energia atomica iraniana se fosse giunto il momento per l’Iran di dotarsi di armi nucleari, “o almeno di condurre un test nucleare”. Sebbene Eslami si sia schierato contro l’acquisizione di armi nucleari, citando la stessa dottrina di difesa promulgata dalla Repubblica Islamica dell’Iran, il fatto stesso di aver posto la domanda in diretta sulla televisione di Stato iraniana segnala il crescente dibattito interno sull’utilità delle armi nucleari. E la dottrina stessa può essere rivista, come suggerito dal comandante dell’unità delle Guardia Rivoluzionarie responsabile della difesa dei siti nucleari iraniani, il brig. gen. Ahmad Haghtalab, il quale ha avvertito esplicitamente che ciò potrebbe avvenire in risposta ad eventuali minacce di un attacco israeliano ai siti nucleari iraniani.

Attualmente, l’Iran è l’unico Stato non dotato di armi nucleari che porta avanti un processo di arricchimento dell’uranio a livelli vicini a quelli richiesti per la produzione di ordigni atomici. E sebbene alcuni esperti abbiano sostenuto che la guerra a Gaza renda più probabile un Iran nucleare, l’ultima valutazione della minaccia da parte dell’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale degli Stati Uniti ha suggerito che l’Iran non ha compiuto alcun passo concreto verso la weaponization. Fino ad ora sembra che l’Iran non abbia ritenuto utile armare il suo programma nucleare. Tuttavia, con l’aumentare delle tensioni, Teheran potrebbe considerare un’arma nucleare come un mezzo per scoraggiare la superiorità convenzionale e le armi nucleari di Israele.

Nel febbraio 2024, poco dopo i commenti di Eslami, il suo predecessore Ali Salehi, forte sostenitore del programma nucleare iraniano, ha a sua volta fatto un intervento sulla televisione iraniana, affermando che il Paese avesse superato tutte le soglie della tecnologia nucleare. “Immaginate di cosa ha bisogno un’automobile”, ha detto Salehi alla TV di Stato iraniana. “Ha bisogno di un telaio, di un motore, di un volante, di un cambio. Se mi chiedete se abbiamo fatto il cambio, vi rispondo di sì. Se abbiamo fatto il motore? Sì. Ma ognuno di essi serve al proprio scopo”.

Le sfumature dietro questa dinamica sono analizzate in un articolo di Sina Azodi, docente di affari internazionali presso la Elliott School of International Affairs della George Washington University specializzato nel programma nucleare iraniano e nella sicurezza nazionale, pubblicato da Foreign Policy. Dove sottolinea come, adesso che l’Iran ha la capacità tecnica di sviluppare una bomba nucleare, la questione della capacità diventa politica. D’altronde, basta dare uno sguardo alla storia del programma militare nucleare persiano per capire quanto esso sia legato a doppio filo alle percezioni securitarie del Paese. Avviato dal regime dello scià già durante gli anni ‘70, il regime degli ayatollah ha ripreso il programma nucleare nel decennio successivo, in concomitanza della guerra Iran-Iraq, per via dell’uso di armi chimiche da parte dell’Iraq e del fiorente programma nucleare di Baghdad, che ha continuato a rappresentare una minaccia esistenziale per la sicurezza dell’Iran anche dopo la conclusione della guerra nel 1988. Teheran ha continuato a sviluppare il suo programma nucleare segreto fino all’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, dopo la quale la leadership iraniana avrebbe deciso di interrompere i suoi sforzi, temendo che le attività di proliferazione avrebbero portato l’Iran sulla lista dei bersagli di Washington. “Le considerazioni sulla sicurezza che avevano motivato gli iraniani a ricostituire il programma li hanno costretti a fermarlo”, riconosce Azodi.

Questa interpretazione suggerisce che l’inasprimento delle tensioni con Israele potrebbe incoraggiare l’élite politica ad abbandonare la sua posizione di copertura e a varcare finalmente la soglia del nucleare. Persino Saeed Laylaz, economista e giornalista iraniano vicino al campo riformista, ha recentemente affermato che l’attacco di Israele al consolato iraniano a Damasco “ha eliminato l’ultima scusa per l’Iran per non testare un dispositivo nucleare ed entrare nel club nucleare”. Dal punto di vista di Teheran, un arsenale nucleare potrebbe mitigare la sostanziale superiorità convenzionale di Israele. Ma esso comporterebbe altri (e alti) rischi di un’escalation regionale.

Alcuni ex funzionari dell’amministrazione Trump, e in particolare John Bolton, hanno nuovamente invocato un attacco israeliano contro le strutture nucleari iraniane. Si tratta di uno scenario estremamente pericoloso. In primo luogo, un attacco alle strutture nucleari iraniane potrebbe avere ripercussioni ambientali significative per la regione (il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Rafael Grossi ha espresso seria preoccupazione per la possibilità di un attacco israeliano contro le strutture nucleari iraniane).

In secondo luogo, gli iraniani hanno dimostrato in passato di poter ricostruire ed espandere rapidamente il programma nucleare anche in seguito ad un “danneggiamento”. Quando Israele ha sabotato l’impianto di Natanz nell’aprile del 2021, gli iraniani hanno risposto rapidamente arricchendo al 60% in pochi giorni. Un simile attacco alle strutture nucleari iraniane potrebbe motivare gli iraniani ad abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare e a “correre verso la bomba”. Azodi riporta le osservazioni di Hossein Mousavian, ex negoziatore nucleare e specialista di politica nucleare all’Università di Princeton, secondo cui un attacco militare contro l’Iran “è l’unico fattore che può deviare il programma nucleare iraniano verso l’armamento”.

Gli attacchi di Israele ai programmi nucleari iracheno e siriano, rispettivamente nel 1981 e nel 2007, hanno avuto successo a causa della loro natura centralizzata e del fatto che entrambi i programmi erano relativamente in fase nascente. Il programma nucleare iraniano, invece, è molto più avanzato e ampiamente disperso nel Paese. “Uno scienziato nucleare iraniano con una conoscenza approfondita del programma nucleare”, afferma Azodi, “mi ha detto che gli iraniani hanno specificamente disperso le loro strutture nucleari e creato più siti in modo che, in caso di attacco, altre strutture potessero continuare il lavoro”.

E se Israele può distruggere le strutture, non può bombardare la conoscenza istituzionalizzata che gli iraniani hanno acquisito nel corso dei decenni. L’Iran potrebbe, se necessario, ricostituire il programma in qualsiasi momento e, potendo contare sulla propria capacità tecnologica di arricchire l’uranio, rimarrà sempre uno Stato a soglia nucleare. “La crisi nucleare dell’Iran non ha una soluzione militare” è la conclusione del professore della George Washington University.

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