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Paese che vai, Svb Bank che trovi. Anche in Cina c’è una bomba a orologeria

​Le piccole banche del Dragone hanno accumulato un’enorme quantità di debito sovrano, esponendosi al rischio di una svalutazione dei portafogli, con conseguenti perdite. Esattamente come avvenuto nel caso dell’istituto californiano. Ma c’è una differenza

Negli Stati Uniti, lo scorso anno, per un momento gli americani rivissero lo spettro di Lehman Brothers. La Silicon Valley Bank, l’istituto nato per finanziare l’industria tecnologica californiana, aveva cominciato ad avvitarsi pericolosamente su se stessa, fino a implodere. Il motivo era l’eccessiva esposizione dei prodotti finanziari all’andamento dei tassi i quali, una volta cominciata la cavalcata della Federal Reserve verso il traguardo del 5,50%, avevano cominciato a svalutare i portafogli, provocando le prime voragini. Tutto fu risolto facendo a pezzi la banca e vendendone i vari rami a First Citizen, altra banca, per 20 miliardi.

Ora però è la Cina a rivivere quell’incubo, con la sola ma non banale differenza che il sistema bancario cinese è molto più fragile di quello americano. Che il Dragone sia malato è cosa fin troppo nota, così come noto è il pessimo stato di salute delle banche minori della Cina, quelle periferiche, finite nelle sabbie mobili della crisi immobiliare. E proprio questi istituti sono, ancora una volta, il possibile epicentro di nuovi terremoti. E stavolta Svb c’entra.

Sì, perché il recente rafforzamento degli acquisti di titoli di Stato a lunga maturazione da parte delle banche regionali in Cina ha portato le autorità di vigilanza a sollevare dubbi sul rischio che si possa verificare una situazione simile a quella che lo scorso anno portò al collasso della banca americana e di altre banche locali negli Stati Uniti, come la First Republic. Il problema è nell’enorme esposizione accumulata dagli istituti di piccola taglia verso il debito sovrano cinese.

Nel primo trimestre, per esempio, gli acquisti netti di titoli pubblici a lunga scadenza da parte delle banche cinesi, prevalentemente da parte di istituti regionali, ha raggiunto l’equivalente di 37 miliardi di dollari. E “se un ammontare consistente di fondi viene vincolato su titoli a lungo termine, con bassi rendimenti il costo delle delle passività aumenta in maniera rilevante”, ha fatto notare un alto funzionario della Pboc, la banca centrale cinese, citato dal Financial Times. “I fondi saranno intrappolati a fronte di prelievi consistenti a seguito di bruschi riprezzamenti. Questo è esattamente quello che ha causato la crisi di liquidità alla Silicon Valley Bank lo scorso anno”.

Il messaggio è chiaro, se si investe troppo in titoli che rendono poco, i portafogli si svalutano. In caso di crisi del debito sovrano cinese, poi, salterebbe addirittura buona parte del sistema bancario del Dragone. Che deve tenere gli occhi aperti anche su un altro fronte, quello delle sanzioni. C’entrano sempre gli Stati Uniti, in qualche modo, che stanno valutando la possibilità di sanzionare le banche cinesi allo scopo di aumentare le pressioni su Pechino affinché smetta di sostenere la produzione militare della Russia. Washington, insomma, valuta di tagliare fuori dal sistema finanziario globale alcune banche cinesi.

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