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In Europa è ora di fare sul serio sugli eurobond. Parola di Fabio Panetta

Di Fabio Panetta

Senza debito comune non c’è vera Europa. Pubblichiamo un estratto della lectio magistralis tenuta dal governatore di Bankitalia, all’Università degli studi di Roma Tre, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Scienze giuridiche banca e finanza

In precedenti interventi, due anni fa, riportavo le stime della Commissione europea relative al fabbisogno di investimenti pubblici e privati necessari per finanziare le transizioni climatica e digitale e per innalzare la spesa militare al 2% del Pil. Quelle stime, allora dell’ordine di 600 miliardi di euro annui fino al 2030, sono nel frattempo aumentate, a 800 miliardi di euro annui, così come sono aumentati gli interventi necessari per garantire la competitività e l’autonomia strategica dell’economia europea.

È evidente che un programma di tale portata richiede di impegnare il bilancio della Ue. Anche se la quota a carico del bilancio pubblico fosse contenuta ad esempio, tra un terzo e un quarto del totale, l’onere sarebbe comunque pesante, e se dovesse ricadere soltanto sui singoli Stati membri alcuni paesi potrebbero ritrovarsi con un ammontare di investimenti insufficiente o con un assottigliamento dello spazio fiscale. E potremmo assistere a un aumento della frammentazione finanziaria e della divergenza tra paesi, a danno del mercato unico. Per di più, le misure che ho descritto in precedenza – nel campo della sicurezza energetica, della transizione digitale, della produzione di tecnologia, dell’immigrazione, della difesa riguardano beni pubblici europei, che richiedono interventi anch’essi europei, in quanto un insufficiente ammontare di investimenti genererebbe esternalità e ripercussioni negative su tutti i paesi e i cittadini dell’Unione.

In questi settori i vantaggi di un’azione congiunta vanno ben oltre la sfera finanziaria. Investimenti coordinati e finanziati a livello europeo sono necessari per conseguire economie di scala e generare benefici per tutti i paesi80. Eviterebbero duplicazioni di spesa e distorsioni del mercato unico, che sarebbero invece inevitabili se i progetti fossero realizzati a livello nazionale. Ed eviterebbero che la spesa possa ridursi nelle fasi di congiuntura sfavorevole, risultando prociclica. Rappresenterebbero un potente volano per attrarre risorse private. Il ricorso al bilancio della UE per finanziare investimenti in beni pubblici comuni determinerebbe forti vantaggi per la stessa governance europea. Investimenti finanziati con emissioni obbligazionarie comuni permetterebbero di creare un titolo europeo privo di rischio (safe asset).

Ciò rimuoverebbe il principale ostacolo alla formazione di un’autentica Unione dei mercati dei capitali e rappresenterebbe un passo fondamentale per dotare l’Unione economica e monetaria di uno strumento indispensabile per finanziare il vasto programma di investimenti che ho descritto in precedenza. Più in generale, un’Unione dei mercati dei capitali è necessaria per allocare in modo efficiente i risparmi dei cittadini e per attrarre capitali dall’estero. Inoltre, con programmi di spesa su scala comunitaria, la politica di bilancio europea non sarebbe più la semplice somma delle politiche nazionali, ma potrebbe essere definita in funzione delle esigenze dell’economia dell’area.

Ciò garantirebbe coerenza tra l’orientamento della politica fiscale e quello della politica monetaria82 e consentirebbe di compiere un passo decisivo verso il completamento dell’Unione economica e monetaria, superando l’illusione che essa possa funzionare bene senza una capacità fiscale centrale permanente83. Non mi soffermo sugli ulteriori interventi di riforma necessari per conferire competitività all’economia europea, che includono la realizzazione di un ambiente economico favorevole all’attività imprenditoriale, la semplificazione normativa e amministrativa, l’ampliamento delle fonti di finanziamento per le piccole e medie imprese.

Le regole di bilancio europee definite lo scorso febbraio dovranno inaugurare un approccio innovativo al coordinamento delle politiche fiscali nazionali, coniugando la necessità di mantenere conti pubblici in ordine con l’esigenza di innalzare gli investimenti e rilanciare le riforme strutturali84. La prudenza fiscale è essenziale, ma va resa compatibile con lo sviluppo. Infine, va pienamente attuato il programma Ngeu nei suoi ultimi anni di vita. I governi europei devono impiegare 500 miliardi di euro concessi nell’ambito dei programmi Ngeu e RepowerEu, di cui l’80% da destinare a investimenti. Ciò aggiungerebbe 2,5 punti percentuali agli investimenti pubblici dell’area dell’euro entro il 2026, portandoli sui livelli massimi dalla crisi finanziaria85.

Dopo decenni in cui la globalizzazione sembrava inarrestabile, i conflitti geopolitici stanno ora minacciando il sistema di scambi internazionali e la stabilità dell’economia mondiale. Sono riemersi timori che il mondo possa tornare a lacerarsi tra blocchi economici, politici e persino militari contrapposti. La frammentazione commerciale e finanziaria pone rischi rilevanti per l’economia europea, data la sua ampia apertura internazionale. Più in generale, le dispute geopolitiche minacciano i principi di cooperazione internazionale e l’assetto multilaterale che dal secondo dopoguerra hanno sorretto lo sviluppo economico mondiale e favorito il mantenimento della pace tra le principali potenze. È nel nostro interesse difendere con determinazione i progressi sin qui conseguiti nel grado di apertura e integrazione globale. Al tempo stesso, non possiamo ignorare i rischi geopolitici e i loro effetti. Dobbiamo individuare le modalità per operare efficacemente in un mondo meno stabile e meno aperto. La soluzione è rafforzare l’economia europea. Riequilibrando il suo modello di crescita e valorizzando il mercato unico. Rendendola più competitiva. Ponendola all’avanguardia in campo tecnologico ed energetico. Mettendola in grado di difendere la propria sicurezza esterna. Conferendole la forza e l’autorevolezza necessarie per contare nel mondo e contribuire al dialogo e alla cooperazione tra Paesi.

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