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Le lezioni (dimenticate) di Monaco 1938. Quale pace per l’Ucraina?

Di Fabrizio Braghini
trincea

All’incontro di Monaco del 1938 si approvò l’annessione della regione cecoslovacca dei Sudeti alla Germania, in nome dell’appeasement, la pace ad ogni costo. Oggi, questo spirito sembra riproporsi nel dibattito sulla guerra in corso in Ucraina, ma bisogna tenere conto delle conseguenze che ci furono anche allora. L’analisi di Fabrizio Braghini

Sono ormai passate tre generazioni, ma viene spesso richiamato “l’esprit de Munich” che rievoca analogie con la situazione in Ucraina. I cicli della recente storia europea sembrano susseguirsi anche oggi, con le dovute differenziazioni ma anche con fattori comuni e con lezioni apprese e poi dimenticate.

Si riscontrano infatti parallelismi e circostanze ben note. Si conoscevano le intenzioni di Mosca a partire dal discorso anti-Nato e Usa alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007, la presenza di truppe in Georgia, l’occupazione della Crimea nel 2014, l’ultimatum alla Nato nel 2021 con la rivendicazione del ritorno ai confini di 30 anni prima, l’invasione dell’Ucraina nel 2022.

Allora si conoscevano le intenzioni e ambizioni di estendere l’”impero” del Reich e dell’Urss annettendo altri Paesi, e oggi per ricostituire la “Grande Russia” con la forza.

All’incontro di Monaco nel1938 tra Francia, Inghilterra, Germania e Italia si approvò l’annessione della regione germanofona dei Sudeti che apparteneva alla Cecoslovacchia e che rimase priva di linee di difese. Sostenitore della politica di “appeasement” (disponibilità alla pace ad ogni costo), Chamberlain considerò la revisione dei confini di un piccolo Paese una questione minore. Nonostante i franco-britannici fossero garanti dell’integrità territoriale cecoslovacca, si lasciò campo libero all’espansionismo della Germania con l’illusione di evitare un conflitto, senza preoccuparsi delle conseguenze e senza rendersi conto che dalla sicurezza della Cecoslovacchia dipendeva la loro stessa sicurezza e l’equilibrio continentale. Era in gioco come oggi la sicurezza dell’Europa.

Sembra di rivivere una storia fatta di parallelismi, con sistemi totalitari che volevano e vogliono prevalere su democrazie rese vulnerabili dalle crisi economiche e da una distrazione e scarsa consapevolezza delle minacce esterne. Si iniziò così a smantellare il sistema europeo delle Nazioni siglato con il Trattato di Versailles, con l’Anschluss dell’Austria nel ’37 e la spartizione della Cecoslovacchia nel ‘38, utilizzando il pretesto di un plebiscito, come fa oggi Mosca nelle regioni ucraine del Donbass e Crimea che ha occupato. La stessa cosa si può dire con l’exodus iniziato con le emigrazioni forzate dei cechi ed espulsioni di massa di popolazioni tedesche nel dopoguerra, allora come oggi questo accade in Ucraina e Medio Oriente. Nella vicenda ebbe un ruolo anche l’interesse a controllare le materie prime e le produzioni tecnologiche della Cecoslovacchia, come oggi quelle ucraine nel Donbass.

Emerse con Monaco l’importanza della funzione strategica di difesa dei confini, così oggi sulla linea del fronte in Ucraina. Storicamente un aspetto è rimasto in secondo piano. Nonostante il Patto d’Acciaio del 1939 con la Germania, in Italia c’era timore di una imprevedibile quanto possibile invasione tedesca con mire sull’Alto Adige, a seguito dell’annessione da parte del Reich dell’Austria e la successiva invasione della Polonia. In tempi brevi negli anni 1939-1943 fu realizzato il Vallo Alpino Alto Adige, sistema di fortificazioni realizzato, insieme con quelle fino a Gorizia. Il Vallo, noto anche come “linea non mi fido”, fu riattivato e adeguato nel quadro Nato dal 1948 al 1992 – negli anni Cinquanta l’Austria era diventata confine della NATO per la presenza di truppe sovietiche d’occupazione – e occasionalmente utilizzato per simulazioni. Questo dimostra ancora la valenza delle linee protette e di sbarramento, come si vede oggi in Ucraina o Israele e altri Paesi.

Come hanno reagito i Paesi occidentali all’invasione russa? I prodromi di un conflitto generalizzato sono stati sottovalutati (vedasi il disarmo tra i Paesi della Nato) nell’illusione che fossero fino a ieri impensabili. Ma diversamente da Monaco, oggi è emerso un nuovo paradigma, e l’esistenza dell’Alleanza Atlantica – che costituisce sempre l’ossatura della difesa in Europa – e dell’Unione Europea, che di fronte alla comune minaccia hanno saputo reagire e mobilitarsi in modo collettivo e veloce, rafforzando i legami tra Paesi dell’Europa Centrale e Orientale. È una postura messa in pratica tra convergenze, diversità di competenze e approcci decisi o esitanti tra i Paesi, che trova una sua coerenza e coesione nell’avvio di un ripensamento strategico sulla sicurezza e un aumento in corso degli investimenti nazionali e anche europei. Sia la Nato che l’Ue perseguono gli stessi obiettivi strategici di difesa avanzata della Nato e di sostegno economico e militare all’Ucraina, con modalità e meccanismi complementari.

Le organizzazioni internazionali come Onu e Wto, con il multilateralismo in crisi da tempo, invece latitano, vige l’immobilismo e anche qualche ambiguità. All’epoca la Società delle Nazioni, precursore delle Nazioni Unite, che pur aveva ottenuto dei risultati diplomatici nella risoluzione di controversie minori e rivendicazioni di diversi Paesi, mostrò come l’inefficienza organizzativa portò alla sua inefficacia nei confronti dell’espansionismo delle Potenze dell’Asse.

Le conseguenze dell’odierno conflitto sul territorio ucraino incidono sugli equilibri tradizionali dell’architettura di sicurezza europea, ma vanno anche oltre la sua dimensione. Con la fase di instabilità, transizione e cambiamento che si sta vivendo, si avvertono i prodromi di un nuovo ordine internazionale senza più regole condivise e con modifiche nei rapporti di forza, improntato su uno scontro di valori tra le democrazie occidentali fondate sui principi di libertà e rappresentatività, costituzionalismo e diritto internazionale, e i Paesi autocratici che vogliono imporre loro regole. Al quadro complessivo si aggiunge l’influenza della Cina e di gruppi di Paesi eterogenei con interessi differenti, rendendo difficile capirsi su rivendicazioni egemoniche, questioni tecnologiche ed economiche, e dialogare utilizzando standards europei Ambientali, Sociali e di Governance.

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