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In Ucraina è tempo di realpolitik. L’opinione di Guandalini

Siamo entrati in una fase nuova della guerra dove le desuete categorie contrapposte sono superate dagli eventi. Il caos in Medio Oriente ha relegato ai margini Kyiv. L’Occidente ha il dovere morale di fermare il conflitto. La proposta di Francesco è la sola che esprime i modi per avvicinarsi alla fase negoziale. L’opinione di Maurizio Guandalini

All’unisono, nei giorni scorsi, in due interviste distinte, i ministri Crosetto e Tajani sul conflitto russo-ucraino hanno sentito la necessità di ribadire “più prudenza”, “abbassare i toni”, “attenzione al linguaggio bellico”. L’escalation si genera attraverso rilanci a effetto  a scatto continuo, risposta e contro risposta  sul filo di chi la spara più grossa. Un equilibrio sopra la follia, fino a quando può bastare una scintilla per l’irreparabile. È il contemporaneo Medio Oriente a evidenziarlo quotidianamente.

Lo scenario cambiato

Nei dibattiti striminziti dei talk tv italiani aleggia un pesante sentiment da macchiettismo. Si osservino i parterre. Da un lato opinionisti, esperti, titolari di centri studi con le cartine per l’attacco immediato, insieme riuniti al grido avanti tutta, perché domani Putin potrebbe arrivare a invadere anche l’Italia. Di contro nuance di pacifismo camuffato da accademico tifo per Putin (i “pacifinti”, prendendo a prestito un termine coniato da Aldo Grasso) sprofondato nel trappolone magic moment, io sto con Navalny e tu stai con il criminale del Cremlino. Non fa pace ma pollaio. Luoghi metafisici. Inneggianti all’ipocrisia spinta. Quello più che infastidisce (la stragrande maggioranza degli italiani che chiedono la parola fine a questa guerra) è la parte di quelli che si allenano in strategie di attacco (senza armi e soldati) e mobilitazione di eserciti. Riassunto nel paradigma di chi critica il realista Macron – quando vuole inviare uomini della Nato in Ucraina, che vuol dire uscire dall’ipocrisia e  fare la guerra – preferendo l’approccio fatto in casa, l’invio delle armi che preparano la pace.

Stiamo parlando di un format di posizioni  contrapposte ormai superato perché il conflitto in Medio Oriente ha spostato l’attenzione e soprattutto sostegni in armi verso Israele lasciando cadere nel dimenticatoio il conflitto russo-ucraino. E la rincorsa ritardataria dell’Europa a rispondere ai desiderata di Zelensky, “meritiamo la stessa protezione aerea di Israele”, svela un vuoto di strategia, di obiettivi, un procedere a babbo morto che fino ad ora ha mietuto migliaia di morti e non di certo segnali d’imminente vittoria.

Non servono editoriali massivi di rimbrotto, lezioni di civiltà occidentale, da pulpiti alti alti per rivendicare dei principi giusti e non passare all’azione, stare attendisti, tentennanti, e pensare che l’invio di armi con il contagocce sia esaustivo per trovare soluzioni al conflitto. Tanto meno si può pensare che questa transumanza aiuti la pace. Non è il momento di nascondersi, di gridare al lupo al lupo, e darsene a gambe, o fare un gioco di facciata. Vedo non vedo. A condizioni date Zelensky non vincerà mai la guerra contro la Russia. Quale stratega vede oggi i russi andarsene a gambe dai territori conquistati? Il conflitto russo-ucraino è fermo qui. Leader seri e capaci devono porsi la domanda fino a quando tenere in piedi questa situazione, per fare cosa? E non correre appresso a quelle che sono ormai farneticazioni o illusioni di chissà quali magnifiche sorti e progressive. Sempre che non si adotti la strategia bellica di Macron (di cui francamente nessuno più parla), quella di sporcarsi le mani, inviare truppe Nato in Ucraina e quindi l’Europa che entra formalmente in guerra. Chi oggi ha il senno per imboccare questa strada? Se il rischio è incalcolabile, occorre che si fermi tutto quanto e ci sia il coraggio di leggere la realtà per quella che è.  E quindi alle morti. Tregua illimitata in Ucraina. E iniziare una trattativa. Realisticamente quello che ha detto il papa.

La realpolitik di Francesco

Qualche giorno fa seguivo una trasmissione della tv pubblica dove nel presentare la posizione verso la guerra di Francesco, la bandiera bianca per intenderci, tutti i presenti al tavolo, storici-giornalisti-filosofi, sono corsi a sminuirne il valore definendola “eccessiva”, “sconcertante”, “papa condannato al fraintendimento”, “che non tiene conto del ruolo dell’oppresso e dell’oppressore” e della “guerra necessaria” invocata, in passato, da Giovanni Paolo II e dal cardinale Ruini, tutto inserito, oggi, a testimoniare il minor ruolo e incidenza della Chiesa sullo scenario internazionale.

È una tendenza che aleggia sui quotidiani e in tv. Catalogare le convinzioni del papa come piccoli equivoci senza importanza, parole del nonno brontolone al quale tutti vogliono bene ma che  nessuno ascolta perché nel suo mondo. Evidente che così non è. Come abbiamo spesso ricordato la posizione del papa, che andrebbe maggiormente sostenuta dagli uomini di Chiesa e zone limitrofe, è un parere politico, la realpolitik  per la pace. Proprio nel periodo che stiamo correndo verso le elezioni europee (il 52% degli italiani non ha intenzione di votare) pure i partiti e gli esponenti dei partiti che potrebbero accogliere la proposta del Papa e farla loro cercano in tutti i modi di starne alla larga.

Che fare ora? Fino quando dura questo conflitto?

Gli italiani stanno pagando un prezzo spropositato (sono più poveri, il ceto medio arranca, gli affitti sono proibitivi, scelgono di non curarsi). Tra la gente siamo già al risvolto della guerra tra poveri, si sente dire “diamo tanti soldi all’Ucraina quando ormai tocca pagarci anche le cure sanitarie e non riusciamo saldare bollette molte care”. Una risposta non demagogica spetta anche a loro perché serviranno 486 miliardi di dollari in 10 anni per ricostruire l’Ucraina (e tanti miliardi per riempire gli arsenali vuoti)  e non si potrà fare molto affidamento sull’utilizzo degli asset russi congelati in Occidente. Nell’anno elettorale di rinnovo del Parlamento europeo c’è da trovare una soluzione al conflitto russo-ucraino, rispondendo così alla domanda per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare?

La Nato si riunisce e decide l’invio di munizioni e denaro per i prossimi anni con il consueto annuncio dell’Ucraina dentro la Nato. Ma qual è la strategia a breve. Soprattutto se la Polonia afferma di prepararsi alla guerra e in Romania sarà costruita la più grande base Nato d’Europa? O una guerra si decide di farla cercando di vincerla oppure uscite come invio armi per fare la pace sono affermazioni vuote, vaghe, che sottintendono assenza di prospettiva, indecisione per obiettivi, rilanci continui spesso disattesi. Incancreniscono situazioni che al contrario richiedono osservazione  della realtà per quella che è. Constatazione del pericolo di terza guerra mondiale nella quale ci siamo già dentro. Frenare l’escalation.  Fotografare la situazione per quella che è ora.  E da lì ripartire. Realisticamente non c’è altra strada. Per evitare il sopraggiungere dirompente del rischio pesante che la guerra russo – ucraina sia dimenticata  e prosegua il sacrificio di migliaia di vite.

Ripartire dalle parole politiche  del papa è il solo modo per raffreddare l’escalation e trovare una via che porti al negoziato. Non è più ammissibile che vada avanti un tira e molla (Zelensky che annuncia vittorie imminenti e l’Occidente che le armi le invia a scoppio ritardato o non le invia proprio) eterno che copre una reale assenza di obiettivi. Non sarà semplice si convinca il leader ucraino ma l’Occidente ha il compito di farlo, sicuramente perché ha tra le mani gli strumenti per storicizzare un periodo, quello precedente alla guerra e quello successivo fino ad oggi, dove gli errori compiuti (come le previsioni di uno shock economico irreversibile della Russia) sono stati innumerevoli. Soprattutto, stando quanto ha riferito l’autorevole Foreign Affairs che rileva un fatto straordinario, la guerra tra Russia e Ucraina poteva finire in un mese, già nel marzo del 2022 si era trovata l’intesa Putin-Zelensky su Kyiv neutrale ed europea. Perché non si è perseguita quella strada?

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