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Perché De Gasperi fu il presidente della ricostruzione. L’analisi di Casini

La lungimiranza delle intuizioni profonde di De Gasperi lo portò, in politica interna, nella ricostruzione economica e politica di un Paese uscito dalla guerra stremato e sconfitto, a mostrare la via per rifondare l’Italia con spirito di unità e solidarietà. Una rinascita morale da cui scaturì un formidabile progresso materiale che, in due decenni, condusse il Paese nel novero delle grandi nazioni industrializzate. L’analisi di Pier Ferdinando Casini, senatore, presidente del Gruppo italiano dell’Unione Interparlamentare e già presidente della Camera dei deputati

Capita sovente, di fronte a una difficoltà legata all’attualità, di domandarsi come si sarebbe comportato lo statista trentino. Una domanda che non risulta solo banale, ma quasi sempre anche inadeguata. Perché se è vero che il destino dei grandi uomini è che, in loro nome, si continui ad agire e a fare politica, lo è ancor di più che ogni stagione ha una vita a sé con i suoi protagonisti e le sue peculiarità. D’altronde questo è un Paese profondamente diverso da quello nel quale operò il leader democristiano e riscrivere la storia alla luce delle esigenze e dei presupposti su cui, in sostanza, si impernia la politica odierna non ha molto senso.

Hanno senso piuttosto riflessioni di carattere più propriamente storico che ci ricordano cosa realmente De Gasperi ha fatto e ci invitano a cogliere, proprio nella coscienza della distanza che ci separa da lui, la lungimiranza delle sue intuizioni profonde. Innanzitutto in politica interna, nella ricostruzione economica e politica di un Paese uscito dalla guerra stremato e sconfitto, mostrandoci la via per rifondare l’Italia con spirito di unità e solidarietà.

Una rinascita morale da cui scaturì un formidabile progresso materiale che, in due decenni, condusse il Paese nel novero delle grandi nazioni industrializzate. De Gasperi riuscì a gestire un sistema parlamentare capace di raccogliere le tensioni di un Paese perennemente in cerca d’identità e di conferire loro una rappresentanza organica, senza cedere alla tentazione di tagliare fuori alcune componenti; pur disponendo della maggioranza assoluta associò nelle scelte e nelle decisioni il più ampio numero di identità politiche; assicurò un lavoro continuo di mediazioni per soddisfare le diverse istanze e si mosse sempre nella cornice delle condizioni imposte dal quadro internazionale.

Ne è un esempio la Costituzione, votata quasi all’unanimità, al di là di ogni logica di appartenenza, alla fine del 1947. Un testo ancora in vigore che ha assicurato stabilità dando un indirizzo che ha consentito di entrare nel Patto Atlantico e in quella che oggi è l’Unione europea grazie a un articolo che prevede possibili rinunce alla sovranità nella prospettiva di un disegno più ampio.

Ma è nella politica estera che forse risiede l’opera maggiore di De Gasperi, capace di ridare all’Italia una sua credibilità internazionale, ancorandola stabilmente nel nucleo delle democrazie occidentali; di restituire il nostro Paese, uscito dalle macerie della disfatta militare, al consesso delle libere nazioni compiendo scelte coraggiose che allora lacerarono l’Italia e che oggi rappresentano un patrimonio comune e unificante per tutti i cittadini e un presidio ineludibile della nostra vita democratica: la scelta atlantica e quella europeista.

De Gasperi comprese che non sarebbe stato possibile ridisegnare l’identità dell’Italia senza tener conto dei grandi ideali affermatisi nel difficile percorso della sua unificazione e senza rinsaldare i legami con i Paesi che quei valori avevano affermato e difeso negli anni del conflitto: il primato della dignità della persona e delle istituzioni legittimate dal consenso dei popoli, la libertà, la tolleranza, la pace.

L’adesione sincera a quei valori costituisce ancora oggi, nonostante le battute di arresto e le inevitabili incomprensioni, l’elemento che continua ad associare in modo inscindibile le sorti dell’Italia, dell’Europa e di quello che chiamiamo occidente. Come tutti i grandi uomini di Stato, De Gasperi guardava ai problemi concreti e aveva un senso esatto della realtà che gli impediva di abbandonarsi a elucubrazioni su astratte dottrine.

Non era un uomo di ideologie, era un uomo di ideali, che sono cosa ben diversa. L’europeismo fu uno di questi. Un ideale con basi solide e concrete, fondato su un convincimento profondo: l’importanza per popoli e nazioni divisi da nazionalismi, guerre e dittature di riscoprire ciò che ne unisce i destini.

Le due dimensioni, quella atlantica e quella europea, erano legate per De Gasperi da un rapporto di reciproca necessità. In questa prospettiva propose la creazione di una Comunità europea della difesa che doveva costituire il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica ma, al contempo, un passo cruciale nel cammino di una integrazione politica del continente.

Oggi, in un’Europa di muri crollati e totalitarismi demoliti, tutto questo appare logico e inevitabile; allora, a qualche anno dalla conclusione del conflitto mondiale, era un’intuizione rivoluzionaria, frutto di visioni illuminate.

Quell’Europa non è mai nata: si è arenata nel fallimento della costruzione della Ced, si è fermata nel primato del fattore economico e continua a rimanere nascosta dietro gli interessi dei singoli Stati che di volta in volta si impongono segnando una distanza profonda fra utopia e realtà, fra il sogno delle origini e le incertezze del presente.

Appena qualche giorno prima di morire De Gasperi disse a sua figlia Maria Romana: “La nostra piccola mente umana non si rassegna a lasciare ad altri l’oggetto della propria passione incompiuto”. A noi il compito di portare a compimento quella passione perché un’Unione come insieme di Stati nazionali che negoziano le crisi, senza avere né un orizzonte ampio, né una strategia condivisa, né strumenti comuni di governo delle sfide del nostro tempo non può sopravvivere.

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