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E’ urgente riprendere a privatizzare

Franco Reviglio non è solo un accademico (aggettivo spesso ritenuto dispregiativo dal “colto ed inclito”), ma è stato uomo di governo e alla guida di complessi industriali internazionali e di servizi pubblici locali. È, quindi, “uno che se ne intende”. Nel suo ultimo libro, ricorda alcune cifre che dovrebbero causare imbarazzo. Nel periodo 1990-2006, nell’Unione europea sono state effettuate 1.111 operazioni di privatizzazione, con un provento di circa 600 miliardi di euro. Nello stesso arco di tempo, in Italia, si sono avute 139 operazioni (12,5% del totale) con ricavi pari a 137,9 miliardi di euro (un quarto del totale Ue). Ma, si badi bene, partivamo da un’economia con un intervento pubblico più massiccio che in altri Paesi europei. Inoltre, la “curva delle privatizzazioni”, per così dire, mostra un andamento ascendente, specialmente dopo il 1996 (il primo lustro, l’ho spiegato in altra sede, è stato essenzialmente di preparazione) con un brusco arresto nel 2006.
 
Il quadro di altri Paesi – si dirà – è meno incoraggiante: negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, in Portogallo e in Irlanda (per non citare che alcuni tra i casi salienti) le operazioni di salvataggio allo scoppio della crisi iniziata nel luglio 2007 hanno causato ondate di nazionalizzazioni anche in Paesi (principalmente gli Usa) di solito restii alle braccia tentacolari dell’intervento pubblico. In Italia, lo abbiamo evitato. Possiamo riprendere la massima di Tevye, il contadino dalle tasche sempre vuote della fortunata commedia musicale Fiddler on the Roof (Il violinista sul tetto): «Non dobbiamo vergognarcene ma neanche gloriarcene». In effetti, le privatizzazioni sono, con le liberalizzazioni, tra le poche strade possibili per riprendere a crescere – dopo tre lustri di andamento economico rasoterra – in un’economia come la nostra schiacciata da un forte peso del debito pubblico. Non per nulla i 20 maggiori centri di analisi econometrica prevedono per il 2011 un aumento del Pil inferiore a quello (non certo esaltante) segnato nel 2010. Sul futuro a medio termine, si staglia lo spettro del ritorno di un tasso di disoccupazione a due cifre e di sempre maggiori tensioni in materia di coesione sociale.
Nel 2010, la portata principale (in tema di privatizzazioni) è stato il tentativo (mancato) di trovare un’acquirente per la Tirrenia. Grazie all’applicazione di norme europee – il cosiddetto “decreto Ronchi” – sono state poste, però, le basi per ridurre la partecipazione pubblica nel “capitalismo municipale” (i servizi pubblici locali spesso raggruppati in consistenti conglomerati che, tuttavia, gli enti decentrati vogliono ben tenere sotto il loro controllo). Ci sono stati tentativi, con limitato successo, di dismissione del patrimonio immobiliare. Poco o nulla si è fatto per incidere nei campi dove più si potrebbe e dovrebbe fare: Rai, Poste, Enel, Eni, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato.
Non mancano certo le ricette tecnico-economiche per denazionalizzare questi “giganti” in toto o in una parte maggiore di quanto non si è già fatto. Questi, ed altri, “campioni nazionali” sollevano complessi problemi, specialmente se i potenziali acquirenti sono fondi sovrani esteri che non sempre operano con logiche puramente economiche. Ciò nonostante, la loro privatizzazione deve essere ai primi posti dell’agenda di politica economica per l’anno appena iniziato.
 
Per saperne di più
Toshiro Matsumura,
Daisuke Shimizu
Privatization Waves,
The Manchester School
Vol. 78, Issue 6, December 2010
 
Franco Reviglio
Good-bye Keynes?
Le riforme per tornare a crescere.
Meno debito, più lavoro, pp. 144 Milano, Guerini e Associati 2010
 
Petar Stankov
Deregulation, Economic Growth and Growth Acceleration,
Cerge Ei Working Pare n. 424, 2010
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