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Giganti al voto

Se il 2011 vi è sembrato un anno turbolento, scosso dalla crisi dei debiti sovrani e dalle rivolte della Primavera araba, dovreste forse prepararvi ad allacciare le cinture per un 2012 ancora più intenso. Il mondo conoscerà nei prossimi dodici mesi una serie di appuntamenti elettorali destinati a stravolgere la carta geopolitica del pianeta.
Si vota in molti Paesi, con formule, previsioni e destini assai diversi. Si vota in un clima di generale sfiducia per gli effetti di una crisi che pericolosamente si avvia ad assumere la forma di una W, la doppia recessione che molti individuano come il punto di rottura finale per il capitalismo finanziario così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
 
Un breve giro del mondo servirà a chiarirsi le idee. Visto dall’osservatorio italiano, non si può che partire dall’area di prossimità del Nord Africa, ancora in preda ad equilibri troppo fragili e incerti. Si è appena votato in Tunisia per la convocazione di un’Assemblea costituente che dovrà redigere la nuova Carta fondamentale. La vittoria è andata al partito filo-islamico Ennadha (Rinascita in arabo) non tanto per il suo aspetto confessionale quanto per il richiamo forte ai principi della trasparenza e della lotta contro ogni forma di corruzione. Perché la transizione tunisina, dopo la cacciata di Ben Ali e fino alle elezioni dello scorso 24 ottobre, è stata ancora caratterizzata da una certa prudenza rispetto alle riforme democratiche ed economiche chieste dalla piazza. Stesse perplessità valgono per l’Egitto, Paese strategico per gli assetti geopolitici di tutta l’area vasta Medio Oriente-Nord Africa. Le elezioni presidenziali sono al momento previste per marzo 2012. Ma il Paese vive ancora sotto la legge di emergenza e con lo spettro di profonde lacerazioni sociali che potrebbero determinare la perpetuazione del potere militare anche a fronte dell’elezione di istituzioni civili. Sempre meno alla finestra stanno i Fratelli Musulmani, la cui ideologia spaventa molti in occidente, ma il cui ridimensionamento forzoso porterebbe ad un’inevitabile guerra civile. Alle presidenziali i candidati saranno moltissimi e tra questi potrebbe esserci anche il maresciallo Tantawi, oggi a capo del Consiglio militare.
 
Nel tentativo di trasmettere almeno una parvenza di apertura al dialogo, il Presidente siriano Assad ha promesso per febbraio elezioni parziali nel Paese. Promessa che non necessariamente verrà mantenuta, vista la pesante repressione ancora in atto e i tentativi, non solo diplomatici, delle potenze regionali e globali di mettere alle corde il regime. Un ruolo determinante lo sta giocando la Turchia, che ha abbandonato la filosofia del “zero problems” e si vede costretta ad assumere un ruolo diplomatico sempre più ampio. Caduto il tabù, Ankara sa di dover contenere anche le ambizioni dell’Iran in tutta la regione. Teheran è lacerata internamente da un conflitto ormai insanabile tra l’anima religiosa e clericale del Paese e quella più politica del presidente Ahmadinejad e del suo cerchio magico. In Iran si vota il 29 marzo ma la “campagna elettorale” si è aperta almeno due anni fa, con colpi bassi di inaudita violenza, epurazioni, assassinii mirati.
 
Vanno al voto nel 2012 tre colossi geopolitici mondiali. La Russia per prima in ordine di tempo. Sembra ormai scontato il ritorno di Putin al Cremlino. Un ritorno la cui vigilia è segnata da scontri tra oligarchie e dalla posizione di un Medvedev che si dimostra sì delfino, ma non per questo “utile idiota”. In previsione di un revival putiniano, interessante è il suo manifesto geopolitico che un giornale russo ha pubblicato qualche mese fa: Mosca intende, nei prossimi anni, consolidare le posizioni di forza che ha guadagnato in questi anni nello spazio ex sovietico, facendo dell’Unione doganale con Kazakhstan e Bielorussia – ma potenzialmente espandibile sia verso il centro Asia sia verso l’est Europa – il cuore di un nuovo “mega-Stato” forte, prospero, autorevole.
 
In aprile sarà la volta della Francia scegliere il presidente ed eleggere i membri dell’Assemblea nazionale. Sarkozy tenta la conferma ma l’opinione pubblica francese è incerta. Il Presidente uscente si giocherà tutte le sue carte contro François Hollande in campagna elettorale, tentando di massimizzare i profitti di cose come la guerra in Libia, il no al velo islamico, la lotta all’immigrazione clandestina. Basterà? La crisi economica comincia a mordere anche a Parigi e il rischio del fallimento di alcune banche, particolarmente esposte ai debiti greci, nonché il possibile abbassamento del rating di tripla A per il debito sovrano francese possono compromettere qualsiasi chance di rielezione.
 
Il mondo, infine, seguirà come sempre, l’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Obama ha ammesso che la sua rielezione potrebbe essere in forte dubbio. Portato alla Casa Bianca sostanzialmente dal crac di Lehman Brothers, potrebbe esserne sfrattato per motivi analoghi. La crisi americana non sembra alleviarsi. Certo, il Pil va un po’meglio; ma la disoccupazione è a livelli storici e l’ostruzionismo del Partito repubblicano al Congresso non agevola il compito. Il dato interessante di queste elezioni presidenziali potrebbe però essere la frammentazione di un sistema partitico finora graniticamente duale. Non solo per il vigore che la corrente liberal dei Democratici sta riacquistando e non solo per la novità del tea party. Ma anche perché, dopo cinquant’anni, l’America è tornata in piazza in maniera vigorosa. Molto dipenderà, quindi, dallo sfidante di Obama nelle fila dei repubblicani. Il mormone, l’afro-americano, il governatore legge e ordine? O piuttosto la sorpresa della donna venuta dal Minnesota? Alla fine potrebbero essere gli stessi Democratici a tentare il colpo di scena e rilanciare Hillary Clinton, con Obama questa volta costretto ad accomodarsi in posizione più defilata.
 
L’anno prossimo un altro grande attore della politica mondiale vivrà un ricambio profondo ai vertici delle istituzioni: la Cina. Senza elezioni però, ma con una pianificata rotazione dei vertici del Partito e di tutte le strutture di potere. La nuova generazione di leader si annuncia pragmatica, avvezza all’internazionalità, attenta a ridurre le disuguaglianze interne alla Repubblica popolare. Allacciate le cinture. Non c’è da annoiarsi nel 2012 che sta arrivando.
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