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Ritorno all’ordoprofessionalismo

La decisione del governo Monti di prevedere l’abrogazione degli ordinamenti professionali ove non si riesca a riformarli entro il 12 agosto 2012 è emblematica della gravità della rottura che si è consumata tra la società civile e i professionisti. La prima non crede più ai secondi. Non riconosce più la validità di un modello rigorizzante dell’attività economica che appartiene ad una tradizione millenaria e ha segnato la stessa identità italiana (E. Galli della Loggia). È evidente che la minaccia della cancellazione serve a ridurre il rischio che, anche questa volta, i veti incrociati delle lobby (professionali, sindacali e imprenditoriali) blocchino una riforma che l’Unione europea e la Bce considerano fondamentale per il rilancio dell’economia.
 
Ma è altrettanto evidente che, così facendo, si sancisce la fungibilità degli ordinamenti professionali, utili forse, ma certo non più indispensabili all’architettura istituzionale della nuova Italia. È un verdetto storico, ancora prima che politico, che nemmeno il varo della riforma potrà mai cancellare. Tanto più significativo in quanto emesso da un governo tecnico, come tale, espressione della società civile. Società civile che, infatti, ha poco, se non nulla, solidarizzato con la protesta dei professionisti. La disamina delle cause e responsabilità della crisi del modello professionale meriterebbe ben altro spazio di quello riservato a questa rubrica. È indubbio, però, che le professioni sono in-attuali nella odierna società di mercato.
 
Sociologi come E. Freidson ed economisti come W. Ropke hanno, da tempo, evidenziato come le professioni non siano tollerate dalla ideologia della sovranità del mercato. Stefano Zamagni e Luigino Bruni hanno denunciato i processi di isoformismo organizzativo che, con la complicità del vigente sistema socio-economico, condannano alla perdizione forme ed esperienze diverse da quelle dell’impresa capitalistica. Nella delegittimazione del modello professionale un ruolo determinante è stato svolto dalle politiche pro-concorrenziali della Commissione europea e dell’Antitrust, che non hanno esitato ad ignorare la diversa posizione della Corte di giustizia europea che, anche di recente, ha confermato la validità e utilità sociale dell’attività orientata “in un’ottica professionale”. Non rispondendo a logiche di profitto, quest’ultima è in grado di meglio tutelare, rispetto all’impresa, l’interesse della collettività (vedi la giurisprudenza sulle farmacie). Ma è proprio confrontando il ruolo e la funzione riconosciuta dalla Corte europea con quanto risulta nella cronaca quotidiana che appare la ragione ultima della crisi del modello professionale e della rottura con la società civile. Da tempo, i professionisti hanno abdicato alla loro missione (quia sacerdotes appellat, recitava il Digesto), progressivamente arrendendosi alle logiche di quel mercato rispetto al quale continuano a dichiararsi estranei, con il risultato di apparire corporativi e perdere ogni residua credibilità. Già Milton Friedman, sarcasticamente, si chiedeva come mai le misure che i professionisti rivendicano in nome della collettività trovino raramente il sostegno delle associazioni di cittadini e consumatori.
 
Ora, i maestri insegnano che, nei momenti di crisi, occorre tornare alla Costituzione per recuperare valori e principi di riferimento. L’art. 33, comma 5, prevede l’esame di Stato per le professioni che incidono su interessi generali e che, come tali, richiedono di essere esercitate da coloro che hanno dimostrato di possedere le necessarie abilità. Si deve evitare l’errore che la severità del giudizio sulle professioni, che la storia ci ha trasmesso, travolga con sé il modello giuridico. Come ribadito dalla Corte di giustizia, quest’ultimo è (ancora e sempre) utile alla collettività perché dedito ad un valore che trascende il guadagno, quello della conoscenza specifica da applicare in modo socialmente utile. Se si è disponibili a mettere da parte pregiudizi ideologici e pretese corporative, l’art. 33 è, quindi, un prezioso riferimento per creare le condizioni necessarie al proficuo esercizio della delega entro l’agosto del 2012 rinnovando e restaurando i principi dell’ordoprofessionalismo.
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