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L’Unione politica è archiviata, prendiamone atto

Uno spettro si aggira per l´Europa, la disoccupazione, ma spaventa solo alcuni Paesi membri. Le imperfezioni dell´area monetaria in cui era stato calato l´euro, invece di far convergere le economie dei 17 Paesi aderenti, li sta spaccando in due blocchi con conseguenze sociopolitiche inevitabili, in stile Grecia.
 
L´ottima politica monetaria di Mario Draghi (presidente della Banca centrale europea, ndr) mantiene in piedi la situazione, ma anche maschera la realtà deflazionistica delle aree deboli nascente dall´idea che il rigore fiscale propizia la crescita. Siamo ritornati agli albori delle dispute economiche che avevano concluso che il mercato è strumento indispensabile per perseguire lo sviluppo, ma richiede l´intervento pubblico per sbloccare le sue crisi periodiche (anche perché i mercati competitivi esistono soltanto nei manuali).
 
La disoccupazione è un dramma sociale la cui esistenza getta vergogna sulla dirigenza pubblica e privata. Anche perdere una sola generazione di giovani – e i rischi attuali sono di perderne più d´una – significa accettare l´arretramento dell´Europa dal suo livello di civiltà. È controproducente affrontare la crisi aumentando la tassazione in mille forme e violando il canone della chiarezza e della semplicità nell´assolvere all´obbligo fiscale, perché si accresce l´effetto di spiazzamento dell´attività privata e si assecondano, finanziandole, le inefficienze dello Stato. Né vale addurre motivi gravi di urgenza, perché essi sarebbero invocabili anche nel caso in cui si disponesse il taglio della spesa pubblica. L´idea che i partiti si siano disfatti della responsabilità di fare il dirty job (il lavoro sporco) è del tutto peregrina, perché le decisioni sono state prese dai loro rappresentanti in Parlamento.
 
L´Unione europea è nata su basi distorte, quelle che il rigore monetario e fiscale fosse il suo compito prioritario, lasciando ai Paesi membri quello di curare lo sviluppo. Se si vuole riprendere il cammino dell´unificazione politica interrotto dalla crisi americana occorre poggiare la costruzione europea su due gambe, quelle del rigore e della crescita. Se si mantengono le cose come stanno e, anzi, si aumentano i vincoli fiscali come deciso il 2 marzo con la firma del fiscal compact, si peggiorerà la distribuzione del reddito tra Paesi perché si impedirà l´aggiustamento degli squilibri interni all´euroarea di bilancia dei pagamenti corrente. La storia economica non offre esempi di regimi che non prevedono meccanismi di aggiustamento. L´Europa è l´unico caso.
 
Per reagire a questa situazione i Paesi commettono errori perché cercano gli untori e non la peste. I casi che si susseguono sono molti. L´ultimo in ordine di tempo è la decisione del Senato italiano che ha ritenuto di poter raggiungere l´obiettivo delle liberalizzazioni impedendo alle banche di scegliere le condizioni di pricing del credito e ha così creato nuovi ostacoli allo sviluppo, proprio nel momento che dice di volerlo rilanciare.
 
Sulla stessa linea si è posta la Bundesbank indicando nella Bce un possibile untore, mentre essa ha trovato un modo per evitare che l´euro si impesti. Gli organi dell´Unione non riescono invece a evitare la peste della disoccupazione, che combattono a colpi di dichiarazioni a favore dello sviluppo. Eppure almeno uno strumento lo hanno: finanziare un piano di infrastrutturazione europea emettendo eurobond. Non lo fanno perché sarebbe un passo concreto verso l´unione politica, che non si vuole.
 
Se così è, si prenda nota che i patti europei che ci legano vanno rinegoziati alla luce dell´abbandono dell´obiettivo dell´unificazione politica e il mantenimento, se si vuole, del mercato unico europeo con moneta comune, che è ben altra cosa e non richiede il trasferimento di sovranità, ma solo, come si dice, patti chiari e amicizia lunga. Meglio farsi illuminare dal faro politico inglese, che fotografa la situazione dei reali fondamenti dei patti europei, o accenderne uno nuovo
 
 
 
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