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A chi servono le pagelle di Moody’s?

L’agenzia di rating Moody’s ha retrocesso l’Italia al livello Baa2, cioè al penultimo gradino prima che i titoli di Stato italiani vengano considerati «spazzatura». L’Italia politica ha unanimemente prote¬stato, questa volta senza distinguo. Poche ore prima la procura di Trani aveva chiuso un’indagine per accertare se, com’essa ritiene, i dati forniti dall’agenzia siano falsati e, almeno dal maggio del 2010, le sue tabelle stanno producendo aggiotaggi e qualcosa di peggio nelle borse.
 
La Moody’s era considerata, da buona parte dei giornali italiani, un’agenzia non solo importante, ma credibile. Per essere, ed apparire, credibile, sarebbe dovuta risultare autorevole, corretta, imparziale, estranea alle manovre politiche, inattaccabile sul versante delle speculazioni finanziarie internazionali. Dalle sue pagelle degli ultimi mesi (ed anni) si potrebbero trarre non volumi, ma enciclopedie di dati che si sospettava da tempo – ed ora si accertano – falsi, devianti, impropri, collegabili a manovre finanziarie che investono l’Europa, i suoi governi, le sue industrie più significative e quotate in borsa.
 
Ed è qui, su tali questioni che anche l’uomo della strada comincia a porsi degli interrogativi. Se un’agenzia di valenza mondiale si riduce a trasformarsi, da arbitra imparziale, a protagonista intrusiva nei giochi e nelle trame della politica e negli interessi economici dell’eu¬rozona, vuol dire che non fa il mestiere dichiarato, ma un altro: non ortodosso, sleale, manipolatore dei mercati e dello stesso ruolo dei governi. E quando si accerta, con solare evidenza, che un presunto arbitro parteggia contro un governo (oggi quello di Mario Monti, ieri quello di Silvio Berlusconi) e contro un paese intero (cioè l’Italia montiana e in larga parte ancora berlusconiana), non si può reagire limitandosi ad innalzare alti lai contro un destino cinico e baro.
 
Il governo caduto lo scorso anno proprio a causa di un’altra pagella di Moody’s (che fece da pretesto internazionale per spazzare via una maggioranza regolarmente votata dai liberi cittadini italiani), potrebbe legittimamente intentare un’action class contro l’agenzia; con richiesta di un indennizzo proporzionato al mutamento di sistema politico dall’agenzia prodotto coi suoi giochini algoritmici che hanno fatto ulteriormente innalzare lo spread, malgrado le precedenti ottimistiche previsioni assicurassero una sua costante contrazione. Ogni italiano, ovunque risieda nel mondo, dovrebbe far causa a chi si presta palesemente a fungere da paravento a oscuri interessi di sfruttamento finanziario di tipo colonialistico.
 
Ma la reazione più forte dovrebbe produrla la politica: in Europa e in Italia, reali vittime inconsapevoli (o persino ingenue) di quella rete di grandi speculatori finanziari che si celano dietro l’ombra delle agenzie di rating, trascinate tutte nel gorgo nauseante nel quale si è andata ad infilare Moody’s. La questione non può ridursi a parteggiare pro o contro l’euro o a rifugiarsi in manovre autoprotettive (non durevoli) dei paesi colpiti a freddo dal catastrofismo che l’agenzia ha consapevolmente provocato. Sarebbe già sufficiente infischiarsene delle pagelle di agenzie internazionali truccate e che truccano la roulette delle borse internazionali.
 
Purché non si cada nell’errore di allentare il rigore (più promesso che attuato) della spesa pubblica, che è la vera responsabile di qualsiasi crisi economica e di ogni fase recessiva. Fermando la nuova ondata corporativa che sta montando in Italia in quest’estate torrida, e avendo il coraggio di sfidare la (provvisoria) impopolarità, i politici responsabili possono replicare in maniera opportuna e congrua almeno agli speculatori (economici e politici) continentali, che irridono ai vertici mondiali dove si trova sistematicamente qualcuno che pagliuzze negli occhi altrui ne intravvede sempre per giustificare la propria irresponsabile inerzia.
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