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Peripezie (e contraddizioni) di Mr. Tod’s

Mister Tod’s è nervoso, molto nervoso. L’ultimo bersaglio delle sue pacchiane bordate mediatiche, Sergio Marchionne, nasconde ben altri obiettivi, che vanno cercati negli azionisti della Fiat, nel management di Mediobanca, in molti soci di Rcs. Sono loro i veri motivi dello scomposto nervosimo di Diego Della Valle.
 
Mister Tod’s in questi mesi conosce uno strano destino. È il vessillifero delle innovazioni nei salotti buoni della finanza, e uno dei pochi con il business in grande spolvero, però i signori dei salotti lo invitano a farsi da parte.
 
Di certo Della Valle non può essere considerato un buonista. Ma è anche un cattivista a giorni alterni. La sua volubilità si è palesata sulle Assicurazioni Generali. Il patron di Tod’s agli inizi di giugno ha consegnato la lettera di dimissioni da consigliere del Leone di Trieste. Della Valle non aveva condiviso forma e sostanza della sfiducia al capo azienda Giovanni Perissinotto. Peccato che lo stesso Della Valle, con gran giubilo di tanti a Trieste, fu il pirotecnico portavoce e battistrada del defenestramento di Cesare Geronzi dalla presidenza del colosso assicurativo quando Geronzi cercava di incalzare il top management.
 
Con tutta probabilità, Della Valle si è sentito scavalcato da Leonardo Del Vecchio come avanguardia del cambiamento al vertice del Leone, dove poi è arrivato Mario Greco al posto di Perissinotto.
 
Comunque, gelosie personalistiche a parte, sta di fatto che le incursioni dell’imprenditore marchigiano non sempre hanno avuto i risultati da lui sperati. Anche perché establishment si è arroccato. 
A ottobre scorso, ad esempio, quando Della Valle era pronto ad aumentare la sua partecipazione in Mediobanca, il patron di Tod’s avanzò anche la propria candidatura nel consiglio. Spiacenti, fu la risposta, ma non ci sono posti liberi, nonostante le garanzie verbali di Alberto Nagel, ad di Mediobanca. Al posto di Mister Tod’s, i vertici di Piazzetta Cuccia preferirono confermare Jonella Ligresti. L’industriale scrisse una lettera di dimissioni dal patto di Mediobanca. 

 
Qualche settimana dopo, il bis in Rcs. Della Valle, così come prevedeva il patto, chiese agli altri membri dell’accordo che governa Rizzoli il permesso di arrotondare la quota nel gruppo che pubblica tra l’altro il Corriere della Sera. Ma nelle stanze che furono di Luigi Albertini risuonò un altro no: stavolta di Giampiero Pesenti, decano dell’accordo. Non solo: i signori del patto escogitarono un modo cortese e indiretto per sbarazzarsi di Della Valle. D’ora in poi – stabilirono – i soci del patto (quindi non Giuseppe Rotelli) saranno rappresentati in cda da consiglieri indipendenti.


 
Insomma, la fortezza di Via Solferino si è rivelata inespugnabile per lo scalpitante imprenditore, vista la quota (il 58 per cento circa) in mano ai pattisti. Ma Della Valle sa che la truppa che prende ordini da “un impiegato” (il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro) e da un “ragazzino” (il presidente di Fiat, John Elkann) non ha intenzione di metter mano al portafogli.
 
Mentre Della Valle sì. Ma lo lasciano in disparte quasi ovunque nei cosiddetti e presunti salotti buoni. E lui si inalbera. Così nascono i giudizi sprezzanti su Antonio Fazio (“Stregone di Alvito”), sui Romiti (“Famiglia Addams”), su Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli (“Arzilli vecchietti”). Per finire ai “furbetti cosmopoliti” (alla Marchionne) e, naturalmente, ai presidenti-ragazzini. Ma con queste sortite è fisiologico che i salotti buoni diventino cattivi.
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