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Savona, l’euro e io

Caro Professor Savona,
Come imprenditore così vecchio da ricordare bene la sfilata per la conquista dell’impero, e che il Cavaliere del Lavoro Angelo Costa (amico di mio padre Cavaliere del Lavoro Francesco Violati) voleva sempre come suo accompagnatore nelle attese dei risultati delle Assemblee annuali della Confindustria che doveva certificare, avrei pensato di raccontare la storia di come l’Italia che ho visto povera e contadina negli anni prima e subito successiva alla seconda guerra mondiale, il suo miracoloso sviluppo sotto la guida di Einaudi, De Gasperi e Costa e il progressivo e crescente degrado morale e materiale dopo l’allontanamento di quei tre fantastici personaggi. Una sintesi del mio pensiero ho avuto modo di inviarlo a Giuseppe De Rita, al quale potrei chiedere un breve saggio non sui dati economici, ma sulle variazioni del “sentire degli italiani” in quegli anni. A Lei, che secondo le mie stime personali, è l’economista che io ho meglio conosciuto e allievo prediletto del presidente Carli, chiederei una conferma delle mie convinzioni in materia di quanto gli italiani dovrebbero fare per tornare ad una crescita solida e moralmente accettabile.

E io sostengo che le manovre richieste all’Italia dovessero essere subordinate ad una “messa in sicurezza dell’euro” con la creazione di una banca federale capace di agire come la Federal Reserve o come la Banca d’Inghilterra che garantiscono le proprie monete. Se fosse vero che il crollo dell’Italia potrebbe creare un tracollo della moneta comune, era da condizionare gli interventi depressivi sulla nostra economia a quella messa in sicurezza. Altrimenti “muoia Sansone con tutti i Filistei”.Ricordo quello che mi raccontava il presidente Carli: gli arabi vendevano un barile di petrolio contro un grammo d’oro, e al 1971, prima della denuncia del Trattato di Bretton Woods, un barile costava 1,25 dollari.L’aumento dei costi delle materie prime e l’inflazione non fanno danni simili alla recessione. La Merkel ricorda il chilo di pane a un milione di marchi, ma non ricorda che profittando delle incertezze dell’America, che solo nel 1932, eleggendo Roosevelt, ha affrontato la crisi del 1929, con misure contro la depressione, ha fatto conquistare il potere ad Hitler che ha potuto profittare della depressione tremenda in Germania.Mi farebbe un grande piacere poterLa incontrare o anche solo di avere conferma che le mie affermazioni siano accettabili e non eretiche.
Con i più cordiali saluti.
Carlo Violati


Caro Violati,
pur essendo trascorsi molti decenni dall’esperienza confindustriale mi ricordo che ci davamo del tu. Non vedo motivo per cambiare. Concordo su tutto quello che mi segnali, ma è una visione minoritaria che non capisco perché non si affermi, nonostante i danni che ha prodotto e continuerà a produrre.L’euro sarebbe stata una grande iniziativa se ci avesse portato all’unificazione politica del Vecchio Continente. Non essendosi realizzato l’obiettivo, è diventato una corda al collo dell’Italia. La tesi è che nell’euro e in Europa dobbiamo stare a ogni costo; io non la condivido. Il cambio è sopravvalutato per l’Italia e sottovalutato per la Germania: questo significa che il meccanismo non può funzionare in modo equo e va cambiato. Se per non cambiarlo, stringiamo la libertà fiscale, le cose peggioreranno.Ne ho viste tante nella mia vita e sempre ne siamo usciti. Spero che la speranza-previsione si avveri.
Un caro saluto.
Paolo Savona

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