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Cybercrimini: tanta paura per nulla?

Pubblichiamo un articolo uscito su Via Sarfatti 25, il quotidiano online della Bocconi

Che cos’è il furto d’identità? Si tratta di un fenomeno molto discusso negli ultimi anni, soprattutto in relazione al mondo digitale: quanto sono sicure le nostre informazioni online? È prudente procedere con un acquisto sul web? La convinzione diffusa è che l’apertura al mondo online renda i consumatori più vulnerabili a essere espropriati dei propri dati sensibili. In effetti, i rispondenti di una recente ricerca condotta da Cermes Bocconi sul tema del furto d’identità, su un campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 30 e i 60 anni, pensano che la condivisione dei propri dati sul web possa essere la ragione più probabile per subire questo tipo di reato.

Eppure, nella stessa ricerca, i consumatori ci hanno detto che solo il 15% di chi ha subito un furto di dati relativi a carta di credito o bancomat ha scoperto di essere stato derubato online. Dunque, oltre l’80% di questa tipologia di furti d’identità avviene offline. Questo numero è interessante perché ci fa riflettere sul reale rischio che corriamo effettuando un pagamento sul web (si consideri comunque che a oggi in Italia le transazioni offline rimangono più numerose rispetto a quelle online).

La realtà è che l’intero sistema di pagamenti online (istituti bancari, retailer, etc.), per poter funzionare e continuare a crescere, deve necessariamente ridurre al minimo il rischio di frode e aggiornare in modo pressoché continuo i propri standard di sicurezza.

Effettuare un pagamento online può essere molto più sicuro rispetto a lasciare la propria carta di credito in mano ad un esercente. Così sono stati infatti frodati il 40% dei rispondenti che sono stati in grado di scoprire com’è avvenuto il furto.

Gli italiani, dunque, si preoccupano troppo? Una riflessione merita il fatto che, sebbene il termine furto faccia subito pensare a frodi finalizzate a danni materiali, gli obiettivi del ladro d’identità possono essere molteplici e non è necessario il dolo economico perché si possa parlare di reato. Si pensi, per esempio, alla sentenza 46674 della Cassazione, che ha condannato un uomo per aver utilizzato un indirizzo email intestato a una propria conoscente per diffondere in rete contenuti di tipo sessuale. Questo tipo di reati è in realtà piuttosto comune: i risultati della nostra ricerca mostrano, per esempio, che oltre il 5% degli utilizzatori di social network ha scoperto online un profilo aperto da altri a proprio nome. Eppure, solo in un caso su 5 chi ha subito questo reato si è rivolto alla società che gestiva il sito per tentare di risolvere il problema. Un dato ancor più preoccupante è che una vittima su 5 non ritenesse la questione importante e dunque non considerasse necessario intraprendere una qualche iniziativa volta a risolvere il problema.

Il sospetto che emerge è dunque che, se da un lato gli italiani sono molto preoccupati dei danni che possono subire online, dall’altro non abbiano una piena consapevolezza di tutti i reali rischi della rete. Ciò è vero, in particolar modo rispetto al mondo dei social network: basta pensare che solo un terzo degli utilizzatori di social network ne modifica le impostazioni sulla privacy per limitare la condivisione delle proprie informazioni personali (dati Microsoft). Eppure il caso citato poc’anzi, della signora che ha visto il proprio nome associato a contenuti pornografici, ci insegna che forse è giunto il momento che gli italiani scoprano che i cybercriminali potrebbero non limitarsi ad attaccare il loro portafoglio, ma danneggiare un altro bene, altrettanto prezioso: la loro reputazione.

Alessandro Arbore è docente del Dipartimento di marketing dell’Università Bocconi.
Francesca Valsesia è assistant professor dell’area marketing della SDA Bocconi.

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