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Perché l’inconcludenza di Hollande eccita Le Pen

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, un’analisi di Guido Salerno Aletta uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Ogni promessa è debito. Quelle, poi, pronunciate in campagna elettorale lo sono ancora di più. E non stiamo parlando della promessa di eliminare l’Imu sulla prima casa, su cui il Pdl ha giocato la sua campagna elettorale nello scorso inverno, ma di ciò che sta accadendo in Francia.

C’è chi strabuzza gli occhi leggendo i sondaggi elettorali, al constatare che il Front National sarebbe accreditato addirittura del 24% nella prossima tornata al Parlamento europeo divenendo, se così dovesse essere, il primo partito francese. In molti si sono già dimenticati che a spianare la strada a Marine Le Pen, succeduta al padre nella guida del partito della destra francese, sono proprio le promesse non mantenute dell’allora candidato socialista alla Presidenza della Repubblica François Hollande.

Nell’inverno del 2012, costui aveva promesso che, se fosse stato eletto, “moi President” era il suo intercalare ossessivo, avrebbe chiesto di modificare lo Statuto della Bce per omologarlo a quello della Fed, prevedendo così di inserire la crescita economica come obiettivo accanto a quello della stabilità della moneta. Inoltre, avrebbe proposto di consentire all’ESM (il Meccanismo Europeo di Stabilità, il fondo salva Stati) di accedere direttamente ai mezzi liquidi forniti dalla medesima Banca centrale europea, senza doversi indebitare sul mercato finanziario.

Gli aiuti ai Paesi in difficoltà non sarebbero così gravati sulle finanze dei singoli Stati e, di conseguenza, su quelle degli incolpevoli cittadini. Naturalmente, di questi propositi, buoni o cattivi che fossero, non se n’è fatto nulla: dissolti come un sogno. Neppure sottoposti alla valutazione della Germania: il nein era scontato. Per di più, si rischiava di fare la figura dei difensori degli scialacquatori perdigiorno: greci, spagnoli, portoghesi, ed italiani. Il solo timore di assere accomunati a cotanta dissennatezza deve aver indotto al silenzio.

Mentre il Presidente Hollande si è dimenticato di queste promesse, ed è alle prese con sempre più complessi equilibri del bilancio pubblico, l’elettorato francese non se ne è dimenticato. Dal sondaggio, commissionato dal quotidiano Le Nouvel Observateur e pubblicato lo scorso 9 ottobre, emerge un dato molto simile a quello riscontrato nelle recenti elezioni politiche italiane: si passa dal bipolarismo al tripolarismo.

Rappresentati in Italia dal successo inatteso del Movimento 5 Stelle e dalla forza contundente che ormai viene quotidianamente esercitata negli Usa dal Tea Party nei confronti dei congressman repubblicani giudicati troppo malleabili nei confronti delle posizioni della presidenza di Barack Obama in ordine alla riforma sanitaria ed alla eliminazione delle tasse introdotte per finanziarla.

La questione del FN in Francia è ancora più significativa, perché ha un radicamento ampio e profondo: non è una formazione estemporanea e la sua campagna elettorale può influire su quella negli altri Paesi europei, creando un effetto di risonanza. Può modificare profondamente, per trascinamento, equilibri più ampi.

Paradossalmente, il fatto che in primavera si dovrà procedere all’elezione dei rappresentanti nel Parlamento europeo non solo consentirà finalmente di discutere nella sede appropriata tutte le questioni che attengono al disegno europeo, dall’equilibrio tra le nazioni al ruolo della moneta, ma verrà meno la disciplina politica nazionale, che obbliga gli elettori ad allinearsi ad un partito oppure ad un altro, perché facendo altrimenti si comprometterebbero gli equilibri politici interni.

In Francia la questione è ancora più rilevante, perché al Parlamento europeo si vota con un sistema proporzionale ad unico turno, senza preferenze. E’ un meccanismo fortemente rappresentativo e minimamente manipolativo della volontà elettorale, perché le cosiddette estreme non vengono sacrificate dalla convergenza nel secondo turno sull’altare della governabilità.

Equilibri consolidati possono saltare, storiche famiglie politiche che hanno fatto per decenni il bello ed il cattivo tempo potrebbero ritrovarsi minoritarie, mentre energie nuove irrompono sulla scena. L’establisment è messo sotto pressione un po’ dappertutto: ma sa solo ripetere per giustificarsi, non avendo di meglio da dire, che “ce lo chiede l’Europa” e che “i mercati votano tutti i giorni”.

Le iniziative si moltiplicano, anche a livello transnazionale: il Manifesto di solidarietà europea, ad esempio, è stato sottoscritto da autorevoli esponenti di diversi Paesi, dalla Germania alla Polonia, dall’Italia alla Gran Bretagna. Ci sarà da discutere, e da votare, in libertà: non solo in Francia, ne vedremo delle belle.

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