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Renzi, Epifani e il sadismo in politica

In una delle sue magistrali lezioni di filosofia morale, Hannah Arendt osservava che il sadismo è curiosamente assente nel catalogo canonico dei vizi umani. Eppure il puro piacere di infliggere il dolore e di contemplare la sofferenza – aggiungeva – dovrebbe essere considerato il vizio di tutti i vizi. Per secoli è stato rappresentato solo nella letteratura pornografica e nell’arte della perversione. Lo si è sempre rinchiuso tra le pareti della camera da letto, e solo da poco e di tanto in tanto si riesce a trascinarlo nelle aule dei tribunali.

Oggi, invece, è praticato liberamente e alla luce del sole nel Partito democratico. Basta pensare ai patimenti e alle tribolazioni comminate ai suoi militanti ed elettori, in una campagna congressuale segnata da una feroce lotta intestina per la leadership. Più che la miracolosa moltiplicazione delle tessere, colpisce il cinismo con cui i  “micronotabili” del Pd (Mauro Calise, “Fuorigioco“, Laterza 2013) manovrano gli iscritti in una logica di fazione.

Tertulliano e Tommaso d’Aquino annoveravano, in perfetta innocenza, la visione dei dannati all’inferno tra i piaceri che attendono i santi in paradiso. Epifani, Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella non sono Padri della Chiesa né santi, e quindi non avranno questa opportunità. Ma anche per loro vale, o dovrebbe valere, la prescrizione somma dell’etica cristiana (e kantiana): “Non fare agli altri ciò che non desideri sia fatto a te stesso”.

Michele Magno

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