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Il denaro, Papa Francesco e Marx

Nell’Esortazione apostolica “Evangelii GaudiumPapa Francesco sottolinea che all’origine della crisi finanziaria c’è una crisi antropologica, ossia la negazione del primato dell’essere umano. L’adorazione del vitello d’oro – ammonisce – ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro. Se si considera che sulla più importante banconota del mondo è stampato il motto “In God We Trust” (“Confidiamo in Dio”), l’allarmata denuncia del pontefice è più che giustificata.

Del resto, già Tommaso D’Aquino (e prima di lui Aristotele) aveva detto che “Nummus non parit nummos” (i soldi non si riproducono). Ma il Dottore angelico intendeva condannare non l’attività finanziaria in quanto tale, bensì l’usura, che è “innaturale pigliar denaro dal denaro”.

Dal canto suo, Marx – pur riconoscendo il ruolo determinante della finanza per lo sviluppo capitalistico – riprende da Shakespeare la definizione del denaro come “universale prostituta, universale mezzana di uomini e popoli”. Pure – prosegue – questa “forza galvano-chimica della società, capace di trasformare tutti i vizi in virtù, ha un limite. Perché se “supponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come rapporto umano, tu puoi scambiare amore solo con amore (“Manoscritti economico-filosofici del 1844”).

In altri termini, in una dimensione etica il denaro è impotente, e cessa di essere lo spirito reale di ogni cosa. Forse sarò tacciato di blasfemia, ma trovo qualche assonanza tra il punto di vista del fondatore del “socialismo scientifico” e il discorso di Papa Francesco, secondo cui non bisogna costruire la propria vita sull’idolatria di Mammona, vale a dire sul culto della ricchezza, vale a dire sulla sabbia.

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