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Renzi combatte le tesi sfasciste sul declino

Forse è proprio il motivo per cui una parte della sinistra lo detesta, ma è innegabile il tentativo di Matteo Renzi di superare – con nuove forme di partecipazione e con un nuovo linguaggio – le logiche oligarchiche e autistiche del Pd. Se si volesse sottolineare il punto di massima debolezza del Partito democratico in questi anni, l’accento andrebbe messo sul suo deficit di cultura politica. Non mi riferisco alla questione dei fini e dei valori, che pure non si improvvisano mai a tavolino, quanto alla capacità di interpretare i processi reali e di elaborare un’idea dell’Italia del terzo millennio.

Prendiamo l’ultima ricerca di Bankitalia sulla ricchezza delle famiglie. È la fotografia di un Paese certamente più fragile e più disuguale, che sta confiscando il futuro ai giovani e che penalizza oltremodo le donne. È però anche un Paese in cui, se le famiglie risparmiano meno del passato, la loro ricchezza netta resta pari a quasi otto volte il reddito lordo disponibile, di cui circa due terzi detenuti in attività reali (in grande maggioranza abitazioni).

Si può obiettare che sono dati noti. Come è noto il boom della raccolta di Bancoposta. Come è noto che solo una percentuale irrisoria dei contribuenti denuncia guadagni superiori ai centomila euro. Come è noto che la quota del sommerso è pari a un quinto del Pil.

Sono numeri e cifre che dovrebbero invitarci a non cadere nelle trappole della semplificazione giornalistica e della propaganda elettorale, laddove si descrive una realtà travolta dalla marea di un pauperismo inarrestabile. C’è la verità del potere d’acquisto in picchiata di salari e pensioni, e c’è la verità dell’abnorme giro d’affari che si sottrae alla tassazione. C’è la verità dei disoccupati, degli esodati e dei licenziamenti mascherati dalla cassa integrazione, e c’è la verità del lavoro nero dilagante.

Tornando al Pd, l’impressione è che Renzi stia cercando di correggere le tesi “sfasciste” – sul declino storico del nostro sistema produttivo – privilegiate nel recente passato. Beninteso, nessuno può sottovalutare le inedite e drammatiche fratture che rischiano di mettere a repentaglio le basi della cittadinanza democratica. Basta pensare a quel fenomeno che vede i mestieri più umili e meno qualificati “etnicizzarsi” impetuosamente, in particolare al Nord. Tuttavia, nessuno nemmeno può sottovalutare lo scenario di trasformazioni del lavoro e degli stessi stili di vita che riguardano ormai tutti: autonomi e dipendenti, imprenditori e professionisti, manager e operai.

Lo aveva compreso già negli anni Novanta un leader della Cgil come Bruno Trentin, convinto già allora che occorresse una strategia riformatrice per unire non il “lavoro”, ma le sue crescenti diversità. Così come è lo sfaldamento dei blocchi sociali e delle forme politiche novecentesche che oggi richiede la creazione di un moderno partito dei diritti civili, politici e sociali di tutti i cittadini, nativi e immigrati, spezzando definitivamente il legame arcaico tra sangue e terra.
Se questo è davvero il cammino che Renzi ha cominciato, probabilmente non sarà una passeggiata, ma la meta è promettente.

 

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