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Non solo Indesit. Quando il made in Italy diventa globalista

La crisi di Indesit si è conclusa con l’intervento di un compratore: Whirlpool, che ha annunciato che acquisirà il 66,8% dei diritti di voto dell’italiana per 758 milioni di euro entro fine anno.

LE PAROLE DEL COMPRATORE

“Ci aspettiamo che questa opportunità posizioni il nostro business europeo su un percorso di crescita e di continua creazione di valore insieme a una società affermata e di riconosciuto standing”, ha dichiarato Jeff Fettig, presidente del gruppo Usa. Dal fronte italiano, invece, strali dalla politica e dai sindacati contro la famiglia Merloni. Nel frattempo Etihad sta ancora trattando con Alitalia per acquisirne il 49% – una trattativa molto poco aperta: gli arabi di Abu Dhabi non concederanno sconti in cambio dell’iniezione di capitale nella moribonda compagnia di bandiera.

LE ALTRE PREDE

E si riaccende il dibattito sul made in Italy che se ne va. Da Frau, finita in Michigan, a Krizia sotto l’assedio cinesi, i casi più recenti. E gli spagnoli di Telefonica in Telecom, anche se forse ancora per poco; i francesi fanno incetta di lusso e cibo. Ne avevamo parlato qui: “Gli esempi negli anni si sprecano. La cioccolata Pernigotti, ceduti dai Fratelli Averna ai turchi Toksoz. Lo stilista del cachemire Loro Piana, finito nell’orbita del colosso francese del lusso Lvmh, la cui potenza di fuoco in precedenza gli aveva fatto conquistare senza resistenze Bulgari, Fendi, Pucci. Anche Gucci e Pomellato sono finite in Francia, sotto il cappello di Kering, l’ex Ppr. Insieme a Dodo, Bottega Veneta, Brioni e Sergio Rossi”.

L’ANALISI DI PROMETEIA

Le maggiori preoccupazioni connesse alle cessioni sono legate al fronte occupazionale. I numeri però smentiscono che in media ci sia perdita di posti di lavoro: secondo Prometeia, il fatturato delle italiane uscite dai confini nazionali dagli anni Novanta è cresciuto del 2,8% l’anno; l’occupazione del 2%, anche in territorio italiano, e la produttività dell’1,4.

LE ITALIANE CHE COMPRANO ALL’ESTERO

E poi c’è il verso della medaglia. Se dal 2008 dall’estero sono state acquistati, secondo Kpmg, 543 marchi italiani per 68 miliardi di euro, nello stesso periodo le italiane hanno messo le mani su 407 aziende straniere spendendo 45,1 miliardi. Negli anni precedenti la crisi e a partire dal 2000 il valore annuo dei deal Italia su estero era di 15 miliardi, contro i 15,3 miliardi delle operazioni estero su Italia.

MADE IN ITALY A CACCIA DI AFFARI

E gli esempi di serial shopper italiani sono tanti: da Generali che nel 2013 ha completato l’acquisizione della russa Ppf, a Snam che con il fondo sovrano di Singapore Gic ed Edf ha comprato Total di Transport et Infrastructures Gaz France. Ma anche Enel proprietaria di Endesa dal 2009 e poi in Nord e Sud America. O Eni che possiede la belga Distrigas e la francese Altergas. Oppure Brembo, che produce sistemi frenanti e che dal 2008 ha comprato sei piccole società cinesi; Amplifon, tre acquisizioni tra cui l’australiana Nhc. Ancora, Campari che dal 2008 ha introdotto nel suo perimetro dieci gruppi in giro per il mondo. Recordati, nel settore del pharma, che se n’è andata in Russia su Zao Akvion. Luxottica che ha comprato marchi Usa del calibro di Ray Ban e Oklay e negli ultimi cinque anni altre otto società, quasi tutte catene di distribuzione in Australia, Sud America, Nuova Zelanda.

L’OPINIONE DI DALLOCCHIO

“Hanno spoliato il sistema? – si chiede Maurizio Dallocchio, professore di Finanza aziendale alla Bocconi – affatto: lo hanno arricchitto. Se Luxottica compra reti di distribuzione nel mondo, aumenta la produzione ad Agordo. Brembo non ha tagliato un posto di lavoro e anzi ha centralizzato a Bergamo tutta la parte strategica. E quando è l’Italia a essere ceduta è lo stesso: chi compra probabilmente farà investimenti pubblicitari, aprirà negozi in tutto il mondo con visione italiana, aumenterà la produzione. Cambia la proprietà ma l’italianità ne giova. Le imprese devono fare occupazione, innovazione, ricerca qui. Di questo dovremmo preoccuparci e non di difendere una bandiera”.

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