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Chiesa e pedofilia. La versione di Kasper

A proposito della vicenda dell’ex arcivescovo Wesolowky, agli arresti domiciliari in Vaticano. In un’intervista al Corriere il card. Kasper, teologo in prima linea a favore della comunione ai divorziati risposati ormai assurto ad esegeta ufficiale del pontificato bergogliano, con tono perentorio afferma che il tempo delle protezioni è finito e che ora si guardano le cose dalla parte delle vittime. Come se fino a papa Francesco la chiesa non avesse fatto nulla per contrastare un fenomeno che, e anche questo va detto forte e chiaro, nella stragrande maggioranza dei casi riguarda persone sposate (a riprova, sia detto per inciso, che tra pedofilia e celibato non c’è alcun rapporto), come è stato ampiamente dimostrato. Ora, se è comprensibile e umano lo sforzo di Kasper (e non solo suo) nel presentare il pontificato di Bergoglio all’insegna della rottura, della svolta, del rinnovamento rispetto alla chiesa che c’era prima, resta il fatto che le cose stanno diversamente da come le racconta il teologo genuflesso. Punto primo: fu durante il pontificato di papa Wojtyla ad essere inaugurata quella linea del rigore che da allora la chiesa ha sempre tenuto. Lo ha ricordato su Repubblica Joaquim Navarro Valls, storico direttore della sala stampa vaticana durante il pontificato di S.Giovanni Paolo II, e il gesuita Hans Zollner, uomo di fiducia di papa Francesco e membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, in un’intervista sullo stesso quotidiano. “Mi ricordo perfettamente – scrive Navarro Valls – con quanta rapida sollecitudine Giovanni Paolo II nel 2001 stabilì le norme che attribuivano proprio alla congregazione per la Dottrina della fede, guidata dall’allora cardinale Ratzinger, poteri speciali, tra cui l’incarico di indagare, valutare e sanzionare questi abusi gravissimi”. Una ricostruzione indirettamente confermata, come dicevamo, dall’intervista del succitato Hans Zollner, il quale ha affermato che “E’ un grande errore ritenere che i casi (di pedofilia, nda) siano stati coperti a Roma. La realtà è che l’allora cardinale Ratzinger, nel 2000, per contrastare il fenomeno decise di accentrare la gestione delle accuse contro sacerdoti alla congregazione per la Dottrina della Fede…”. E se ciò non bastasse, c’è la testimonianza dello stesso papa Francesco che – come ha acutamente osservato uno dei massimi esperti in circolazione sul tema della pedofilia, ovvero Massimo Introvigne – nella famosa intervista al direttore della Corriere della Sera affermava che la chiesa, in materia di lotta alla pedofilia «ha fatto tanto. Forse più di tutti». «Le statistiche sul fenomeno», disse il Papa, mostrano che oggi ci sono più abusi altrove. «La Chiesa cattolica è forse la sola istituzione pubblica a essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più». Commenta Introvigne: “Credo che neanche il giornalista più capzioso possa immaginare che parlando della Chiesa che ha ottenuto risultati migliori di chiunque altro, documentati dalle statistiche, il Papa volesse parlare solo di se stesso e della Chiesa com’è da quando è diventato Pontefice lui: se non altro, perché i dati statistici disponibili si riferiscono ancora agli anni del pontificato di Benedetto XVI”. Punto secondo: anche quando Kasper dice che linea di papa Bergoglio è la stessa di papa Ratzinger sull’esigenza di fare chiarezza, le cose non tornano. Le parole usate da Kasper evocano infatti una sorta di giacobinismo teologico – tutte le rivoluzioni hanno inneggiato alla “purificazione”, di cui pure parla il teologo che fa teologia in ginocchio evidentemente a corrente alternata – che non ha niente a che vedere con la linea seguita da Benedetto XVI. Un conto è fare chiarezza, pulizia, correggere; altro conto è farlo dando in pasto i propri figli – tanto più se vescovi – alla gogna mediatica. In passato non si è trattato, come sostiene Kasper, di proteggere l’immagine della chiesa; se protezione c’è stata, si è trattato piuttosto di proteggere persone concrete, ovvero noi fedeli, noi pecorelle del gregge, soprattutto quelle più deboli, onde evitare che travolti dallo scandalo fossimo indotti al giudizio o, peggio, alla perdita di fiducia nella chiesa, senza per questo rinunciare alla necessaria correzione ma a porte chiuse e previo accertamento delle reali colpe. Un atteggiamento che per occhi mondani, anche se inforcano lenti da teologo, può essere sinonimo di omertà, ma che visto con gli occhi della fede è invece segno di grande sapienza. E di vera misericordia.

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