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Perché in Germania c’è qualche attrito fra aziende e governo sui profughi

“I profughi possono addirittura essere la miccia per il prossimo miracolo economico tedesco, così come lo sono stati negli anni Sessanta i milioni di ‘Gastarbeiter’ venuti a lavorare nelle nostre fabbriche”, sostiene il Ceo di Daimler Dieter Zetsche.  “Il lavoro è un fantastico volano per l’integrazione”, dichiara a sua volta al quotidiano berlinese Tagesspiegel, il direttore delle risorse umane di ThyssenKrupp Oliver Burkhard.

Se per i profughi, che a centinaia di migliaia si sono messi in cammino, la Germania è oramai la terra promessa, i profughi sono a loro volta diventati la manna caduta dal cielo, almeno stando alle dichiarazione di molti capi di industria. La Germania ha disperatamente bisogno di manodopera, manodopera qualificata ben inteso. Ne ha bisogno già oggi, sono 500mila i posti vacanti nel settore produttivo, e ne avrà bisogno ancora di più in futuro. Perché se dal punto di vista economico i tedeschi sono al primo posto nell’Ue, non così per sviluppo demografico.

 

GLI ATTRITI FRA AZIENDE E POLITICA

Si calcola, infatti, che senza l’inserimento degli immigrati, la Germania nel 2030 avrà un milione in meno di persone in età lavorativa. Per questo gli imprenditori accusano di miopia della politica che ostacola con lungaggini burocratiche l’ingresso nel mercato del lavoro di questi nuovi arrivati. E qualche giorno fa, in un’intervista al quotidiano Süddeutsche Zeitung, Ingo Kramer, presidente della Confederazione tedesca dei datori di lavoro (BDA) dichiarava: “La politica deve accelerare le procedure di ingresso nel mercato del lavoro. C’è bisogno di corsi di tedesco e  diritto di permanenza per i giovani profughi ammessi ai corsi di formazione”. Ma tra il dire, il denunciare e il mettersi poi in gioco in prima persona pare esserci una certa differenza. Questo almeno si evince da una inchiesta fatta dall’emittente Deutsche Welle insieme al mensile di politica e attualità Cicero.

LE PROCEDURE ATTUALI

E’ vero, le lungaggini burocratiche ci sono. Le norme attualmente in vigore prevedono che il profugo disponga di un permesso di lavoro, permesso che può essere richiesto però solo dopo una permanenza di almeno tre mesi in Germania. Una volta ottenuto le chance di trovare un lavoro restano comunque limitate. La legge prevede, infatti, che solo dopo una permanenza di 15 mesi in Germania anche al profugo venga riconosciuto il libero accesso al mercato del lavoro. Prima di questi quindici mesi, gli imprenditori devono invece comunicare le intenzioni di assunzione o di inserimento in uno stage all’agenzia per il lavoro e solo se non vi sono cittadini tedeschi o cittadini provenienti dall’Ue, può prendere il suo candidato.

COSA DICONO LE SOCIETA’ QUOTATE IN BORSA

Detto questo, l’inchiesta condotta dalla DW, mostra però anche un’altra faccia. DW ha preso in esame le 30 aziende tedesche presenti sul listino DAX, cioè quotate alla Borsa di Francoforte, chiedendo loro come si stanno attrezzando per assumere eventualmente alcuni dei nuovi arrivati. Molte non hanno nemmeno risposto, altre hanno dichiarato che insieme con i dipendenti hanno provveduto con generose collette. Nove aziende hanno affermato di voler mettere prossimamente a punto programmi di addestramento e inserimento. A essersi attivate concretamente sono, invece, fino a oggi solo tre: Telekom, Siemens, Daimler. Siemens già in primavera ha dato il via a un programma di inserimento di nove richiedenti asilo e pensa di ampliare il programma in ottobre.

ALCUNI CASI AZIENDALI

Anche Daimler ha già inserito nei suoi stabilimenti alcuni di loro. Zetsche nell’intervista alla DW fa però notare che “non sappiamo ancora se terminato lo stage resteranno, questo dipende dagli organi preposti a decidere se un richiedente asilo può restare o no in Germania”. Al momento sono “tollerati”, come la ragazzina palestinese messasi a piangere per le risposte evasive di Angela Merkel. Gli stage di Telekom sono invece per profili già molto qualificati: chiedono infatti studi di economia e una buona conoscenza dell’inglese così come del tedesco.

 

I NUMERI E LE CONTRADDIZIONI

E’ vero non tutti cercano laureati, ma qualificati si, come spiegava recentemente anche Frank-Jürgen Weise, capo federale delle Agenzie del lavoro: “Chi parla bene il tedesco e possiede una buona qualificazione non avrà problemi”. Peccato che non siano la maggioranza, anzi. A scorrere le statistiche pubblicate in questi giorni,  si vede che il profilo medio è di tutt’altro tenore: anche se l’88 per cento di coloro che sono giunti in Germania ha frequentato una scuola, di questi però solo il 7 per cento ha la maturità e il 24 per cento una formazione professionale. Da qui anche i calcoli su quanto costerà tutto questo che si cominciano a fare a Berlino: le agenzie del lavoro dovranno assumere 3000 nuovi impiegati, mentre i costi di integrazione nel mercato del lavoro e di sussistenza si calcolano in tre miliardi di euro solo per il 2016.

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