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Vi racconto la tragedia umanitaria che flagella la Siria. Parla Iacomini (Unicef)

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Oltre ai continui bombardamenti, i siriani devono vedersela ogni giorno con la mancanza d’acqua potabile, la carenza di carburante e di generi alimentari, e con precarie condizioni igienico-sanitarie. In una conversazione con Formiche.net, Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, spiega che molti convogli di aiuti restano bloccati nelle zone di conflitto, e a pagarne le conseguenze sono soprattutto i bambini, tagliati fuori così dall’assistenza umanitaria. Secondo Iacomini, la comunità internazionale gioca a scacchi sul territorio siriano. Ma se i negoziati di pace guidati da Staffan De Mistura fallissero, il mondo rischierebbe di trovarsi invischiato per ancora molti anni in una pericolosissima guerra.

Alcuni raid russi hanno colpito un ospedale Unicef ad Aleppo. Che situazione vivono gli operatori umanitari in Siria?

Non solo è complesso per gli operatori umanitari distribuire aiuti nelle zone sotto assedio, ma laddove è impossibile arrivare versano, come tutte le altre persone, in condizioni difficili, sia dal punto di vista fisico sia psicologico. Gli operatori dell’Unicef, in questi giorni, hanno manifestato tutto il loro sconcerto per la situazione di fame, desolazione, povertà e disperazione in cui versa questa popolazione e in particolar modo i bambini, vere vittime sacrificali di un inferno che non nasce oggi ma dura da cinque anni.

Può fare un bilancio delle vittime?

Non lo abbiamo. Le Nazioni Unite hanno smesso qualche anno fa di contare i morti della tragedia siriana, bimbi compresi. Posso con certezza e buon senso affermare che da tempo hanno certamente superato quelli della guerra in Bosnia, non una bella notizia purtroppo. L’ultimo attacco ha ucciso alcuni bambini, mentre si trovavano in un nostro ospedale materno infantile. Ad Azaz, nel bombardamento delle scuole, ci sono state sei piccole vittime innocenti.

Quali sono le principali problematiche che affrontate come Unicef nella regione?

La principale problematica è quella legata al rifornimento idrico; ad Aleppo, per esempio, le forniture di acqua sono state tagliate. Nella parte orientale l’accesso alle sorgenti di acqua potabile è molto limitato e l’Unicef si sta attivando per ampliare le operazioni di distribuzione di acqua tramite autobotti, come avvenuto nella parte occidentale della città per oltre 330mila persone. Inoltre, ci occupiamo delle condizioni igienico-sanitarie, gravi anche a causa della carenza di carburante necessario al funzionamento di servizi sanitari e altre infrastrutture. Sono stati dunque distribuiti kit per l’igiene familiare per 100mila sfollati e inoltre kit sanitari di emergenza per ospedali, centri sanitari e per 50mila sfollati nelle zone di Azaz, Afrin e Idleb. Un’altra problematica resta la malnutrizione, soprattutto di donne in gravidanza e bambini, alla quale si sta cercando di ovviare con il rifornimento di scorte alimentari. Ma non basta. In queste ore sembra si stia sbloccando un quarto nuovo convoglio di aiuti. La situazione è critica ovunque nel Paese e attualmente il numero di bambini tagliati fuori dagli aiuti di emergenza ammonta a 129mila nella sola città di Aleppo. Sono sempre più frequenti gli abusi e le violenze su base quotidiana nei riguardi di donne e bambini, come denunciato dall’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani.

Come qualificate i negoziati per la pace?

Sono fiducioso, perché a guidarli è un uomo di grande esperienza e profilo internazionale come Staffan De Mistura. Ce la farà o, diciamocelo senza giri di parole, sarà una guerra mondiale regionale come profetizzato mesi fa da Papa Francesco. Tutto il mondo gioca a scacchi su questo territorio, è evidente ed assai pericoloso. Lo avevo detto quattro anni fa, nessuno ha ascoltato.

Cosa può fare effettivamente la comunità internazionale per fermare la guerra? E i governi locali?

Sono passati cinque anni. Abbiamo, come agenzia delle Nazioni Unite, fatto molti appelli per fermare la guerra, un conflitto che quattro anni fa si poteva fermare evitare, che si è ingigantito con l’arrivo di forze ostili l’una con l’altra. Sembra la macabra rappresentazione della canzone di Angelo Branduardi “Alla fiera dell’est”: ogni giorno si aggiunge un protagonista che bombarda o minaccia di farlo in un territorio oramai distrutto dall’odio. La pace non fa più parte del dizionario politico delle nostre società e noi cittadini non scendiamo più in piazza per opporci al massacro di essere umani, come invece è accaduto in passato. Se non ci si indigna più vuol dire che siamo assuefatti e se siamo assuefatti vuol dire che tornano gli spettri di quanto già visto in altre tristi epoche storiche. Bisogna reagire e tornare a sentirsi cittadini del mondo ed esseri umani.

Cosa ricorda di più della sua esperienza nei campi di profughi siriani?

I sorrisi dei bambini che vanno avanti nonostante tutto, nonostante la fuga, le bombe, le perdite, le violenze, la morte a volte di parenti e genitori. Fanno il cenno di vittoria con le dita, ti abbracciano e vanno avanti. Sono il futuro, malgrado tutto.

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