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Vincenzo Boccia: ecco come sarà la mia Confindustria

Di Vincenzo Boccia

Vincenzo Boccia

CONFINDUSTRIA PER L’ITALIA

Cari Amici,

grandi sfide ci attendono nel nuovo quadriennio di presidenza: tocca a noi guidare il rinnovamento del Paese, offrendo proposte per tirarlo fuori dalle secche, investendo, innovando, rimettendo il sistema industriale al centro dello sviluppo dell’Italia.

L’economia è in ripresa, fragile e incerta, ma pur sempre ripresa. Dopo 7 anni di drammatica caduta: tocca a noi indicare le condizioni e le risorse per fare di questa ripresa un processo solido e vigoroso, capace di ridare speranza ai giovani, abbattere la disoccupazione, riaprire la strada dello sviluppo, anche in quelle zone del Paese che oggi sembrano esserne escluse.

È mutato il contesto politico, con l’avvento di un governo che fa del pragmatismo la sua cifra, portatore di un progetto di svecchiamento delle classi dirigenti, di rilancio dell’Italia. Dobbiamo sostenerlo nello sforzo rinnovatore, appoggiarlo se avanza, stimolarlo se esita, criticarlo se sbaglia. Se il Governo continuerà a essere un fattore di modernizzazione del Paese, avrà il nostro sostegno, se rallenterà la spinta, sentirà il nostro disaccordo.

Voglio essere chiaro: Confindustria deve restare nopartisan e questo è un valore irrinunciabile. Ma deve essere un attore-protagonista, capace di interpretare anche i copioni più difficili per portare sulla scena i bisogni e le proposte delle imprese.

Si annuncia la fine del bicameralismo, diventato nel corso del tempo una ragione di paralisi e distorsione dell’azione legislativa, invece che garanzia di equilibrio. Tornano allo Stato fondamentali competenze per la gestione dell’economia e, cosa ancor più importante, si ristabilisce la prevalenza dello Stato in tutti i casi in cui lo richieda la tutela dell’interesse nazionale.

Davanti a questo scenario, immagino una Confindustria di progetto, proposta e denuncia, dove convivano armoniosamente imprese grandi, medie e piccole, inclusiva e non elitaria, capace di fare sintesi nell’interesse trasversale di tutta l’industria italiana e ponte tra le esigenze dell’industria e quelle del Paese.

La nostra Casa Comune per una stagione di leadership collettiva, non individuale, che si proponga di pensare e sostenere l’Agenda della Competitività per l’Italia e per l’Europa. Rafforzando la sua identità, la sua capacità di rappresentanza e di servizio alle imprese.

Il futuro dell’Italia resta in Europa, con l’Europa

L’Europa della libera circolazione e della moneta unica sta attraversando una crisi esistenziale, la più grave dal Trattato di Roma.

La libera circolazione, prima che dei beni, dei servizi e dei capitali, è libera circolazione delle persone, che oggi minaccia di crollare sotto la pressione di flussi migratori senza precedenti, spinti dalle guerre e dalla fame.

Le decisioni comuni devono essere rispettate; serve una road map per ristabilire l’area aperta di Schengen. Chi non collabora dovrà subire serie conseguenze.

L’eurozona è diventata una camicia di forza di bassa crescita e politiche di bilancio restrittive. Tutto il peso del sostegno della domanda è caduto sulla BCE, con l’azione diquantitative easing, ma la sua efficacia è indebolita dall’assenza di misure fiscali espansive e dall’incertezza che attanaglia gli investitori.

La frammentazione della politica economica comune sta producendo una molteplicità di decisioni spesso tra loro incoerenti. Si spinge con la moneta e si restringe con i requisiti di capitale delle banche. Qualcuno ipotizza vincoli regolamentari sul possesso di titoli pubblici delle banche, senza valutarne le conseguenze sull’economia reale. L’applicazione delle regole sugli aiuti di Stato impedisce di affrontare le debolezze del sistema bancario.

Non c’è alternativa all’Europa. Senza l’Europa saremmo tanti piccoli vascelli in balia delle onde.

Serve più Europa: occorre rafforzare la dimensione federale rispetto a quella nazionale e a quella intergovernativa, condividendo sovranità per governare più efficacemente insieme.

Da soli, i paesi membri non possono gestire fenomeni così drammatici e complessi. Serve un disegno comune, una vera e propria Agenda per la Competitività Europea, che consenta di superare la visione angusta della casa in ordine: favorendo il ritorno dell’industria al centro dello sviluppo, obiettivo sempre annunciato e mai realizzato; rilanciando gli investimenti pubblici per infrastrutture; aprendo all’integrazione i mercati dei servizi a rete; creando sistemi di condivisione dei rischi che allontanino una volta per tutte i timori degli investitori di nuove crisi bancarie o dei debiti sovrani.

L’economia italiana

La bassa crescita dell’economia italiana viene da lontano. Tre fattori hanno pesato in maniera determinante.

Il primo è l’inefficienza del settore pubblico e la cattiva allocazione delle risorse che, unitamente a una loro distribuzione clientelare, ha eroso i margini per le politiche di investimento pubblico. L’accumulo del debito pubblico, giunto al 133% del PIL, è lo specchio fedele di questi sprechi.

Il secondo è stato il grave peggioramento nel corso degli anni della qualità delle istituzioni dalle quali dipende la crescita: dalle leggi, alla giustizia, alla macchina amministrativa. Problema aggravato da una cattiva riforma del Titolo V della Costituzione, che ha moltiplicato le leggi e appesantito a dismisura l’apparato pubblico.

Il terzo fattore è la bassa produttività, derivante principalmente da un sistema disfunzionale di determinazione dei salari, che è stata causa del peggioramento della competitività di prezzo delle nostre merci e servizi.

La situazione è stata aggravata dalla drammatica crisi economica e finanziaria, che ha finito per appesantire i bilanci delle banche con livelli stratosferici di sofferenze e ripercussioni sulla capacità del sistema bancario di sostenere l’economia reale.

Nel complesso, l’Italia resta un Paese nel quale gli impieghi produttivi sono scoraggiati e quelli improduttivi sono alimentati da protezioni e, spesso, da un’allegra distribuzione delle risorse pubbliche. Se non si affrontano con decisione queste distorsioni, se non si rimuovono i vincoli che impediscono di fare industria e scoraggiano gli investimenti, l’Italia non riuscirà ad uscire dalla stagnazione.

La questione industriale

Dobbiamo rilanciare la ‘vocazione industriale’ alla base della ricostruzione e del boom economico degli anni Sessanta, offrendo al governo e al Paese una strada percorribile: chiedendo agli altri attori di fare la loro parte, ma prima di tutto facendo noi quel che serve per imboccare di nuovo la via dello sviluppo in un contesto, però, molto diverso da quello del dopo-guerra.

La questione industriale è anche, e prima di tutto, culturale: bisogna contrastare il paradosso del secondo Paese industriale d’Europa in cui vivono ancora rilevanti dimensioni di cultura antindustriale. Dobbiamo saper raccontare con orgoglio a tutti, a partire dalle generazioni più giovani, l’importanza della identità industriale e produttiva dell’Italia. In questo un contributo determinante è nel documento dei nostri Giovani Imprenditori.

Rilanciare la “vocazione industriale” richiede innanzitutto di affrontare le leve di competitività e puntare su alcuni driver tecnologici.

I fattori di competitività

  1. Le relazioni industriali

Prima fra tutte quella delle relazioni industriali.

L’Italia si è a lungo caratterizzata per il divario più largo e persistente tra salari e produttività del lavoro, che addirittura è peggiorato negli anni della crisi. Con il Jobs Act il governo ha aperto la strada al superamento del mercato del lavoro rigido e dualistico. Spetta a noi ora la grande responsabilità di completare la riforma con un assetto di relazioni industriali adeguato alle sfide competitive che abbiamo di fronte.

Il cuore della questione è chiaro: dobbiamo fare del livello aziendale di contrattazione la sede dove realizzare lo scambio cruciale tra miglioramenti organizzativi e di produttività e incrementi salariali, con facoltà di derogare al contratto nazionale. Fa eccezione ovviamente il settore delle costruzioni nel quale il livello territoriale è l’unico livello di contrattazione.

Questo non impedisce in alcun modo di tener conto delle esigenze dei singoli settori, né di affermare modelli contrattuali diversi che ne rispettino le specificità.

Il livello nazionale può ancora servire a definire le tutele fondamentali del lavoro e ad offrire una soluzione per quelle imprese che esitano ad affrontare il negoziato in azienda.

Lo spostamento della contrattazione richiede di dare piena attuazione agli accordi che abbiamo firmato il 28 giugno 2011 e il 31 maggio 2013, coerenti con tale percorso.

Su questo voglio però dire una cosa chiara: la questione contrattuale e della rappresentanza appartiene alle forze sociali. A noi il diritto e la responsabilità di affrontarla in modo ambizioso. Al Governo il dovere di porre in essere le condizioni affinché imprese e lavoratori possano fare fronte alla sfida del recupero di produttività. In altre parole, non vogliamo regole imposte dall’esterno, ma una politica fiscale di detassazione e decontribuzione del salario di produttività strutturale negli anni, che, senza tetti di salario e di premio, incentivi modelli virtuosi.

Imprese più competitive grazie al recupero di produttività scaleranno i mercati internazionali e incrementeranno le vendite di beni e servizi nel mondo, creando ricchezza che potranno poi distribuire.

Soltanto così potremo stimolare il circolo virtuoso competitività-occupazione-domanda interna.

  1. Il credito, la finanza per la crescita e le reti d’impresa

La seconda questione – che dipende soprattutto da noi – riguarda la crescita dimensionale delle nostre imprese. I mercati internazionali offrono innumerevoli opportunità. Per coglierle servono imprese patrimonializzate e capitalizzate.

A noi, quindi, due compiti: convincere le nostre imprese a fare il salto di qualità e pensare azioni e proposte per mettere a loro disposizione strumenti adeguati alle esigenze finanziarie.

A partire dalla definizione di una politica del credito incentrata su tre aspetti:

–        il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI e la razionalizzazione dei Confidi;

–        un supporto diretto alle imprese, da realizzare, come hanno già fatto in maniera lungimirante diverse Associazioni del nostro sistema, di una funzione credito che ne faciliti il dialogo con le Istituzioni Finanziarie;

–        la revisione del quadro regolamentare a livello internazionale, per puntare a regole rigorose ma non oppressive, contemperando le ragioni della stabilità con quelle della crescita. Un obiettivo fondamentale di questa azione è la conferma del PMI Supporting Factor a livello europeo. Allo stesso tempo dobbiamo sottolineare gli effetti negativi sull’offerta di credito e sull’economia reale di un’eventuale ponderazione dei titoli di Stato nei bilanci delle banche. In sostanza non possiamo avere una BCE che stimola politiche anticicliche ed espansive e regolatori che ne annullano gli effetti. È poi necessario lavorare per definire dei rating per le imprese che permettano loro di attrarre investitori, aprirsi a capitali esterni, facendo emergere e valorizzando i parametri intangibili. In tal senso occorre lavorare con ABI e le singole Banche.

Dobbiamo poi costruire una finanza al servizio delle imprese, restituendo così al credito la sua giusta funzione, apprestando strumenti finanziari alternativi, adeguati a supportarle nei loro processi di investimento e di crescita. Occorre far diventare il progetto Elite di Borsa Italiana, che abbiamo contribuito a costruire, la grande vetrina per le nostre imprese per attrarre investitori istituzionali italiani e stranieri. Dobbiamo strutturare il mercato del debito societario, favorire l’accesso delle imprese al mercato dei capitali e promuovere un maggior contributo di fondi pensione e compagnie di assicurazione al finanziamento del sistema produttivo.

La crescita dimensionale va perseguita anche attraverso strumenti che spingano le imprese a collaborare. A partire dalle reti d’impresa: un’intuizione felice che ha permesso alle imprese di costruire alleanze e fare sistema, sulla quale sempre più dobbiamo puntare.

  1. La riforma dello Stato

Quella dello Stato resta la riforma delle riforme per sbloccare il Paese.

Rientrano in questo capitolo le semplificazioni, sulle quali si avanza, ma troppo adagio; il cambiamento dei modelli organizzativi e la gestione concorrenziale dei grandi sistemi di servizio pubblico, incominciando dalla sanità e dai servizi pubblici locali; il sistema degli appalti pubblici, dove il nuovo Codice può veramente rappresentare una svolta se ben applicato.

E vi rientrano la riforma delle giustizia e quella dell’amministrazione pubblica. Qui torna al centro la questione della cultura anti-industriale, che ancora permea il modo di pensare e di agire di una gran parte degli attori di questi sistemi. Su questi temi dobbiamo condurre una battaglia anche culturale per far cambiare mentalità, far dialogare meglio giustizia e amministrazione, da un lato, ed economia, dall’altro, far capire a queste il linguaggio delle imprese ed esercitare un vero e proprio ruolo di controllo sociale.

  1. La questione fiscale

Nonostante i progressi compiuti con la delega fiscale, il nostro sistema resta oppressivo nei carichi e negli adempimenti. Continuiamo a pagare non solo troppe tasse, ma anche cattive tasse, per la macchinosità con cui sono concepite, per chi e cosa vanno a colpire, per la loro incomprensibilità rispetto a chi vuole investire nel nostro paese. La certezza del diritto è ancora lontana.

Dovremo allora ragionare sulla possibilità di un grande scambio: basse aliquote, base imponibile semplificata, da un lato, fine della moltitudine dei trattamenti privilegiati, le famose ‘tax expenditures’, dall’altro. Nel quadro di una riforma organica, dobbiamo spingere per una drastica semplificazione della tassazione del reddito d’impresa, avvicinando sempre più la base imponibile all’utile civilistico.

  1. La questione energetica

Anche qui, nonostante significativi miglioramenti, vi sono ampi spazi su cui intervenire per ridurre il costo dell’energia e rimuovere le barriere tecniche e strutturali che limitano la libera circolazione dell’energia a livello europeo.

In quest’ottica dobbiamo puntare su alcune leve prioritarie:

–        rilanciare il ruolo strategico dell’Italia come hub del Sud Europa per il mercato del gas naturale;

–        riconoscere il ruolo chiave dell’industria petrolifera in un Paese di trasformazione come l’Italia e la centralità della raffinazione e distribuzione dei prodotti petroliferi;

–        creare un sistema di prezzi in grado di promuovere in modo sinergico rinnovabili, termoelettrico e comportamenti di consumo efficienti;

–        promuovere le tecnologie in grado di centrare gli obiettivi europei e del COP 21 di sostenibilità ambientale ed economica, lavorando ad un grande progetto per l’efficienza nell’interesse di tutti e senza contrapposizione ideologica tra fornitori ed utilizzatori di energia;

–        investire su un grande programma nazionale di messa in sicurezza e riqualificazione energetica delle reti infrastrutturali, delle abitazioni civili, degli edifici pubblici.

  1. Il capitale umano

La qualità del nostro capitale umano è cruciale per il rafforzamento della competitività della nostra industria. Non possiamo pensare di affrontare le sfide tecnologiche del futuro senza avere le competenze tecniche.

Confindustria ha da tempo sviluppato importanti proposte, sapendo che senza migliorare il sistema educativo non riusciremo a restare al passo con il ritmo dell’innovazione richiesta dai nuovi paradigmi tecnologici e industriali. Le nostre priorità riguardano: più alternanza tra scuola e lavoro nei processi formativi, aprendo le porte delle imprese a numeri crescenti di giovani in formazione; il rilancio dell’istruzione tecnica e professionale; lo sviluppo di lauree ‘professionalizzanti’, che rispondano nel contenuto alla domanda di competenze delle imprese; la diffusione nelle scuole della cultura d’impresa; l’affermazione del merito e della competizione come valori fondanti del sistema educativo; un dialogo costante con le scuole.

Serve un salto nel sistema dell’università e della ricerca, ancora troppo centralizzato, burocratizzato, soggetto a logiche consensuali e spartitorie nell’allocazione delle risorse, che purtroppo sono anche scarse.

Se si liberassero con decisione le mani ai centri di eccellenza e alle strutture più avanzate – nella determinazione delle tasse universitarie, nella selezione di docenti e ricercatori, nell’assegnazione su base competitiva dei fondi di ricerca – la parte migliore del nostro sistema potrebbe giocare a viso aperto la sua partita tra le migliori istituzioni a livello internazionale. Col tempo, anche le istituzioni più deboli si rafforzerebbero.

Scuola, Università e Ricerca sono le chiavi di volta del benessere e dello sviluppo.

  1. L’internazionalizzazione

Valorizzare il made in Italy nel mondo deve essere per noi una missione. Dobbiamo perciò avere l’ambizione di pensare a un progetto strategico per l’espansione all’estero delle imprese italiane, che metta insieme le competenze di tutti gli attori, pubblici e privati, e che passi per il rafforzamento delle strutture di sostegno e accompagnamento delle imprese, a partire dai servizi di assicurazione e di finanziamento. Guardiamo con attenzione all’ipotesi di una export bank al servizio delle nostre Imprese.

Un aiuto concreto deve venire anche dal coordinamento delle nostre rappresentanze internazionali, che devono essere e fare sistema con le imprese e con le Associazioni territoriali e di categoria, oltre che con tutte le altre istituzioni pubbliche.

In questo progetto noi dobbiamo essere promotori di alleanze di filiera tra grandi, medie e piccole imprese e facilitare la costruzione di partenariati con le imprese estere.

Al pari degli altri Paesi, le politiche di cooperazione vanno coordinate come una dimensione della politica economica di crescita delle nostre imprese all’estero.

Noi dobbiamo far diventare la posizione geografica dell’Italia da sud d’Europa a snodo centrale tra Europa e Mediterraneo per assumere una leadership geo-economica.

In questo progetto un ruolo chiave lo giocano le politiche commerciali. Per questo dobbiamo essere ancora più presenti ed efficaci là dove si decide, a partire dall’Europa. TTIP e MES Cina sono due dossier sui quali si gioca un bel pezzo di futuro dell’industria europea.

Infine, dobbiamo essere capaci di ascolto e attenzione verso gli investitori esteri, che possono aiutarci a definire priorità e proposte per la competitività del Paese e l’attrazione degli investimenti. Allo stesso tempo dobbiamo, e possiamo essere, con le nostre strutture e le nostre associazioni un punto di riferimento per supportare chi vuole venire ad investire in Italia.

  1. I nostri Sud

Chi conosce il Paese sa che esistono i Sud. Il nostro Mezzogiorno non ha bisogno di politiche speciali, ma, piuttosto, di politiche più intense, ma uguali a quelle necessarie per il resto del Paese. Incominciando dal miglioramento delle istituzioni pubbliche, che devono riprendere a funzionare correttamente, e del quadro infrastrutturale, in grave ritardo di investimenti.

Le risorse europee e nazionali della politica di coesione territoriale, per il periodo 2014–2020, sono strategiche per la competitività del Paese, per costruire un grande laboratorio di sperimentazione ed attrattività di investimenti pubblici e privati, in cui far confluire un piano organico per le Grandi Infrastrutture prioritarie per il Paese, la rigenerazione urbana, il risparmio energetico, il turismo, la riqualificazione del territorio, la legalità e la competitività delle nostre imprese.

I driver del cambiamento tecnologico

Oggi l’unica strada che abbiamo a disposizione per difenderci dalla concorrenza dei Paesi a basso costo di manodopera è quella di puntare su produzioni ad alto valore aggiunto, investendo in tecnologia e innovazione.

Dobbiamo farlo perché solo aumentando il contenuto di tecnologia e innovazione, ricerca e sviluppo, delle nostre imprese – nel prodotto, nella logistica, nella distribuzione, nella capacità di partecipare alle reti distribuite nelle quali si crea il valore aggiunto sui mercati internazionali – noi potremo restare nella competizione mondiale. Solo investendo e innovando potremo arrestare e invertire i processi di deindustrializzazione che hanno colpito così duramente la nostra struttura industriale negli ultimi tre lustri.

Bisogna però puntare su pochi driver di cambiamento tecnologico, su cui investire risorse significative e una adeguata concentrazione degli interventi. Mi riferisco qui soprattutto a due grandi famiglie di interventi.

  1. Le infrastrutture materiali e immateriali

Occorre investire massicciamente nello sviluppo delle grandi reti e progetti infrastrutturali, dall’energia, ai trasporti, alla logistica, all’economia del mare.

Nonostante gli interventi del Governo nell’ultimo biennio, il valore della produzione nel settore delle costruzioni pubbliche e private continua a diminuire. Occorre pertanto una politica efficace e soprattutto concentrata sui risultati.

Sulle città metropolitane, vanno pensati interventi sulle periferie, supportati anche con provvedimenti straordinari di natura fiscale, sulle nuove linee metropolitane sotterranee e di superficie per migliorare i collegamenti interni e di accesso ai luoghi di lavoro.

Priorità massima va data alla realizzazione delle infrastrutture strategiche necessarie a mettere in rete il Paese al proprio interno e con il resto dell’Europa (network TEN-T).

Occorre un piano di riforma portuale che non si limiti solo a interventi di governance, ma che renda i nostri porti competitivi, in grado di intercettare i nuovi traffici e compatibili con il gigantismo delle nuove navi. Dobbiamo parlare di economia del mare. Bisogna evitare che i valichi in corso di realizzazione per mettere in rete il nostro paese nel sistema europeo divengano il percorso di rientro delle merci dai grandi porti del nord. Occorre dare piena applicazione al Nuovo Piano Aeroportuale con il collegamento degli aeroporti “core” Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia con le linee ad Alta Velocità/Capacità.

Nelle telecomunicazioni è urgente colmare il ritardo nello sviluppo della rete fissa a banda larga e ultra larga. L’innovazione del parco infrastrutturale dovrà svilupparsi con l’introduzione delle reti ‘intelligenti’ di nuova generazione. L’obiettivo della concentrazione degli interventi resta fondamentale, eppure ancora non riusciamo a realizzarlo; troppo denaro si disperde tra mille rivoli, mentre la macchina pubblica sembra incapace di realizzare le grandi opere.

  1. La questione digitale e Industria 4.0

Serve un piano strategico nazionale per l’adozione delle tecnologie digitali, il grande driver del cambiamento tecnologico e della crescita, dove purtroppo il nostro Paese è rimasto drammaticamente indietro. L’indicatore DESI della Commissione europea colloca agli ultimi posti tra i paesi dell’Unione europea in tutte le dimensioni rilevanti – connettività, tecnologia, capitale umano, uso di Internet da parte di imprese e famiglie, servizi pubblici digitali. La buona notizia è che il Paese ha iniziato a muoversi e nei tassi di cambiamento figura molto più favorevolmente.

La chiave del miglioramento sta, anzitutto, nel rapido ampliamento dei soggetti raggiunti dalla banda larga, dando attuazione alle azioni del piano strategico del governo per la crescita digitale. Cruciale è l’adozione sistematica e coordinata del digitale in tutte le amministrazione pubbliche e nei loro rapporti con i cittadini. Questo obiettivo richiede a sua volta una governance rafforzata dei processi di digitalizzazione – tra l’altro chiarendo le linee di comando, evitando continue modifiche normative e d’indirizzo, rafforzando poteri e mezzi dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) – e un approccio sistemico e integrato tra i diversi soggetti coinvolti, pubblici e privati.

Altrettanto importante è lo sviluppo del commercio elettronico, nel quale l’investimento delle imprese appare ancora troppo modesto. Iniziative ben coordinate e mirate di e-learning e di assistenza nell’applicazione delle tecnologie IT per le imprese di piccole dimensioni potrebbero accelerare l’impiego del digitale in ampi strati di popolazione e di imprese.

Confindustria può offrire un fondamentale contributo, in termini culturali e formativi, ma anche di indirizzo tecnologico, per contribuire alla rivoluzione digitale delle nostre imprese e all’affermazione di nuovi modelli produttivi che vanno sotto il nome di ‘Industria 4.0’. In questo contesto, dovremo avvalerci delle competenze trasversali delle nostre Associazioni di sistema, definendo una proposta di sintesi, per la competitività delle nostre imprese.

 La nostra Confindustria

La nostra ambizione e la nostra responsabilità sono di offrire a tutte le imprese la possibilità di mantenere la leadership del cambiamento, quella capacità di mutare pelle che dobbiamo mantenere viva anche con il nostro impegno associativo, costante e generoso.

La nostra sarà una ossessione per la crescita del Paese e delle nostre imprese: le piccole imprese devono diventare medie, le medie devono diventare grandi, le grandi devono diventare multinazionali. La nostra sarà la sfida della crescita.

Dobbiamo lavorare sui tre pilastri fondamentali del nostro sistema: identità, rappresentanza e servizi.

L’identità industriale è il patrimonio di valori e di saperi da cui ripartire: il primo capitale sociale del nostro Paese. Spetta a noi ribadire con forza la centralità dell’industria come principale antidoto alla stagnazione e alla bassa crescita, dall’industria manifatturiera – nostro caposaldo -, all’industria delle costruzioni, all’industria dei servizi, a quella del turismo e della cultura.

Questo è il primo impegno di Confindustria, un’associazione di grandi imprenditori di piccole, medie e grandi imprese, la casa della cultura di impresa e dell’imprenditorialità, autorevole, autonoma, dialogante, che include e non esclude, né elitaria né autoreferenziale, che sa fare sintesi delle proprie proposte nell’interesse dell’industria italiana, a vantaggio di tutti e non contro qualcuno, senza preconcetti né pregiudizi. Una Confindustria capace di superare ogni residuo corporativismo e che esprime il meglio dell’associazionismo contemporaneo, ancorata alla propria identità e ai propri valori, ma riformatrice nelle azioni e nei metodi, capace di cambiamenti radicali.

La Confindustria in cui vogliamo lavorare insieme è capace di rappresentare la sintesi degli interessi, equidistante dai partiti, ma non distante dalla politica. Una Confindustria di progetto e di proposta, ma anche di denuncia ferma delle criticità; all’interno della quale ci assumiamo tutti la responsabilità di pensare, definire e proporre un’“agenda per la competitività” sia italiana che europea, che preveda un intervento organico di politica economica, che incida profondamente sulla capacità di competere delle nostre imprese.

Confindustria deve promuovere l’innovazione, l’efficacia e l’efficienza in tutte le sue azioni: la rappresentanza è solo un costo, se male esercitata. Al contrario, è un valore se supporta le nostre imprese nei processi di trasformazione e crescita e nella competizione sui mercati internazionali, e se viene esercitata da un soggetto forte e autorevole nella interlocuzione con il potere politico.

Dobbiamo investire in una Confindustria che sappia evolversi rapidamente nei servizi, in particolare per le piccole e medie imprese, al fine di dotarle della cassetta degli attrezzi con cui affrontare le sfide della crescita: dall’internazionalizzazione, all’innovazione; dall’accesso al credito alla nuova finanza. Dobbiamo essere noi stessi gli attori della trasformazione del sistema industriale per portare il nostro Paese definitivamente fuori dalla crisi.

Dobbiamo valorizzare l’anima politica della riforma Pesenti, una riforma nata dal basso e condivisa all’unanimità dalla nostra assemblea, e per valorizzarla dobbiamo guardare a quello che in questi primi due anni ha funzionato e a quanto invece ha mostrato dei limiti, intervenendo per migliorarla perché la riforma pone le basi per un rafforzamento del nostro sistema, che noi dobbiamo perseguire.

In primo luogo, la riforma indica le due sedi di Confindustria a Roma e a Bruxelles. È chiaro il segnale che bisogna essere presenti laddove si decide, sviluppare una capacità nuova di interlocuzione con le istituzioni europee, oltre che con il governo in Italia.

Inoltre, viene istituito il Comitato per le Rappresentanze Regionali. Vi sono qui due messaggi: il primo è di presidiare le decisioni di politica economica in chiave regionale, dato che a questo livello molto si spende e molto si gestisce, con effetti rilevanti sulla crescita. Il secondo è che il Mezzogiorno cessa di essere questione a sé, diventa parte della questione nazionale dello sviluppo.

Infine, si legge nella prima pagina del testo Pesenti che rappresentare interessi significa essere ponte tra gli interessi delle imprese e l’interesse del Paese, ritornando in questo allo spirito della Riforma Pirelli.

Qui s’innesta la nuova governance:

–        l’Advisory Board sarà organo di elaborazione strategica, laboratorio di idee, luogo delle competenze dove, attraverso un confronto dialettico tra imprenditori ed esperti, possano venire grandi contributi alla visione lunga sui temi prioritari dell’agenda economica;

–        il Consiglio Generale definirà le linee politiche dell’associazione. Sarà il luogo del dibattito, del confronto e dell’elaborazione delle decisioni politiche, il luogo in cui arrivano le sollecitazioni e le proposte dai territori e dalle categorie ed in cui mediare tra gli interessi delle nostre associazioni e gli interessi strategici per una visione di sintesi e da cui deve anche partire a cascata l’azione sul sistema, affinché ci sia immediata percezione degli esiti delle attività di rappresentanza e dei risultati ottenuti. Solo così si rafforzano sia la capacità di attrarre imprese del nostro sistema, sia il senso di identità, di appartenenza e la coesione interna;

–        il Consiglio di Presidenza darà attuazione alle sintesi politiche e agli indirizzi emersi dal Consiglio generale. La squadra di Vice Presidenti, espressione di equilibrio territoriale, dovrà essere composta da persone competenti nelle materie affidate, che possano dedicare tempo di qualità al servizio del sistema. A loro saranno attribuite, anche in virtù della Riforma Pesenti, poche deleghe importanti e chiare, e l’autonomia per esercitarle, con il supporto dei Gruppi Tecnici;

–        la sede di Bruxelles deve diventare punto di raccordo tra le esigenze del sistema e le istituzioni europee, nelle quali dobbiamo muoverci come interlocutori autorevoli e presenti con continuità. Intendo mantenere la delega per il Centro Studi per il quale vedo un ruolo cruciale e potenziato nell’elaborazione delle nostre analisi e linee strategiche. Il Centro Studi contribuirà a dare fondamento economico alle nostre linee politiche;

–        in questo quadro, valorizzeremo il ruolo dei Giovani Imprenditori come movimento di persone, fucina di ceto dirigente di Confindustria e anima critica del sistema. Massimo rilievo continuerà ad avere la Piccola Industria, fondamentale componente di rappresentanza e stanza di compensazione del nostro sistema. Dalla Piccola Industria mutueremo il grande lavoro fatto sulla identità, forte e consolidata Comunità nella grande famiglia Confindustria. Rispetterò il ruolo politico di queste due componenti e di ciò che rappresentano. Non difenderò la Piccola Industria e i Giovani Imprenditori, questo lo faranno da soli, ma difenderò il loro ruolo affinché mai più qualcuno in questa nostra casa comune possa immaginare o desiderare di chiudere la Piccola Industria e i Giovani Imprenditori e concentrare il dibattito tra pochi eletti. Tutti i contributi indicati nei vostri documenti saranno parte delle nostre linee d’azione e di pensiero;

–        il Comitato delle Rappresentanze Regionali sarà il luogo del benchmark delle migliori politiche regionali, di proposta in chiave regionale delle politiche economiche, per portarle a sintesi nazionale, nell’interesse dell’industria italiana. Una grande responsabilità è affidata ai nostri Presidenti regionali, quella di una Riforma che attribuisce loro un ruolo politico, di presidio e di proposta in merito alle politiche regionali, all’uso dei fondi strutturali per la competitività del Paese e con la mission di aggregare territori.

Definiremo le priorità, chiederemo e proporremo di fare scelte, politiche a saldo zero e non a costo zero, richiameremo l’attenzione sugli effetti sull’economia reale delle misure di politica economica e non solo sui saldi di bilancio.

Per esercitare nel modo più alto la nostra attività di rappresentanza abbiamo bisogno di investire nelle nostre competenze, anche attraverso adeguati percorsi di formazione per chi si avvia ad assumere posizione di vertice nel nostro sistema. Dobbiamo reinterpretare in senso moderno l’eredità importante di cui siamo custodi, il nostro patrimonio associativo, valorizzando il cambiamento per essere capaci di rappresentare tutte le imprese: quelle esistenti e quelle che nasceranno, le piccole, le grandi e le multinazionali tascabili, le imprese industriali e quelle dei servizi.

Perché questo si realizzi dobbiamo far funzionare al meglio la nostra rete:

–        Confindustria al centro deve saper raccogliere gli stimoli, le sollecitazioni e le proposte delle imprese, di cui le associazioni di territorio e le categorie si fanno portatrici, elaborandoli per ricercare le soluzioni migliori da prospettare agli interlocutori politici;

–        Confindustria deve essere anche il luogo dove si mettono a fattor comune le migliori pratiche del nostro sistema, per diffonderle su tutti i territori e fare in modo che diventino patrimonio comune, perché tutte le imprese, dovunque operino, possano attingere al meglio che il nostro sistema è in grado di offrire, operando in una logica di business community;

–        Confindustria e le nostre associazioni devono essere cinghia di trasmissione delle imprese verso tutti i livelli di governo, facendo capire chiaramente il valore sociale del nostro lavoro, rendendo più strategica la nostra comunicazione e misurando continuamente l’impatto economico delle nostre proposte;

–        una Confindustria a partire dalla squadra di Presidenza ed arrivare alla struttura che sappia innanzitutto ascoltare, precondizione per saper rappresentare, che riduca il divario e la distanza tra centro, territorio e categorie, che faccia della prossimità alle nostre Associazioni e della prossimità delle nostre Associazioni alle imprese, uno dei suoi fondamentali.

Per realizzare questi obiettivi ambiziosi abbiamo bisogno di una struttura competente, flessibile, coerente con le linee strategiche, potenziando i punti nodali, ridimensionando le attività superflue ed eliminando ogni spreco. Dobbiamo lavorare molto sulla comunicazione, sia interna che esterna, con strumenti adeguati: dovremo potenziare le funzioni dedicate all’interno della nostra struttura, mettendo a rete le migliori professionalità del sistema e utilizzando tutte le forme più innovative delle comunicazione.

Le nostre Associazioni devono essere parte di un grande progetto, i luoghi della innovazione, dei servizi alle imprese, in un sano benchmark porteremo l’intero sistema a livello di alto profilo. Ad esempio, sul credito e la finanza mutueremo le migliori esperienze dei territori, così come per il partenariato tra imprese seguiremo con attenzione le esperienze della Piccola Industria, per il progetto Elite di Borsa Italiana definiremo dei desk in ogni nostra Associazione, faremo in modo che le idee di start up possano arrivare nelle nostre Associazioni. Dobbiamo diventare i luoghi della innovazione e aperti al nuovo, la vita associativa deve essere parte della crescita, delle relazioni e dei confronti tra i nostri imprenditori. La nostra deve essere una grande stagione di partecipazione, Associazioni aperte e luoghi in cui si progetta il futuro.

Lavoreremo per rafforzare sempre più l’indipendenza economica del Sole 24 Ore, definendo la mission e presidiando il rispetto della linea editoriale nell’autonomia totale dei giornalisti. Il Sole 24 ore dovrà essere sempre più portatore della cultura economica e industriale nel nostro Paese.

Continueremo a sostenere la LUISS nei suoi programmi per l’eccellenza accademica e lo sviluppo internazionale.

La nostra sfida più grande oggi è essere all’altezza dei nostri oltre 100 anni di storia: la nostra autorevolezza, la nostra credibilità dipenderanno dalla capacità di rimetterci continuamente in discussione ed essere sempre alla testa dell’innovazione e del cambiamento del Paese.

A questa nostra Casa Comune devo parte importante della mia formazione, da cittadino, da imprenditore e da uomo di sistema di associazione. Questa mia storia, questa formazione fatta di impegno, passione, senso di responsabilità, identità mi rende orgoglioso. Grazie a questa formazione, oggi mi presento qui, mi metto in discussione, esprimo la mia idea di rappresentanza e ringrazio tanti di voi che hanno contribuito al mio pensiero.

Questo senso di maturità e di responsabilità mi ha sempre fatto sentire parte di una comunità, la nostra Confindustria. Alcune stagioni le ho condivise, altre no, ma sempre ho rispettato l’Istituzione Confindustria. La Riforma di Confindustria vuole esaltare proprio il concetto di Comunità, ci mette alla prova, definisce il voto a maggioranza che questo Consiglio dovrà esprimere, ed il voto a maggioranza è uno strumento accettato ed accettabile solo quando coloro che siedono attorno al tavolo sentono di appartenere ad una stessa comunità democratica che sta decidendo nell’interesse comune.

Grazie a tanti di Voi ho imparato molte cose, tra queste alcune che riguardano uno stile, un modo di essere, identità e valori. Ho imparato che delegittimare gli altri significa delegittimare se stessi e questo vale sia al nostro interno che nei rapporti con le Istituzioni e con le parti sociali. Ho imparato che se vuoi essere classe dirigente responsabile devi essere coerente tra il dire e il fare altrimenti perdi credibilità, che è la precondizione dell’autorevolezza, che si conquista e non si dichiara.

Non userò mai, riferendomi a noi, il termine discontinuità, lo ritengo irrispettoso per chi ci ha preceduto, io, come tanti di voi, per quel senso di appartenenza alla nostra comunità, non rinfaccerò sconfitte e né mi esalterò dalle vittorie.

La mia sarà continuità nei valori e nell’identità e cambiamento che ci è imposto dai nuovi contesti, nello stile, nel merito, nella struttura.

Voglio ringraziare Giorgio Squinzi per il lavoro che ha svolto e, soprattutto, per il grande esempio che ha dato a tutti Noi per l’abnegazione ed il sacrificio personale in particolare nella seconda parte del suo mandato.

Voglio esprimere un saluto ai miei colleghi Bonometti, Regina e Vacchi, i confronti che abbiamo fatto in giro per l’Italia mi hanno arricchito personalmente, ne ho apprezzato la determinazione, la forza e l’umanità, le loro qualità nelle nostre diversità.

So che devo conquistare la vostra testa e il vostro cuore e, se ci riuscirò, insieme conquisteremo la testa e il cuore dei nostri imprenditori. Questo percorso lo considero una precondizione per conquistare insieme la testa ed il cuore del Paese, un Paese cui dare la sveglia, un Paese dal cuore industriale che deve essere più consapevole delle sue potenzialità, un Paese, la nostra Italia, in cui ci sentiremo corresponsabili del suo futuro.

La nostalgia di futuro ci guiderà ogni giorno.

 

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