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Cosa unisce Trump, Farage e Wilders

Nigel Farage

Alla convention repubblicana che ha incoronato ufficialmente Donald Trump candidato del GOP alla Casa Bianca hanno preso parte anche Nigel Farage, leader dimissionario del partito indipendentista britannico UKIP, e Geert Wilders, capo del Partito delle Libertà olandese. Il primo ha annunciato un tour per le città europee per sostenere gli euroscettici a sostenere referendum simili a quello che lo scorso 23 giugno ha segnato l’inizio dei lavori per la Brexit. Il secondo, invece, ha espresso vicinanza alla linea di Donald Trump anche in politica estera sostenendo la necessità di aprire alla Russia di Putin destinando la NATO ad interventi strettamente legati al terrorismo e non più di carattere economico-cooperativo.

Nigel Farage, intervistato da Politico, ha raccontato il suo nuovo progetto che partirà a settembre da Atene, dove parteciperà ad un dibattito sull’euro: “Potrò viaggiare in Europa aiutando gli altri movimenti indipendentisti ma non dirò loro come votare”, ha dichiarato. “Dovremmo celebrare una Europa diversa, fatta di Stati indipendenti e se potrò fare qualsiasi cosa in questa direzione la farò”, ha aggiunto. Farage, uno degli artefici della vittoria del Leave nelle urne britanniche di fine giugno, ha deciso di abbandonare il suo ruolo nel partito ma ha rinnovato il suo impegno nella politica. Come Trump, Farage ha sviluppato la sua campagna elettorale per il Leave attorno alla questione immigrazione. Toni simili utilizzati dai due leader tra muri da costruire con il Messicano e barriere naturali come la Manica da vigilare. Toni simili utilizzati dai loro accusatori che li additano di razzismo: in quarantamila hanno sottoscritto una petizione che ha portato alla denuncia del leader dello UKIP e della campagna Leave.EU, sostenuta dal partito indipendentista, per aver incitato all’odio razziale e religioso.

Durante il discorso con il quale ha accettato la nomination repubblicana, Donald Trump ha parlato della necessità di cambiare classe dirigente, ormai scollegata rispetto alle richieste del popolo. Da par suo, Geert Wilders, intervistato da Mattia Ferraresi per Il Foglio proprio in quel di Cleveland, ha affermato: “L’America sta vivendo esattamente la stessa situazione dell’Unione europea: un’enorme disconnessione fra l’élite e il popolo. La crescente influenza dell’immigrazione e le insicurezze economiche hanno indotto un bisogno di protezione enorme nelle persone, soltanto che la vecchia classe dirigente vive su un altro pianeta e non ha nemmeno idea di quello che la gente chiede”. Wilders riconosce a Trump di parlare mettendo “gli interessi della gente al primo posto” anche a costo di dire cose non gradite ai suoi alleati d’oltreoceano: un insegnamento per tutti i politici europei, secondo il leader olandese, gran sostenitore della Nexit. È proprio “America First”, prima gli americani, uno degli slogan più utilizzati dal magnate americano.

Se “Britain First” è diventato il grido indipendentista tristemente famoso per la morte della deputata laburista Jo Cox, “prima gli italiani” è una delle frasi più spesso pronunciate da Matteo Salvini, sempre più interessato al movimento internazionale anti-establishment ed indipendentista che sale da destra. Le diplomazie leghiste sono al lavoro per portare Nigel Farage anche in Italia a sostegno di un referendum italiano sull’Europa. Allo stesso modo si stanno muovendo gli ambasciatori di Marine Le Pen, la leader del Front National francese.

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