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Potenzialità e sfide delle banche italiane. Il pensiero di Rossi (Banca d’Italia)

Di Salvatore Rossi

Pubblichiamo un estratto dell’intervento tenuto dal direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, durante la Giornata del Credito organizzata oggi dall’Anspc (associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito) presieduta da Ercole Pellicanò. Qui il resoconto del Giornata

Come interpretano le banche italiane la loro dominanza nel fornire finanza esterna a imprese che sono fortemente indebitate, in particolare quelle medio piccole? Qualcosa è cambiato negli ultimi anni, in meglio sotto certi punti di vista, in peggio sotto certi altri.

Alla frammentazione delle nostre imprese, fenomeno antico, la crisi di questi anni ha aggiunto in Italia una notevole polarizzazione del sistema produttivo, anche se questa in parte riflette la scala dimensionale.

A un estremo vi è un gruppo di buone, in qualche caso eccellenti, imprese, molto profittevoli, collocate sulla frontiera tecnologica mondiale, fortemente esportatrici se sono manifatturiere. Hanno dimensione varia, anche piccola, ma sono prevalentemente medio-grandi. Anche quelle più grandi hanno comunque una dimensione aziendale piccola nel confronto internazionale.

All’altro estremo troviamo aziende che la crisi ha messo in seria difficoltà; molte sono fallite, molte lo sono quasi. Anche in questo caso la loro dimensione è varia, ma la piccola o piccolissima scala prevale; quindi le aziende in questa categoria sono tante, anche se producono una quota men che proporzionale di valore aggiunto.

In mezzo c’è una zona grigia. La dimensione prevalente è quella media. Sono a volte aziende in difficoltà ma non prossime al fallimento, con un potenziale almeno in parte inespresso. In altri casi sono aziende di successo, anche su scala internazionale, ma che mancano della capacità manageriale e delle risorse finanziarie per fare un salto di qualità significativo: cambiare assetti tecnologici, adottare le migliori pratiche manageriali, ampliare la gamma dei propri prodotti, allargare lo spettro di azione verso i mercati mondiali più dinamici.

Le imprese al primo estremo cominciano a voler fare a meno delle banche, o almeno fanno valere la propria buona reputazione e, anche quando vogliono seguitare a servirsi delle banche, fanno agire pienamente la concorrenza servendosi della pratica ultradecennale del multiaffidamento. Le banche spesso le inseguono.

Le imprese all’altro estremo si vedono oggi rifiutare il credito. Giustamente, aggiungo, anche se con preoccupazione. Quando le vacche erano grasse e i legami localistici o politici delle banche con la clientela erano più forti e più opachi, era più facile occultare la cattiva gestione di alcuni intermediari nel selezionare i debitori; ora è sempre più difficile.

Il punto dolente sono le imprese della categoria intermedia, la zona grigia. Sono capaci le banche di intravedere il potenziale inespresso di molte di queste imprese, andando al di là delle loro temporanee difficoltà? Sono capaci, una volta che lo abbiano individuato, di aiutare le imprese a esprimerlo, questo potenziale? E anche se ne sono capaci, le nuove regole e i nuovi supervisori a cui le banche sono assoggettate consentono questo mestiere di investigazione e di supporto o si affidano esclusivamente e meccanicamente ai rating, esterni o interni?

Ogni perplessità è lecita. Ma se ne viene affacciata una, tocca innanzitutto alle banche fugarla, con opportune misure organizzative e di governo.

(QUI L’ARTICOLO DI FORMICHE.NET CON IL RESOCONTO DELLA GIORNATA DEL CREDITO)

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