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Ecco i veri numeri sui musulmani in Italia. Parla il prof. Introvigne

Contrariamente alla percezione diffusa nell’ultimo anno sono calati, seppur di poco, gli immigrati musulmani in Italia. Ma soprattutto è cresciuta la presenza di minoranze religiose, sempre più diversificate. È quanto emerge dal rapporto statistico annuale sulla presenza di minoranze religiose in Italia promosso dal CESNUR – Centro Studi sulle Nuove Religioni: un volume di 1700 pagine curato da Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli e presentato a Roma durante il convegno “Dall’Islam in Europa all’Islam europeo”. Ne abbiamo parlato con il direttore e fondatore del centro studi, il sociologo e scrittore Massimo Introvigne.

Professore, quali sono i dati che più emergono dal rapporto?

Il tema che ha suscitato maggiore attenzione nell’opinione pubblica è stato quello dell’immigrazione musulmana, anche se di fatto non è il principale del rapporto, visto che dal 2011 stimiamo la presenza di tutte le minoranze religiose in Italia: che sono parecchie, 853 per la precisione. Ed è vero che queste comprendono gruppi di persone anche molto piccoli, però si tratta di un dato in crescita.

In effetti è un numero che certamente stupisce. Significa che siamo diventati una società pluralista?

Siamo in realtà una delle società meno pluraliste del mondo! Separando i registri dei cittadini con passaporto italiano da quelli solamente presenti nel territorio – avremmo cioè cinque milioni di non cittadini da aggiungere, tra immigrati e stranieri – siamo, dopo Malta, la società meno pluralista in Europa. Le minoranze religiose infatti sono soltanto il 3,2 per cento dei cittadini, anche se in crescita rispetto al 2,9 del 2015. Detto in altre parole, il 96 per cento non fa parte di minoranze religiose, cioè sono cattolici oppure atei – che stimiamo intorno al 7 per cento – e agnostici. E tra i cattolici, i praticanti sono soltanto il 18 per cento.

Per quanto riguarda gli immigrati?

Tra gli immigrati, se consideriamo tutti i presenti sul territorio italiano, gli appartenenti a minoranze religiose sono il 9,3 per cento. E facendo questo calcolo aggiuntivo anche i rapporti all’interno delle varie minoranze religiose cambiano radicalmente: i musulmani cittadini italiani sono 302 mila, ma i musulmani immigrati non cittadini nel 2016 sono 1 milione e 609 mila, leggermente meno rispetto all’anno scorso. Quindi la cifra è molto diversa e lo stesso vale per la minoranza degli ortodossi immigrati, che molti dimenticano, ma che sono 1 milione 541 mila; mentre gli ortodossi tra i cittadini italiani sono 212 mila. Un numero molto vicino ai musulmani, e che pochi considerano.

Il calo degli immigrati musulmani, pur se lieve, è comunque un dato che emerge dal rapporto.

Sì, stimiamo che ci sia un lieve calo. Che ci dice che certamente non c’è l’islamizzazione galoppante di cui alcuni parlano. Al contrario, se vogliamo, c’è un processo di cristianizzazione, perché fra gli immigrati i cristiani sono il 53,8 per cento, mentre i musulmani sono il 32 per cento. Visto che questi dati l’anno scorso erano pressappoco uguali, significa che più immigrati arrivano in Italia e più la percentuale dei cristiani sale. Ma questo lo sanno bene anche i parroci: non a caso un terzo della metà di chi va in chiesa sono filippini, peruviani, senegalesi, romeni cattolici. Quindi, mentre il numero di italiani che vanno in chiesa diminuisce, le chiese rimangono ragionevolmente piene perché ci vanno gli immigrati, e questo è un fenomeno che sperimentano anche i protestanti.

E questo tema della cristianizzazione vale sì per la società italiana, ma anche per gli altri continenti.

È vero. La settimana scorsa sono stato alla Baylor University, in Texas, che è il centro forse più importante di queste statistiche, e anche lì è emerso che oggi sempre di più si dimostra che non è un caso che sia stato eletto un Papa “dalla fine del mondo”. Il peso dell’Europa nella Chiesa cattolica diventa sempre più minoritario, ormai solo un quinto dei cattolici mondiali stanno in Europa: il continente con più cattolici è l’America latina, ma anche l’Asia e l’Africa sono vicine all’Europa in termini numerici, e forse c’è già stato il sorpasso. Se inoltre noi facciamo la conta non dei battezzati ma dei praticanti, vediamo che l’Uganda è un paese più cattolico del nostro.

Si potrebbe dire una Chiesa, oltre che universale, sempre più internazionale…

Questa crescita globale dei cattolici deriva in gran parte dall’Africa e dall’Asia (in America Latina crescono i cristiani ma non i cattolici: molti passano al protestantesimo, soprattutto di matrice pentecostale), che compensano ampiamente il calo che c’è in Europa. Ma questo si nota anche in Italia, dove si vede che l’oratorio è gestito da immigrati, come le stesse catechesi: gli immigrati rivitalizzano parrocchie dove ben pochi italiani andavano più a messa.

Qual è invece la sensazione diffusa di questo fenomeno?

È strabiliante, perché se noi facciamo dei sondaggi vediamo che gli italiani sono convinti di una forte ondata immigratoria musulmana. Se gli si chiede di dare una cifra sugli immigrati, la più menzionata è intorno al 20 per cento mentre in realtà, stimando anche generosamente i clandestini, non si arriva al 10 per cento.

Una percezione falsata dell’invasione…

Falsata di più del doppio. E più del 90 per cento degli italiani è convinta che gli immigrati siano in gran parte di religione musulmana. Un dato contro intuitivo è che su dieci immigrati più o meno ci sono 5 cristiani e 3 musulmani.

Dal punto di vista sociologico si parla comunemente di secolarizzazione, o meglio di scristianizzazione delle società occidentale. Ci sono però anche studiosi e sociologi, penso a Bauman oppure allo spagnolo Casanova, che parlano di una progressiva riconquista dello spazio pubblico da parte delle religioni. Anche lei ha scritto molto sul tema. Oggi qual è la sua posizione?

Quindici anni fa io e Rodney Stark abbiamo scritto un libro intitolato ‘Dio è tornato’, quindi potremmo dire di essere stati abbastanza ante marcia rispetto a questo tema del ritorno del sacro. Comunque sì, anche se secolarizzazione è un espressione che ha molti significati diversi. In genere si conviene che non c’è secolarizzazione delle credenze. Cioè se noi nelle società occidentali poniamo alle persone la domanda: “Crede che ci sia qualcosa che va al di là di quello che si vede e si tocca?”, il dato negli ultimi 50 anni è sorprendentemente stabile, ed è superiore al 90 per cento in quasi tutti i paesi occidentali, quindi le credenze sono scarsamente secolarizzate. Vi è invece una fortissima secolarizzazione dei comportamenti, perché se noi prendiamo degli indicatori come ad esempio il fare figli – e tutte le religioni in genere offrono una visione favorevole della famiglia e del fare figli –  vediamo che al contrario in occidente si fanno sempre meno figli. Oppure prendiamo i divorzi, l’atteggiamento nei confronti dei rapporti matrimoniali e prematrimoniali, l’omosessualità, o prendiamo anche indicatori che vanno al di fuori della sfera sessuale, come la solidarietà, l’atteggiamento nei confronti degli immigrati, e vediamo che il cristianesimo in occidente è sempre meno influente nei confronti dei comportamenti sociali. Quindi, per dirla con le parole di alcuni colleghi, c’è molta macro secolarizzazione e pochissima micro secolarizzazione. Quello di cui si dibatte è però la cosiddetta secolarizzazione intermedia, cioè la partecipazione all’attività delle Chiese. E qui le statistiche sono diversissime da paese a paese: negli Stati Uniti chiese, sinagoghe, templi e quant’altro sono frequentate da circa il 40 per cento della popolazione. In Italia se sommiamo minoranze e cattolici praticanti arriviamo al 20 per cento, e in Francia addirittura al 10.

Come si manifestano nella pratica, questi numeri, in Italia?

Questi hanno anche delle conseguenze pastorali, perché quello che un parroco avrà da dire per esempio ai peruviani non sarà lo stesso degli italiani. L’altro fenomeno che in Italia è meno pronunciato, è che chi abbandona le chiese cristiane tradizionali non passa all’ateismo ma spesso passa a delle altre religioni. Il dato dei 157 mila buddhisti in Italia, tutti convertiti, lo trovo molto significativo. Oppure dei 35 mila induisti. L’Italia è inoltre il paese nel mondo con la più alta percentuale di testimoni di Geova, che sono un raggruppamento curioso perché si sottostimano. Quindi non tutti quelli che non vanno più nella chiesa cattolica scivolano nell’indifferentismo o nell’ateismo.

Quindi in definitiva non un calo di fede, o di ricerca, ma più che altro una mancanza di risposte alle domande che ci si pone…

In parte è quello che gli inglesi chiamano “believing without belonging”: si leggono libri religiosi, magari quando passa il Dalai Lama lo si va a sentire, o quando passa il Papa va a sentire il Papa, però non si pratica nessuna religione. E in parte ci si distribuisce in alcune minoranze religiose che hanno avuto successo. Tutto questo però sempre sottolineando che in alcune comunità cattoliche, e specialmente nelle città più grandi, il posto dei cattolici che non vanno più in chiesa è spesso preso da immigrati.

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