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F-35, che cosa si sono detti Trump e Hewson (Lockheed Martin)

Il batti e ribatti tra il presidente eletto Donald Trump e il colosso statunitense della difesa Lockheed Martin potrebbe essere giunto alla sua fine. L’accordo tra il costruttore e il Dipartimento della Difesa (DoD) per il decimo lotto di caccia F-35 è vicino, e ad annunciarlo è stata proprio la ceo Marillyn Hewson (nella foto) al margine di un nuovo incontro con il magnate.

LE PAROLE DELLA CEO
“Sono contenta di aver avuto la possibilità di dirgli che siamo vicini a un accordo che porterà il costo ad abbassarsi in modo significativo rispetto al lotto precedente”, ha detto ai giornalisti la Hewson lasciando la Trump Tower di New York. “Gli ho anche dato alcune idee su alcune cose che pensiamo che possiamo fare per ridurre il costo del programma F-35″, ha aggiunto. “Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con lui del programma F-35 e certamente condivido le sue opinioni sulla necessità di ottenere le migliore capacità per i nostri uomini e le nostre donne in uniforme, e dobbiamo farlo al prezzo più basso possibile”, ha spiegato ancora il ceo.

I PRECEDENTI
La notizia sembra poter finalmente mettere fine al dibattito che il nuovo presidente ha intrapreso con il colosso della difesa nazionale immediatamente dopo l’elezione a colpi di cinguettii su Twitter. Inizialmente Trump aveva denunciato i “costi fuori controllo” del programma per il nuovo Air Force One prodotto da Boeing, l’altro big nazionale del comparto difesa e aerospazio. Un settimana dopo era stata la volta dell’F-35, caccia di quinta generazione che rappresenta per il Pentagono il programma più costoso della propria storia, perciò particolarmente esposto alla critiche di Trump, già durante la campagna elettorale. I due tweet del neo presidente avevano portato allora i vertici delle due società, la Hewson e l’ad di Boeing Dennis Muilenburg, a un faccia a faccia con il presidente eletto. Ne era uscito peggio proprio il ceo di Lockheed Martin, dato che il giorno dopo Trump aveva twittato: “Sulla base dell’enorme superamento dei costi dell’F-35 di Lockheed Martin, ho chiesto a Boeing il prezzo per un analogo F-18 Super Hornet!”.

Dopo le vacanze natalizie, la saga era proseguita nel corso della prima conferenza stampa ufficiale di Trump dello scorso mercoledì. Dalla Trump Tower, il magnate aveva ribadito l’intenzione di abbassare i costi del programma. “Otterremo costi più bassi, un aereo migliore, e una migliore competizione: sarà una cosa bellissima”, aveva detto il tycoon. Lockheed Martin aveva risposto ricordando, così come aveva fatto a dicembre, di aver già ridotto del 70% il costo unitario del caccia di quinta generazione rispetto al primo lotto.

IL RITROVATO ACCORDO
Ora, le parole della Hewson sembrano far tornare il sereno. Il numero uno di Lockheed Martin ha, infatti, spiegato ai giornalisti che l’azienda intende aumentare la sua facility di produzione a Fort Worth, in Texas, per circa 1.800 posti di lavoro, sebbene non sia ancora chiaro se questo rientri nell’accordo con il DoD o faccia parte dei piani del costruttore a prescindere dall’esito della contrattazione sul decimo lotto. In ogni caso, il potenziamento della produzione in Patria è un argomento particolamrente caro a Trump, ed è possibile che ciò lo abbia convinto a seppellire, almeno per ora, il tweet di guerra.

Per quanto riguarda il contratto per il decimo lotto non ci sono però dettagli. Per il nono lotto di 57 F-35, il governo aveva portato Lockheed Martin ad accettare un contratto da 6,1 miliardi di dollari , fissando il prezzo unitario a circa 102 milioni per l’F.35A, 132 per l’F-35B e per la versione C. A dicembre, come ricorda Defence News, il tenente Christopher Bogdan, capo del programma F-35, aveva detto di aspettarsi per il decimo lotto una riduzione di circa il 6-7% del costo per 90 aerei.

L’ITALIA NEL PROGRAMMA
L’Italia partecipa come partner di secondo livello al programma F-35 Lighnting II ed è sede, presso il sito di Cameri, dell’unica linea di assemblaggio e verifica finale (Faco) esterna agli Stati Uniti insieme a Nagoya, in Giappone. Proprio per questa rilevante partecipazione, l’Italia sarebbe stata bersaglio, secondo quanto rivelato da Repubblica, a giugno dello scorso anno, di un attacco da parte di un collettivo di hacker, probabilmente russi, che avrebbero violato i server dell’Aeronautica militare. I vertici militari hanno rassicurato: gli attaccanti non sono riusciti a trafugare informazioni classificate.

Il sito di Cameri si occupa in ogni caso dell’assemblaggio finale dei velivoli italiani (e in parte olandesi) e della produzione dell’assieme alare, attività gestite dalla divisione velivoli di Leonardo-Finmeccanica, ex Alenia Aermacchi. Secondo l’attuale accordo industriale con Lockheed Martin, a Cameri verranno prodotte 835 unità alari (66 all’anno a pieno regime), assicurando un considerevole rateo produttivo. A Cameri è stato prodotto anche AL-1, il caccia dell’Aeronautica militare, primo F-35 a volare al di fuori degli Stati Uniti a settembre 2015, consegnato alla Forza armata a dicembre, e primo F-35 a completare un volo transatlantico lo scorso febbraio. Cameri sarà anche il centro di manutenzione, riparazione e aggiornamento (Mro&U) per gli F-35 basati nell’area euro-mediterranea.

Secondo il Documento programmatico pluriennale per la Difesa (2016-2018), i ritorni dell’intero programma sono di circa 14,1 miliardi di dollari, di cui 1,8 già conseguiti. Le stime di PricewaterhouseCooper sono ancora maggiori e parlano di un ritorno economico di 15,8 miliardi di dollari. Dal punto di vista occupazionale, i risultati dello studio condotto da Finmeccanica e Aiad nel 2014 prevedono 6.400 posti di lavoro, numero condiviso anche da PwC.

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