Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il tenore gentiluomo. Storia di Giovanni Matteo de Candia

Il tenore gentiluomo a cui è intitolato il poderoso lavoro Il tenore gentiluomo. La vera storia di Mario (Giovanni Matteo de Candia) di Felice Todde, edito da Zecchini editore, è di particolare interesse non solo per i non numerosi studiosi sul tenore cagliaritano conosciuto in tutto il mondo sotto il nome di “Mario”, ma anche e soprattutto per gli studiosi di storia della musica interessati a come i teatri d’opera e il mondo circostante (giornali, critica, vita musicale in genere) funzionassero nell’Ottocento al di fuori dell’Italia, in particolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Infatti, la carriera di “Mario” si svolse principalmente all’estero.

Autore del testo è Felice Todde, uno storico della musica di rango che ha lavorato per diverse istituzioni musicali italiane e straniere e che si è dedicato con passione a un ricerca minuziosa e paziente allo studio della vita di un cantante cagliaritano come lui, ma poco noto in Italia benché conosciutissimo all’estero.

Giovanni Matteo De Candia nacque a Cagliari il 17 ottobre del 1810 da una famiglia della piccola aristocrazia del Regno di Sardegna. Il suo titolo era di cavaliere nobile. I suoi parenti erano alla corte di Torino e suo padre, comandante del Reggimento Cacciatori Guardie, fu aiutante di campo del Re Carlo Felice e governatore di Nizza. Per mitigare l’opposizione paterna alla carriera nello spettacolo (considerata non consona per un nobile), al suo debutto il 30 novembre nel 1838 adottò un nome d’arte di una sola parola, Mario. Tuttavia negli scritti che si riferiscono a lui è indicato talvolta anche col nome di battesimo, mentre in molti altri e nei ritratti presenti alla Biblioteca nazionale di Parigi è indicato come Mario De Candia o de Candia.

La decisione di Giovanni De Candia di diventare un cantante professionista derivò da varie circostanze. Dopo gli studi in Accademia, mentre era di servizio come luogotenente nei Cacciatori Guardie, il Reggimento comandato da suo padre, contrasse debiti che il padre rifiutò di pagare per lui. Com’è attestato dalle lettere al fratello Carlo egli gettò allora la divisa e fuggì a Parigi, fece parlare di sè per la sua bella voce che ebbe modo di sfoggiare in alcuni salotti (specie in quello della principessa Cristina Belgiojoso dove cantava spesso) e nell’ambiente liberale della città.

Dato che aveva  una voce naturale molto bella, Giovanni fu segnalato dal direttore dell’Opéra al compositore Giacomo Meyerbeer che decise il suo debutto nelle riprese della sua opera Robert Le Diable. Meyerbeer aveva creato una recita e un’aria apposta per lui. Dopo molte recite di Robert le diable Mario cantò con successo Le Comte Ory di Rossini. Nel frattempo, nel 1839 debuttò tra gli applausi a Londra, nel ruolo di Gennaro nella Lucrezia Borgia di Gaetano Donizettied ed ebbe per la prima volta come collega la già celebre Giulia Grisi, che successivamente diventò sua moglie. Ebbe una vita piena e avventurosa. I suoi principali palcoscenici furono Her Majesty Theatre e il Covent Garden a Londra e il Théâtre-Italien a Parigi, nonché i maggiori teatri di Stati Uniti e Russia. Era amico e collaboratore di Mazzini e Garibaldi, li ospitò spesso e contribuì all’impresa dei Mille.

Nell’Italia ormai unita “Mario” si sistemò per gli ultimi anni a Roma, nuova capitale del Regno. Aveva dissipato il suo patrimonio anche a causa di affari sballati, della sua generosità e delle spese stravaganti. Nel 1880  fu organizzato per lui un concerto  di beneficenza a Londra. Una pensione fornitagli dagli amici inglesi gli consentì una vita decorosa. Morì a Roma nel 1883 ed è sepolto nella sua città natale, Cagliari, nel cimitero monumentale in una cappella che egli stesso s’era fatto edificare.

Il minuzioso  racconto della sua vita non interessa solamente i musicologi, ma anche gli studiosi del Risorgimento. Il processo di unità nazionale viene visto anche attraverso la sua vita perché era un esule professionale (la collaborazione con la Scala fu breve e venne interrotta da uno screzio con Verdi), ma fortemente “patriota” e legato ai “fuoriusciti”.

 

×

Iscriviti alla newsletter