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Le donne, l’economia e la tv

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Osservo con una discreta preoccupazione, in questi giorni e non solo, che i temi delle vicende economiche italiane,. poste sotto stress in ambito europeo,non ospitano autorevoli commenti in tutte le trasmissioni televisive di signore esperte della materia. E sicuramente il nostro Pese può contare su talenti femminili illuminati di qualsiasi età pronte ad essere invitate a partecipare. E’ bene ricordare che con la Risoluzione del 5 ottobre 1995 l’Unione europea ha fatto propri, e dei suoi Stati membri, questi obiettivi. Da allora le istituzioni europee hanno rivolto numerosi richiami formali alla comunicazione di un’immagine rispettosa e dignitosa della donna e, più in generale, a una società dei media e dell’informazione che non escluda le donne e, anzi, ne promuova e sostenga diritti, visibilità e rispetto.

In Italia abbiamo le normative europee relative all’audiovisivo, in particolare le direttive sulla televisione senza frontiere, con un sostegno dell’Osservatorio di Pavia “Donne e media”.

Le principali ricerche condotte sul tema del gender invitano a non trasmettere contenuti discriminanti sulla base del sesso e a coinvolgere le donne nelle attività di comunicazione. Queste raccomandazioni sono state recepite dal Testo unico della radiotelevisione, soprattutto come forma di tutela dei minori, preoccupazione alla base anche del documento del Comitato Tv e minori, che invita esplicitamente le emittenti a una rappresentazione televisiva rispettosa della dignità femminile, pena il rischio di fornire alle nuove generazioni modelli femminili negativi e pericolosi per un loro equilibrato sviluppo.

Ispirati, invece, ai principi del pluralismo politico sono i documenti prodotti dalla Commissione parlamentare di vigilanza della Rai che nel 1997 ha emanato un atto di indirizzo sulle pari opportunità nei mass media e un atto di indirizzo sul pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo. A questi indirizzi fondamentali, che declinano il pluralismo nel senso del genere donna-uomo, sono ispirate le successive disposizioni in materia di pluralismo politico relative sia ai periodi non elettorali, sia ai periodi di campagna elettorale o referendaria, di volta in volta oggetto di direttive specifiche, vincolanti – in ottemperanza alla potestà della Commissione sulla Rai, stabilita ex lege 14 aprile 1975, n. 103 – solo il network radiotelevisivo pubblico.

Un’equilibrata rappresentazione di genere costituisce un dovere almeno morale per tutte le emittenti, specialmente appunto nell’ambito dell’informazione, il cui scopo è raccontare quello che accade nella vita sociale, politica, economica, culturale di un paese. Una testata giornalistica che include le donne sia a livello professionale, sia a livello rappresentativo, e che nel raccontare gli eventi coinvolge e traccia profili femminili positivi, mostrando tutta l’attuale complessità del mondo economico e sociale, soddisfa, anzitutto, l’ambizione alla verità che essa si propone e che il pubblico si attende. Un’informazione che propone modelli di genere migliorativi della realtà e che sfida gli stereotipi culturali recalcitranti potrebbe concorrere a costruire un terreno fertile per il superamento dei numerosi ostacoli che, di fatto, ancora limitano la parità fra i sessi, per il potere che i mass media hanno di “svolgere un ruolo fondamentale nel mutamento sociale e culturale e, in particolare, nei processi di modernizzazione, non soltanto perché diffondono informazioni e conoscenze, ma anche perché intervengono a determinare il livello di integrazione necessario in ogni fase di sviluppo.

Ma in quanti hanno consapevolezza del tema e della coerenza tra le direttive e gli atti concreti? Pochi, troppo pochi. Analisi di fonti statistiche, analisi di contenuto, analisi dei frames, studi di caso, interviste dei media presi in considerazione (quotidiani, televisioni, radio, testate online,ecc.) ci dimostrano quanto ancora siamo in ritardo per spingere i programmi televisivi e radiofonici a includere le opinioni di esperte emergenti in materia economica e finanziaria. I risultati nazionali del Global Media Monitoring Project 2015(GMMP), sui nuovi media e in merito alla rappresentazione femminile in sintesi di presentazione dei dati, dimostra che sono trascorsi ventidue anni da quando le Nazioni unite, in occasione della IV Conferenza Mondiale sulle Donne (Pechino 1995), riconobbero il settore “Donne e media”, come strategico per il miglioramento della condizione delle donne di tutto il mondo, individuando due obiettivi: aumentare la partecipazione e l’accesso delle donne all’espressione e al decision-making nei e attraverso i media e le nuove tecnologie della comunicazione; promuovere una rappresentazione bilanciata e non stereotipata delle donne nei media. Fu proprio contestualmente alla Conferenza di Pechino che nacque il GMMP, una ricerca transnazionale volta a monitorare la rappresentanza di genere nei mezzi di informazione e a promuovere una rappresentazione delle donne “equilibrata e non stereotipata”. La prima indagine, che coinvolse 71 paesi del mondo, rivelò che le donne costituivano soltanto il 17% delle persone intervistate o oggetto delle notizie di stampa, radio e Tv. Le successive edizioni del GMMP, che si svolge ogni 5 anni, hanno registrato una progressiva ma blanda inclusione delle donne nei media, secondo un processo considerato ancora troppo lento.

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