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Ecco cosa succede tra Popolare Vicenza e Veneto Banca

Quaestio , Alessandro Penati, Veneto Banca, Atlante

Procedono spediti i preparativi per fare convolare a nozze la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, i due istituti veneti dove, con gli aumenti di capitale per un totale di 2,5 miliardi del 2016, il fondo Atlante presieduto da Alessandro Penati (nella foto) ha aperto il proprio paracadute diventando primo azionista assoluto con poco meno del 100% del capitale.

IL CALENDARIO

La fusione, asse portante del piano industriale. L’aumento di capitale. E il bond per la liquidità. E’ questa la tabella di marcia per i due istituti di credito: “Il futuro delle banche venete salvate a maggio del 2016 dal fondo Atlante comincia oggi – scrive Il Corriere della Sera – I consigli di amministrazione di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza sono convocati a Roma, in quanto è nella capitale che i vertici dei due istituti avranno un incontro al ministero dell’Economia, propeduetico per la presentazione dei piani alla Bce domani”.

IN ARRIVO UN NUOVO AUMENTO DI CAPITALE

I prossimi passaggi dell’integrazione tra le due banche venete prevedono un primo esame ai consigli di amministrazione di oggi, 31 gennaio, così da potere fare avere entro mercoledì una bozza del progetto alla Bce a Francoforte per presentarlo ufficialmente dopo l’approvazione dei conti, nella seconda metà del mese. Il principale nodo dell’operazione è rappresentato dal nuovo aumento di capitale necessario ai due istituti. E’ ormai assodato che ci sarà, mentre sulle cifre non c’è ancora un numero definitivo: c’è chi ipotizza 2,5 miliardi ma c’è addirittura chi parla di 3 miliardi per mettere in sicurezza le due banche venete. Ma oltre a quello del capitale, c’è il tema della liquidità: a riguardo si attende l’ammontare delle emissioni obbligazionarie delle due banche che saranno assistite da garanzia statale (al pari di quelle del Monte dei Paschi di Siena).

DOSSIER BOND E RUOLO DI ATLANTE

Comunque servono altri 5,7 miliardi di euro per mettere in sicurezza la Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, sottolinea oggi Repubblica. E un paio di questi miliardi dovrà metterli la mano pubblica, probabilmente sotto forma di prestito con un bond del Tesoro. Il conto finale del risanamento dei due gruppi messi in ginocchio dalle gestioni di Gianni Zonin e di Vincenzo Consoli salirebbe così attorno a 8,2 miliardi: “A dire esattamente quale cifra è necessaria – spiega Repubblica – sarà la Banca centrale europea, che vigila direttamente i due istituti e in queste settimane si confronta con i loro vertici e con il loro azionista, il fondo consortile che ne detiene il 98%. Il progetto di massima, che sarà portato a Francoforte tra i due cda di Vicenza e Veneto che oggi esaminano le linee guida della ristrutturazione e il 9-10 febbraio, prevede nuovo denaro per 5,7 miliardi: 1,7 miliardi sono il residuo che Atlante non ha investito in Mps, 2 miliardi di un bond statale (ancora da capire se convertibile in azioni o “convertendo”, del tipo che si converte automaticamente), un miliardo deriva dalla conversione in azioni di bond subordinati delle due banche in mano a investitori professionali. Infatti, diversamente dai casi delle quattro banche finite in risoluzione e di Mps, solo 200 milioni di bond subordinati targati Veneto e Vicenza sono in mano alla clientela, e su questi si studieranno forme di rimborso”.

IL NODO DEI MINI RIMBORSI

Per capire se il futuro delle due venete potrà essere di nuovo roseo o meno sarà determinante anche l’esito delle due offerte si rimborso rivolte agli azionisti che di fatto sono stati quasi azzerati con gli aumenti di capitale del 2016. Secondo indiscrezioni, il 30% circa dei destinatari avrebbe aderito alle due proposte, ma la soglia che le due popolari venete avevano fissato per il successo dei mini rimborsi è dell’80 per cento. Nei giorni scorsi, il presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Mion (ex imprenditore vicino alla famiglia Benetton), si è sbilanciato, spiegando che, se le offerte andassero in porto, ai vecchi soci potrebbero essere anche consegnati dei warrant, che consentirebbero loro di partecipare all’eventuale rilancio delle due banche.

L’IRA DELLA UILCA

La fusione, nel frattempo, spaventa i sindacati, preoccupati delle possibili ripercussioni sulla forza lavoro di una integrazione tra due banche che insistono quasi sugli stessi territori (basti pensare che le sedi sono lontane pochi chilometri l’una dall’altra). La Uilca, afferma per esempio il segretario generale Massimo Masi, “è fermamente contraria a questa fusione, perché non vede né prospettive economiche per l’economia veneta, né tantomeno rosee ricadute professionali sul personale, ma unicamente grandissimi danni sociali. Siamo pronti ad essere smentiti dai fatti – prosegue Masi – ma ad oggi, purtroppo, sentiamo solo chiacchiere di corridoio che non aiutano certo a tranquillizzarci. Anzi, tutto questo chiacchiericcio e gli incontri a porte chiuse non fanno altro che aumentare in maniera esponenziale le nostre, già forti, preoccupazioni. Viola e Carrus (rispettivamente alla guida della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, ndr) devono cambiare marcia se vogliono il consenso del sindacato. E’ impensabile approcciarsi a una simile fusione non coinvolgendo preventivamente i rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori. Dipendenti che fino a oggi sono gli unici ad aver pagato un prezzo consistente per una crisi creata unicamente da scellerate gestioni passate. La Uilca, a tutti i livelli, richiede a gran voce di essere convocata insieme agli altri sindacati, per affrontare insieme le enormi problematicità che emergeranno sia per le lavoratrici e i lavoratori che per la clientela”. La parola passa ai timonieri delle due banche.

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