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Scuola, cosa cambia con il sistema integrato di educazione e di istruzione 0-6 anni

Il decreto legislativo 0-6 anni, pubblicato il 16 maggio 2017, riafferma innanzitutto il diritto inviolabile all’educazione, che spetta a tutti i bambini senza alcuna discriminazione. Nulla di nuovo: il decreto cita testualmente la Costituzione del 1948. Ma quali passi mette in atto per garantire il diritto riconosciuto?

Innanzitutto si ribadisce che, se il diritto di apprendere spetta al bambino, la responsabilità educativa è della famiglia, che difatti ha un ruolo di co-protagonista. “Diritto di apprendere” e “responsabilità educativa” implicano necessariamente – pena la contraddizione – che alla famiglia sia anche garantita la necessaria libertà di scelta formativa: «Il Sistema integrato di educazione e istruzione […] promuove la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale». Evidentemente, se per un verso non c’è più spazio per una scuola intesa come ammortizzatore sociale, la prospettiva di una scuola di qualità, fondata sulla scelta libera di chi ne fruisce, non può essere ingabbiata nella fascia 0-6 anni… Se alla famiglia del bambino 0-6 anni viene riconosciuta la possibilità di esercitare la propria responsabilità educativa nell’ambito del sistema integrato di educazione e istruzione, quale depotenziamento in umanità o quale cataclisma giuridico impediranno mai alla famiglia del bambino 7-14 anni di vedersi riconosciuto e di esercitare lo stesso diritto? Al compimento del settimo anno si piomba forse nel regno vegetale?

All’art. 2 gli estensori del decreto accantonano ogni timidezza, ribadendo che le scuole dell’Infanzia, in un sistema integrato, sono statali e paritarie. Non c’è spazio per le cosiddette scuole private, spesso accomunate ai “diplomifici”… Anche perchè i bambini di 5 anni non conseguono alcun diploma!

L’art. 4 (Obiettivi strategici del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni) sottende il concetto di “sostenibilità” e di “ascolto della domanda”. Non sono forse maturi i tempi per pronunciare la parola magica “costo standard di sostenibilità”, ma qualificazione e formazione dei docenti, valorizzazione delle risorse presenti sul territorio e partecipazione delle famiglie sono caratteristiche fondanti di un sistema scolastico integrato davvero efficace.

La riflessione si fa ancora più interessante per il genitore consapevole, potenzialmente libero di scegliere quando si imbatte nell’art. 5 (Funzioni e compiti dello Stato). E’ del tutto evidente a chi abbia un minimo di raziocinio che lo Stato Italiano è, ad oggi, contemporaneamente controllore e gestore del sistema scolastico. Iniqua e non conforme, questa condizione, al sano modello europeo, dove lo Stato controlla e non gestisce. Il genitore consapevole si aspetta invece che lo Stato divenga garante del sistema scolastico integrato, favorendo la buona scuola pubblica, sia statale sia paritaria. Dal presente decreto non risulta essere stato compiuto alcun passo avanti: è proprio impossibile che lo Stato Italiano rinunci al suo ruolo di gestore, potenziando invece il suo apparato di controllo? Il fatto è che la gestione, nel caso dello Stato, paga bene… Per contro, il ruolo degli enti locali viene subito chiarito all’art. 7 (Funzioni e compiti degli Enti locali), dove si rimanda ai comuni, senza che sia del tutto chiaro che, se un sindaco considera nel “sistema integrato” la scuola statale e la scuola paritaria gestita dal comune, per evitare il proprio tracollo economico, oltre che per consentire l’esercizio della libertà di scelta della famiglia, deve necessariamente considerare nell’orizzonte del “sistema integrato” stesso anche la paritaria gestita dai privati. Pena la ricaduta nella malattia di chi gestisce e controlla…se stesso. Sistema “integrato” di che?

L’art. 9 (Partecipazione economica delle famiglie ai servizi educativi per l’infanzia) riporta ai contenuti del saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, ed. Giappichelli: «1. La partecipazione economica delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi educativi per l’infanzia, sia pubblici che privati accreditati, non può superare, complessivamente, il 30 per cento del costo medio del servizio rilevato dall’Ente locale». L’interrogativo è immediato: la differenza chi la paga? Il decreto sembra accennare ad una risposta all’art. 12 (Finalità e criteri di riparto del Fondo Nazionale per il Sistema integrato di educazione e di istruzione): il Fondo nazionale finanzia senza dubbio la scuola pubblica statale negli interventi di ristrutturazione e gestione, come la formazione dei docenti. Ma allora, che sistema integrato è? Si integra con che cosa, se la scuola pubblica paritaria resta nel limbo? E’ un sistema unico, rigido, ingiusto, parente di un regime! I cittadini consapevoli e responsabili dell’educazione dei figli hanno pagato le tasse: meritano di essere liberi.

Parrebbe uno spiraglio l’affermazione che «sulla base delle richieste degli enti locali, le risorse sono erogate direttamente ai Comuni, con priorità per quelli privi o carenti di scuole statali dell’infanzia». È il Sindaco, insomma, a dover essere così lucido da accedere al fondo, favorendo, in assenza della scuola statale, le risorse territoriali (scuole pubbliche paritarie gestite dal comune o da enti privati). Altrimenti è la fine, per il Sindaco, per il Comune, per il Paese.

In conclusione, il decreto, pur avendo aperto e fissato uno spiraglio sull’evidenza del diritto di educare il proprio rampollo in una pluralità di scelta formativa oltre il sesto anno di età, conferma che il cittadino non può essere né distratto né assente…

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