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Diritti tv calcio, come si è sgonfiata l’inchiesta sugli ex manager Infront

L’iter giudiziario del procedimento a carico degli ex manager di Infront ha subito un nuovo stop. Il tribunale del riesame, l’aula deputata a decidere sui ricorsi avverso le misure cautelari, ha deciso di respingere le richieste di arresto dei pm milanesi a carico di Marco Bogarelli, fino allo scorso novembre presidente di Infront Italy e membro del cda di Infront, Giuseppe Ciocchetti, ex direttore generale di Infront Italy, e Riccardo Silva, partner fondatore di MP&Silva, una media company che si occupa della commercializzazione dei diritti tv su broadcast esteri. La richiesta di misure cautelari era stata negata anche dalla gip Michela Accurso Tegano ma oggi i giudici del riesame – Cesare Tacconi, la relatrice Paola Pendino e Valeria Alonge – aggiungono un tassello in più. I magistrati hanno sottolineato la “non rilevanza penale” delle condotte che i pm avevano individuato come “turbative d’asta, autoriciclaggio, ostacolo all’attività di vigilanza della Covisoc sui bilanci delle società di calcio e associazione a delinquere”.

L’INDAGINE SU INFRONT E MP&SILVA

L’indagine dei pm milanesi verte sulla gestione e la commercializzazione dei diritti tv della Serie A e della Serie B, un business che supera il miliardo di euro. L’ordinanza con la quale si chiedeva l’applicazione delle misure cautelari, respinta dal gip Accurso Tegano, per i tre manager recitava: “Si tratta di un’associazione a delinquere in grado di interporsi fin dal 2009 tra le squadre di calcio, cui spettano gli ingenti benefici della commercializzazione in Italia e all’estero dei diritti audiovisivi, e il mercato, per appropriarsi illecitamente e clandestinamente di una fetta consistente di questi. L’associazione ha operato (…) giovandosi del ruolo fondamentale di Infront Italy”. Il ruolo dell’azienda di proprietà della Dalian Wanda, sarebbe stato quello di finanziare in maniera occulta i club con fondi neri attraverso falsi contratti di sponsorizzazione o finanziamenti personali per permettere l’alterazione dei bilanci societari. I pm avevano individuato nei tre manager i referenti di un’associazione a delinquere “finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti, tra i quali turbativa d’asta, autoriciclaggio, truffa aggravata, ostacolo alle funzioni di vigilanza, evasione fiscale e tutti quei reati di volta in volta necessari per governare i processi di sfruttamento dei diritti audiovisivi del calcio, con l’impossessamento di denaro che avrebbe dovuto entrare nelle casse della Lega”.

IL RIESAME “DISINTEGRA” LE ACCUSE DEI PM

Tutte accuse inconsistenti sia secondo il Gip, che più che un’associazione a delinquere aveva rintracciato una “lobby”, sia secondo i giudici del riesame i quali sono perentori nel sancire: “la disintegrazione delle ipotesi accusatorie dei delitti scopo” contestati agli indagati “finisce per rendere evanescente qualsiasi considerazione sull’esistenza di un’associazione a delinquere”. Insomma una pietra tombale su tutta l’indagine. A ciò si aggiunga che, sempre secondo il Riesame, i tre uomini d’affare avrebbero massimizzato i loro profitti, ma senza danneggiare la Lega Calcio. “Non può considerarsi la capacità imprenditoriale maturata e implementata negli anni, con la commissione di reati per il solo fatto che l’agire dei top manager di cui si discute sia stato a tratti caratterizzato da indubbia spregiudicatezza, in alcuni casi anche in violazione dei doveri di e lealtà, trasparenza, e correttezza derivante dal rapporto fiduciario con con ala Lega Calcio sottostante” – scrivono i giudici – “Gli interessi economici sono stati sì perseguiti nell’interesse dei singoli, Bogarelli, Ciocchetti, Silva e tutti coloro che si sono solo intravisti – Andrea Locatelli, Adriano Galliani, Enrico Preziosi, Claudio Lotito, Gianluca Paparesta e altri ma in egual misura della Lega Calcio e delle piattaforme televisive che hanno partecipato ai bandi incriminati”. Insomma Silva, Bogarelli e Ciocchetti hanno operato per il bene proprio e degli altri. Di più. I giudici del Riesame si spingono anche a riconoscere le doti imprenditoriali di Riccardo Silva. “Le capacità imprenditoriali di Riccardo Silva, leader mondiale nella distribuzione di diritti audiovisivi del calcio internazionale sono indiscusse e ampiamente riconosciute” – si legge nell’ordinanza – “se un imprenditore si aggiudica un prodotto al minor costo praticabile e poi è in grado di rivenderlo al massimo valore di mercato, non si può certo dire che abbia truffato il venditore solo perché ha saputo massimizzare i suoi profitti della distribuzione all’estero. Così ragionando l’intera economia poggerebbe su reiterati comportamenti fraudolenti”.

NESSUNA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DI TIPO CRIMINALE

E le intercettazioni? “Le conversazioni intercettate, il contenuto delle mail poste in sequestro e la documentazione acquisita non danno conto di alcun progetto delittuoso”, scrivono i giudici. In una delle chiamate intercettate tra il Presidente della Lazio Claudio Lotito e Marco Bogarelli si parla di un ammanco di 500mila euro nel bilancio del Bari, fatto che avrebbe provocato delle sanzioni alla società pugliese allora presieduta dall’ex arbitro Paparesta. “Me stai a fa’ scoppià un casino”- dice Lotito a Bogarelli – “non è possibile per 500 mila euro”. Nella stessa giornata Giuseppe Ciocchetti chiama Paparesta e gli dice: “Fammi una fattura a Infront (…). Fai 460 più Iva. (…) La fattura la fa per il secondo sponsor di maglia”. Tuttavia i giudici non hanno ravvisato l’esistenza di “una struttura organizzativa di tipo criminale operante, in via diretta o mediata, attraverso la strumentalizzazione dei rispettivi ruoli e delle compagini societarie di riferimento”.

GUARDARE I MATCH DI CALCIO NON È INTERESSE PUBBLICO

Un aspetto interessante che si rintraccia nel pronunciamento dei giudici è quello che esclude che la trasmissione di una partita di calcio sia un interesse pubblico da tutelare. “Il decreto Melandri, nel disciplinare la commercializzazione dei diritti, non ha affatto inteso attribuire alcuna connotazione pubblica ai soggetti chiamati a operare e non tutela affatto un interesse pubblico (tale non è certo guardare partite di calcio)” – scrivono i giudici – “ma la libera concorrenza, imponendo unicamente all’organizzatrice Lega Calcio di predeterminare linee guida”. Questa postilla serve a sottolineare un presunto errore dei pm milanesi che avrebbero scelto il campo sbagliato nel quale giocare la partita e dunque “la qualificazione giuridica nel confondere la licitazione privata con la trattativa privata”.

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