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Inps, le pensioni e la Costituzione

Di Lorella Ciampalini
Tito Boeri, malati, inps

Riceviamo e pubblichiamo

Nel consueto silenzio di stampa e televisioni su un argomento ritenuto “minore” e poco consono al momento pre-elettorale, si susseguono, sulla rete, reazioni preoccupate alla notizia che è all’esame della prima Commissione della Camera (Affari Costituzionali) una proposta di legge a firma dell’onorevole Mazziotti di Celso ed altri che punta alla modifica dell’articolo 38 della Costituzione. L’articolo 38 – va ricordato – proclama il diritto dei cittadini alla previdenza sociale, distinguendo i concetti di previdenza e di assistenza, la prima derivante dai contributi versati dai lavoratori, la seconda sostenuta da risorse provenienti dalla fiscalità generale.

Un editoriale dello stesso Mazziotti, a mio avviso per nulla convincente, sulla necessità di intervenire con la citata modifica costituzionale, comparso recentemente su Formiche.net, anziché placare gli animi ha finito per infiammare ancora di più la polemica.

Al dibattito ritengo utile contribuire con alcune osservazioni dal punto di vista di chi, come me, non ancora pensionato ma prossimo al traguardo, si ritrova nella condizione di aver versato, per vincolo normativo, decenni di onerosi contributi all’Ins, di essersi poi visto dilatare dalla riforma Fornero il tempo di contribuzione necessario al pensionamento e di apprendere, ora, dell’esistenza di un disegno di modifica costituzionale che, in modo surrettizio, attribuisce allo stesso ente previdenziale la potestà di ridurre gli assegni pensionistici attuali e futuri per ricavare le risorse necessarie ad integrare altre pensioni non coperte da adeguata contribuzione.

Leggendo, infatti, sia la proposta di legge con relativa relazione di accompagnamento, che l’intervento di Mazziotti di Celso pubblicato da Formiche.net, appare evidente che la modifica costituzionale, con la finalità di non discriminare le generazioni, è intesa a rendere possibile il livellamento verso il basso delle pensioni, magari in modo graduale o proporzionale.

Ad aumentare l’inquietudine generata dall’iniziativa si aggiunge l’intervista rilasciata il 20 giugno scorso al Corriere della Sera dal commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, il quale, rammaricandosi di non essere stato in grado di tagliare le pensioni medio-alte per i vincoli posti dalla Corte Costituzionale, indica l’importo di € 2000 lordi (1340 netti) come limite al di sopra del quale gli importi corrisposti sarebbero passibili di riduzione.

Per accendere il semaforo verde a quanto auspicato da Gutgeld, si pensa ora di modificare la Costituzione ed, in nome del principio di sostenibilità, rendere in pratica possibile il ricalcolo delle pensioni già liquidate, indipendentemente dai contributi versati, in qualsiasi momento, senza vincoli se non quelli derivanti dal bilancio dell’Inps e dalle necessità assistenziali via via emergenti e ritenute prioritarie dal Governo di turno.

Nessun pensionato o pensionando potrà, in tal modo, far più conto su risorse certe e costanti per il suo sostentamento, essendo potestà del governo ridurre, anche annualmente, l’ammontare della pensione in base alle più disparate, e forse discutibili, necessità in favore di altri che non hanno egualmente contribuito.

Lo scenario appare fortemente penalizzante, oltre che per gli attuali pensionati, anche per chi, ancora attivo come lavoratore, sta versando contributi avvicinandosi all’età della pensione.

A che titolo, in quale misura e con quale diritto l’Inps potrebbe infatti continuare, una volta approvata la proposta Mazziotti, a prelevare da costoro contribuzioni che verrebbero domani dirottate per essere destinate a finanziare prestazioni di fatto assistenziali?

Una simile decurtazione, che riguarderebbe milioni di persone, sarebbe inaccettabile, venendo, di fatto, a costituire una ulteriore forma di tassazione odiosamente riservata ai soli iscritti alla previdenza obbligatoria Inps, ed impatterebbe sicuramente in termini negativi sul clima sociale, generando sentimenti di difesa e di chiusura, anziché di fiducia nella tenuta e nella ripresa dell’economia.

Ora, se è vero, come a più riprese sostenuto da autorevoli esperti, che la riforma Fornero aveva provveduto a riequilibrare le entrate e le uscite e, quindi, i conti del sistema previdenziale, è da chiedersi cosa sia nel frattempo intervenuto a modificare la situazione e quali siano, di conseguenza, le reali motivazioni della proposta Mazziotti.

E’ possibile ritenere che la risposta sia da ricercarsi nella crescita delle prestazioni assistenziali accordate in questi anni, sulla base di decisioni politiche, anche ispirate alla ricerca del consenso, che lo Stato stenta sempre più a ripianare creando così preoccupanti scoperture nel bilancio dell’Inps.

L’ordinamento attuale, infatti, stabilisce chiaramente che le erogazioni assistenziali debbano essere coperte da risorse provenienti dalla fiscalità generale, mentre quelle previdenziali debbano essere coperte dai contributi che ogni lavoratore e datore di lavoro versa, accantonati come retribuzione differita e percepiti al momento della pensione.

Entrambe le gestioni sono affidate all’Inps che, teoricamente, vi provvede con contabilità separata: la Gias – gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali – istituita, presso l’Inps, dall’articolo 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88 per la progressiva separazione tra previdenza e assistenza e la correlativa assunzione a carico dello Stato delle spese relative a quest’ultima, che tuttavia negli ultimi esercizi sono state solo parzialmente coperte.

In definitiva, la proposta Mazziotti si propone di liberare il bilancio dello Stato dall’onere di buona parte delle prestazioni assistenziali erogate dall’Inps, quelle cioè dovute ad insufficiente contribuzione, spostandolo a carico dei pensionati, ai quali verrebbe imposto di finanziarne il costo, rinunciando forzosamente a parte della loro pensione.

Piuttosto che aumentare le tasse o, più opportunamente, intervenire finalmente sul macroscopico problema dell’evasione e dell’erosione fiscale, rischiando così di perdere consenso, si ritiene più conveniente e semplice scaricare i costi dell’assistenza sui pensionati Inps, già oggi gravati dai livelli di tassazione più elevati d’Europa!

Risulta sempre più evidente che, a questo punto, è necessario ed inderogabile pensare al riordino dell’Inps, affinché i lavoratori siano tutelati e non espropriati dei contributi versati e perché chi ha effettivo bisogno sia assistito con criteri di tracciabilità e di trasparenza. E’ irrinunciabile a tal fine separare la previdenza dall’assistenza e vincolare la prima alla contribuzione e la seconda alla fiscalità generale, per rendere possibili azioni mirate a supporto delle necessità assistenziali senza ricorrere all’esproprio delle pensioni.

Su questi presupposti la proposta di modificare l’articolo 38 della Costituzione appare una pericolosa scorciatoia, finalizzabile a rendere difendibili, sul piano giudiziale, mere azioni di governance in materia previdenziale, che finisce per disconoscere che tutto ciò confligge con altri, più fondanti, principi della Costituzione repubblicana.

Più precisamente, l’attuazione dell’astratto ed inaudito principio di “non discriminazione” tra generazioni mediante l’esproprio dei trattamenti previdenziali medio-alti aprirebbe il varco ad un’altra, effettiva, discriminazione di diritti: quella tra pensionati Inps e non, e quella tra iscritti alla previdenza obbligatoria e non, per violazione dell’articolo 3 e dell’articolo 53 della Costituzione.

E non ci si venga a dire che le nostre sono solo delle “fobie”, perche’ – nei giorni scorsi- le anticipazioni uscite sul DEF fanno presupporre che, da adesso al 24 Ottobre, la politica farà pressione (ovviamente ufficiosa) sulla C. Costituzionale che, in quella data, dovra’ dare un autorevole parere sul problema della pluriennale mancata , totale, perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo Inps, problema rinviato alla Corte da almeno 15 Corti dei Conti regionali e da parecchi tribunali.

Cosa deciderà la Corte? Confermerà o smentirà le sue precedenti sentenze? Lo vedremo. Restiamo comunque del parere che le prospettive delle nuove generazioni non si tutelino con modifiche all’articolo 38, ma in altro modo ed essenzialmente con politiche di sostegno del lavoro!

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