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Così mio nonno Guido Carli mi raccontò il suo Trattato di Maastricht. Il ricordo di Romana Liuzzo

Di Romana Liuzzo

Nel 1992 non esisteva Internet. L’informazione non era istantanea. Per conoscere i fatti bisognava aspettare i tg o i quotidiani ancora caldi di rotativa. La notte del 7 febbraio, giorno della firma del trattato di Maastricht, aspettai le prime edizioni all’edicola di Piazza Colonna. Avevo fame di sapere. Ma la lettura dei giornali non mi bastò. Per fortuna avevo una fonte privilegiata da cui attingere notizie: Guido Carli, mio nonno. Era stato lui a firmare l’accordo a nome del Governo. Dovevo parlargli il prima possibile. Sapevo che qualcosa di epocale stava accadendo e non riuscivo a trattenere la curiosità. Nel 1992 i telefoni cellulari erano dei mattoni enormi. Un minuto di conversazione costava più di duemila lire. Contattai in ufficio la signora Berni, storica assistente del nonno, per conoscere i tempi del suo rientro, in modo da aspettarlo a casa.

Lo attesi in camera, ai piedi del letto. Era il rituale delle nostre conversazioni. Finalmente vidi la sua figura inconfondibile attraversare l’uscio. “La moneta unica è un’opportunità straordinaria, per te, per i figli che verranno, per le future generazioni”, mi disse togliendosi il cappotto pesante (a Maastricht aveva trovato un tempo da lupi). Era sincero. Lo intuivo dagli occhi. Guido Carli credeva davvero nella portata rivoluzionaria di quell’accordo. “Ci costerà dei sacrifici, è vero, ma l’Italia non può rimanere fuori dalla moneta unica”.

Oggi ricorre l’anniversario della nascita di mio nonno. Per ricordare la sua figura di economista e di uomo delle istituzioni, il 10 maggio, nella sala della Regina della Camera, la Fondazione Guido Carli, di cui sono presidente, attribuirà l’omonimo premio, arrivato alla nona edizione, a 14 eccellenze italiane.

Lo stile, il pensiero, l’opera di Guido Carli riecheggiano fino ai giorni nostri. Restano di straordinaria attualità. Mio nonno, al culmine di cinquant’anni di impegno pubblico, rese un ultimo servizio al suo Paese, portandolo per mano in Europa. Era stato governatore della Banca d’Italia, presidente di Confindustria e più volte ministro. Da titolare del dicastero del Tesoro appose la sua firma al Trattato. “E ora – gli chiesi – diremo addio alla nostra vecchia cara lira?”. “Mai avere paura del cambiamento –  mi rispose citando Marco Aurelio  – da esso derivano tutte le cose che sono utili”. Aveva una visione che andava oltre i fatti contingenti. Non perdeva mai d’occhio la big picture. Il suo orizzonte erano i vent’anni a venire. “L’Italia – mi spiegava – ha bisogno di darsi una regola. Da noi l’economia di mercato è sempre stata una conquista precaria, fragile, esposta a continui rigurgiti di mentalità autarchica. L’adesione al mercato unico ci imporrà quella virtuosità dei comportamenti che non siamo stati capaci di sviluppare da soli”. Il prestigio personale di Guido Carli fu determinante in quella situazione. Le lobbies finanziarie e accademiche del vecchio continente lo consideravano uno di loro. Parlava inglese, francese, spagnolo, tedesco e perfezionava il suo russo leggendo Tolstoj. Non ebbe difficoltà a far sentire la sua voce, chiedendo l’introduzione di quegli elementi di flessibilità sul debito che permisero all’Italia di entrare nel club della moneta unica.

Questa era la Maastricht di mio nonno. Un’Europa dal volto umano. Che chiedeva sacrifici sì, ma prometteva di ripagarli con anni di benessere, stabilità e pace. Secondo Guido Carli, “i parametri di Maastricht rappresentavano quella Costituzione economica e finanziaria che l’Italia non aveva mai avuto prima, visto che l’articolo 81, voluto da Einaudi, non era riuscito ad arginare la spesa facile dello Stato e l’accumulo di un enorme debito pubblico”.

Per mio nonno l’Europa era la nostra cintura di sicurezza. Non un cappio. Purtroppo oggi le istituzioni comunitarie sembrano essere solo parenti lontane del sogno dei padri. La soluzione non è abbandonare il progetto, ma riscoprire i suoi valori fondanti. La Fondazione Guido Carli darà il suo contributo promuovendo la memoria di un grande europeista, mio nonno.

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