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Il successo di Conte a Washington smentisce il pregiudizio contro Trump

Al tempo delle elezioni americane del 2016, alcuni osservatori avevano capito che la vittoria di Donald Trump poteva rappresentare non una sciagura, ma un’occasione interessante per l’Italia. I problemi che hanno alimentato la rivolta degli elettori negli Stati Uniti sono infatti gli stessi che anche l’Italia, come del resto tutti i Paesi occidentali, devono affrontare: gli effetti negativi della globalizzazione sulla classe media e bassa, e gli errori delle guerre nel segno del “cambiamento di regime”.

Finché l’atteggiamento dei Paesi europei si basa semplicemente sulla resistenza al populismo deplorevole di Trump, gli scontri ci saranno spesso, in quanto il presidente americano è determinato a cambiare le regole che hanno governato le relazioni politiche ed economiche degli ultimi decenni.

L’arrivo del governo gialloverde in Italia invece cambia la situazione, da una parte offrendo a Trump una sponda in Europa, e dall’altra permettendo all’Italia di fare progressi su quei dossier dove un cambiamento può aiutare il Paese ad affrontare alcuni problemi che da sola – o anche nel contesto dell’Ue – non riesce a gestire.

La visita del presidente del consiglio Giuseppe Conte alla Casa Bianca ha confermato queste potenzialità, evidenziando alcune aree in cui si potrà stabilire una sintonia più forte con Washington. Già al vertice G7 di Charlevoix, a giugno, Conte si era proposto come alleato di Trump, appoggiando la proposta di far rientrare la Russia nel consesso, e mantenendo una linea di apertura anche sul fronte delle regole commerciali. Ora, con l’incontro di questa settimana, i due leader hanno fatto dei passi avanti su un rapporto che potrebbe essere molto utile per l’Italia.

Il primo punto, quello più discusso, è il dossier libico. La guerra del 2011, in cui la Francia è riuscita a convincere gli Usa a compiere un intervento militare senza considerare bene le conseguenze, ha colpito fortemente l’Italia, sia sul fronte della stabilità e dunque il fenomeno dell’immigrazione, sia in termini degli interessi economici e strategici. Negli ultimi anni l’Italia ha fatto fatica a contrastare questo declassamento del proprio ruolo, considerando la forza strategica di altri Paesi europei, dalla Francia alla Gran Bretagna, alla Germania. L’Italia è vista come un alleato stretto e molto affidabile, ma è evidente che quando da Washington si guarda all’Europa, le capitali più a nord attirano molte attenzioni.

Con l’attuale inquilino della Casa Bianca la situazione può cambiare, almeno in parte. Nonostante le piroette di Emmanuel Macron, le tensioni tra Washington e Parigi sono in salita, e non corre buon sangue nemmeno con Berlino. In questo contesto, Conte fa bene a cercare per l’Italia “il ruolo di interlocutore privilegiato” in merito alla Libia; non è peccato difendere gli interessi nazionali, e oggettivamente l’Italia rappresenta un attore fondamentale per cercare di riportare una qualche misura di stabilità nella zona.

Ci sono poi altre aree in cui i due governi “populisti” possono andare d’accordo. In termini di politica estera, c’è la questione della Russia. Conte concorda con la volontà di Trump di migliorare i rapporti con Putin, ma non c’è da aspettarsi grandi passi avanti su questo punto a breve. Gli Usa non sono pronti a togliere le sanzioni, e al recente vertice Nato dell’11-12 luglio – nonostante le provocazioni del presidente americano – non ci sono stati cambiamenti di rotta rispetto all’impegno verso est. Dunque per ora l’Italia dovrà accontentarsi di una virata solo parziale ottenuta da Trump: maggiore cooperazione sul fianco sud, ma senza una riduzione significativa delle misure di contrasto verso la Russia.

Sull’economia, Trump ha seguito il suo metodo consolidato, quello di minacciare misure forti per poi cercare accordi diplomatici all’ultimo momento. Il presidente del consiglio italiano ha valutato positivamente l’intesa raggiunta tra Usa e Ue per evitare l’imposizione di dazi ampi che facevano temere lo scoppio di una guerra commerciale. Anche qui, un po’ di realismo non fa male. Ha poco senso difendere la purezza del libero scambio quando è evidente la necessità di affrontare gli squilibri provocati dalla globalizzazione. Conte ha concordato sulla necessità di riformare il Wto, sottolineando l’importanza di rivedere le condizioni di partecipazione della Cina. Non si tratta di follie populiste, ma di un tema centrale per tutto il sistema produttivo occidentale. La strada verso riforme efficaci è ancora lunga, ma occorre guardare bene il modello economico generale, e individuare quelle aree dove si può intervenire in una logica win-win. L’Italia ha tutto da guadagnare se si troveranno misure efficaci contro la logica dei bassi costi.

I punti d’intesa che stanno emergendo tra l’Italia e gli Stati Uniti sono interessanti, ma sarebbe certamente prematuro pensare che sia già cambiato tutto; alle parole devono seguire i fatti. Gli eventi dei prossimi mesi e anni saranno condizionati dal contesto interno in entrambi i Paesi – dove ci sono differenze importanti tra gli esecutivi e le altre istituzioni – e anche dagli eventi esterni. Uno dei punti dolenti, che richiede una riflessione profonda, è quello della coesione dei Paesi europei. Per molti è preoccupante vedere il governo italiano prendere la parte del presidente americano irruente, che guarda con diffidenza alle istituzioni di Bruxelles e sfida le convenzioni degli ultimi decenni.

Il rischio in questo caso è di rimanere legati a una visione formale, dando poco peso alla realtà dei fatti. Intanto bisogna riconoscere l’esistenza di differenze importanti all’interno dell’Europa, e che mettere la forma (l’unità europea) prima dei contenuti (gli interessi economici e strategici dei vari Stati membri) non è un metodo che può reggere a lungo in ogni caso. Dichiarare con insistenza che l’Europa deve agire insieme non toglie la necessità di rivedere le politiche che hanno facilitato gli aspetti negativi della globalizzazione. Se le istituzioni europee non prendono sul serio questo compito, ulteriori divisioni sono semplicemente inevitabili.

L’ondata anti-establishment che percorre il mondo occidentale da due anni a questa parte ha messo a nudo problemi già esistenti, e l’incontro tra due governi “populisti” fa capire che nonostante la minaccia allo status quo, ci sono parecchie aree dove si potranno fare dei cambiamenti positivi.

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