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La crisi del Davos consensus, tra assenti e nazionalisti

L’anno scorso scrissi che a Davos avevano vinto (per numero di presenti) i leader di schieramenti o nazioni divenute nazionaliste. Un’affermazione forte considerando che Davos è riconosciuta universalmente come l’evento più pro globalizzazione del mondo occidentale. Quest’anno, potremmo dire che i nazionalisti, patrioti oppure chi con i nazionalisti ha delle discussioni aperte, sono assenti.

Maliziosamente verrebbe da chiedersi se Davos possa considerarsi una piattaforma di dialogo aperta a tutte le correnti oppure solo a quelle che hanno un allineamento, culturale sociale e finanziario, con la linea di pensiero globalista. Certo è che i “No-Show” di quest’anno sono piuttosto importanti. Partiamo dalle assenze più vistose. Trump, che l’anno scorso era sbarcato a Davos in pompa magna, per vendere al mondo libero il suo motto “America First” quest’anno è il primo grande assente. Assente anche tutto il suo staff: il segretario al tesoro Steven Mnuchin, il segretario di stato Mike Pompeo, il segretario del commercio Wilbur Ross e il rappresentante dell’US Trade Robert Lighthizer. Ufficialmente la ragione per questa mancanza è che lo shutdown americano obbliga il presidente a stare a casa e occuparsi degli affari nazionali. Invero, forse, il tema di Davos di quest’anno, “globalizzazione 4.0” è un tema indigesto per una serie di politici, che hanno come primo interesse il benessere della propria nazione e dei rispettivi elettori. Come ben spiegato dalla Cnn.

Restando nel mondo anglosassone anche Mrs May, reduce di un No-go per il piano Brexit ha deciso di disattendere Davos. Un altro rappresentante di una nazione nazionalista (o meglio stante la scelta di una Brexit, quanto meno rappresentante di un popolo un poco nazionalista e isolazionista, o isolano) che per ragione di ordine pubblico (o interno data l’urgenza di un piano B per la Brexit) ha deciso di evitare le lunghe sciate e le cioccolate calde di Davos.

Anche sul continente (termine che i veri inglesi usano per indicare l’Europa) le cose non vanno meglio, con il signor Macron, che rappresentava il nuovo che avanzava (a cui si contrappone un popolo rappresentato dai Gilet Gialli, che ha una forte connotazione di interesse nazionale) è occupato con le crisi interne e le mancate promesse. Anche in questo caso, niente cioccolata calda (con cacao dalle ex colonie francesi) per il primo cittadino francese.

Dall’occidente all’oriente la situazione dei No-Show peggiora ulteriormente. Il nazionalista (questo sul serio nazionalista) Narendra Modi ha fatto sapere che non sarà presente. Anche in questo caso per motivi differenti, ma tuttavia, se consideriamo che un globalismo 4.0 si scontra fortemente con gli interessi nazionalisti di Modi si capisce la sua assenza. Il primo ministro indiano infatti  è impegnato sia sul fronte interno a difendere la sua leadership che sul fronte esterno a fare da scomodo cuscinetto tra americani e Cina, come già spiegato dal Times of India qualche mese fa.

Altro grande assente è il neo imperatore cinese Xi Jinping. Per quanto il governo cinese si sia fieramente opposto alla definizione di imperatore, il futuro plausibile residente della città proibita ha preferito evitare Davos. Gia nel 2018 il cittadino della terra del dragone avendo di meglio da fare, aveva schivato Davos. Il 2019, come riporta la Cnn, è un anno nero per la Cina con un rallentamento che non si vedeva da decenni (non tutti i cinesi quest’anno compreranno l’iPhone come già sappiamo da qualche settimana). Xi Jinping che l’anno scorso a Davos si era impegnato almeno a mandare un video messaggio dove, a parole, si vendeva come il grande difensore della globalizzazione (considerando la bilancia commerciale cinese direi più mercantilista che globalista) quest’anno pare che non manderà (salvo ultimo minuto) nemmeno un video messaggio, lasciando a delegati minori di fare sorrisi amari e strette di mano. Ultimo a non presentarsi, per quanto di tutti i citati il meno importante (se escludiamo le sue risorse minerarie che fan gola a tanti, cinesi in testa), il presidente dello Zimbabwe. Anche per lui problemi in casa da sistemare.

Con tutte queste mancanze eccellenti la Cnn parla, con rispettosa timidezza globalista, di un mezzo fallimento del forum. Mentre l’Indipendent ci va giù pesante e parla di crisi delle elite globaliste. A fare i conti della serva arriva persino Forbes che, senza mezze misure, parla di percentuali e cifre. I reverendi assenti e le nazioni che essi guidano, insieme rappresentano il 50% della’economia mondiale e il 42% della popolazione mondiale. Si aggiunga, cosa importante, il 42% della popolazione mondiale che può essere guidata e comandata direttamente. Salvo Francia e Regno Unito, i 3 grandi assenti rappresentano quasi 3 miliardi di esseri umani (Cina e India da sole oltre 2 miliardi). Per intenderci, se Cina India e Usa decidono qualcosa 3 miliardi di cittadini consumatore sono guidati a seguire la via indicata (nel caso di Cina guidati con molta passione).

Il tema discusso, globalizzazione 4.0, appare indigesto anche a molti cittadini delle nazioni rappresentate. Il Trust Barometer di Edelman (che edita ogni anno una analisi sulla fiducia a livello globale) riporta che solo 1 persona su 5 dei 33000 intervistati, in 27 nazioni, sostiene che il sistema globale attuale ora funziona. Oltre il 70% degli intervistati appaiono piuttosto perplessi (per usare una parola gentile pubblicabile). Persino i maggiori Ceo delle multinazionali, come riporta il Guardian, sono seriamente preoccupati che il protezionismo e il sovranismo possano danneggiare i loro interessi (e per conseguenza gli interessi dei cittadini del mondo).

Un evento come Davos, dove società civile, politica, e economia mondiale, si incontrano per discutere i problemi del mondo, si ritrova sotto rappresentato del 50% (o 42%) degli interessi nazionali. In queste condizioni questo evento potrebbe avere qualche problema nella sua effettiva abilità di indicare una via per un futuro globalizzato 4.0.

@enricoverga

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