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Consigli a lungo termine per una crescita virtuosa

Di Donato Iacovone

Negli ultimi anni, specialmente dall’avvio dell’ultima crisi mondiale, l’Europa – intesa come unione politica ed economica – è stata, in molte occasioni, oggetto di ampio dibattito. In particolare, davanti ad avvenimenti come l’epocale migrazione dall’Africa e dal Medio Oriente, ci si domanda quali siano i valori su cui si fonda l’Unione e quali saranno le nuove dinamiche che si andranno a innescare tra i Paesi, non solo su questo tema. La risposta politica nella gestione del grande afflusso di migranti ha messo in evidenza come una mancanza di concreto coordinamento tra i Paesi porti alcuni di essi – in particolare quelli maggiormente colpiti dalla crisi contingente – a muoversi talvolta in modo autonomo e dirompente, con scelte che influenzano, anche in una prospettiva di lunga durata, gli equilibri di tutto il continente. Al contrario, in casi come quello della crisi greca e dell’opportunità di una soluzione diversa dalla Grexit, o sugli investimenti necessari per la crescita, l’Europa, pur tra notevoli difficoltà, è riuscita a trovare quell’unione che davvero è la strada migliore da seguire per ottenere crescita e sviluppo.

Come ha ricordato di recente la presidenza del Consiglio dei ministri, con la lettera a Repubblica dell’11 settembre 2015 “Superare il Trattato di Dublino e gli egoismi nazionali”, l’Europa è a un bivio e deve ritrovare le ragioni profonde del proprio progetto. Un’Europa forte e coesa, in grado di rispondere adeguatamente e prontamente a crisi così complesse, è l’unica soluzione possibile. È necessario quindi attuare una strategia comune che ponga al centro la parola unione, per poter mantenere il ruolo fondamentale all’interno dello scenario geopolitico mondiale e favorire lo sviluppo economico. L’unione come leva per la crescita è la condizione primaria di un momento storico in cui sono tangibili alcuni fattori-chiave positivi come, su tutti, l’aumento del potere d’acquisto da parte delle famiglie. Ne abbiamo riscontrato un incremento dell’1,6% nel 2015, derivante dall’abbassamento dei prezzi dell’energia, e prevediamo che si mantenga attorno all’1,5% dal 2016 in poi.

Su questo tema, le rilevazioni dei dati macroeconomici dimostrano che i presupposti e le basi di un’ulteriore ripartenza ci sono. Abbiamo avuto in questo senso una conferma già a inizio anno attraverso l’indagine Ey European midmarket barometer 2015, nella quale l’87% delle società europee di medie dimensioni si dichiarano ottimiste rispetto ai futuri scenari economici. I dati del quadrimestrale studio Ey, Eurozone forecast, prevedono inoltre che il Pil dell’eurozona potrà attestarsi tra l’1,8% e l’1,9% a fine 2016. Il programma di Quantitative easing (Qe) condotto dalla Bce ha mostrato il vantaggio del coinvolgimento uniforme degli Stati membri, portando evidenti benefici, in particolare per quanto riguarda il tasso di cambio euro-dollaro. La stabilità di quest’ultimo, attestata intorno a 1,10$ per la maggior parte degli ultimi sei mesi, ha fornito così nuova linfa al trend delle esportazioni, che nella prima metà dell’anno hanno infatti raggiunto livelli di crescita non registrati dal 2011.

Ci aspettiamo una chiusura del 2015 che confermerà un segno + del 3,7%. Il Qe è un virtuoso esempio di come una scelta, proveniente da un’istituzione centrale, possa fare da traino non solo alle nostre esportazioni, ma anche agli investimenti che dall’estero sono giunti verso l’Europa. In particolare, infatti, l’Europa occidentale è stata in grado di attrarre, nel 2014, circa il 50% degli investimenti diretti esteri a livello globale (fonte: Ey European attractiveness survey 2015). Ma l’Europa può e deve andare oltre il ricorso a soluzioni tattiche di questo tipo e l’unico modo per farlo è lavorare a misura per la crescita a lungo termine. Indispensabile in questo senso una liberalizzazione interna dei mercati, resa ancora più necessaria a fronte della nuova economia digitale e una maggiore volontà di aprirci verso i Paesi oltre la zona euro. Occorre snellire ulteriormente la burocrazia, abbassare il costo dell’energia, migliorare i deficit dei singoli Paesi, proseguire sulla strada della flessibilità nel mercato del lavoro abbassando il tasso di disoccupazione, migliorare l’attrattività per gli investitori esteri.

Gli investimenti in infrastrutture dovranno essere adeguati, anche in termini di reti di trasporto a sostegno delle migrazioni interne, che viaggiano ormai a un tasso molto elevato. A tal proposito, la strategia Europe 2020 prevede: 75% degli occupati tra i cittadini in età lavorativa; 3% del Pil europeo da investire; riduzione del 20-30% delle emissioni di gas serra, 20% dell’energia totale da fonti rinnovabili, aumento del 20% dell’efficienza energetica; riduzione del tasso di abbandono scolastico sotto il 10% e almeno il 40% dei cittadini nella fascia 30-34 anni con un titolo di studio di terzo livello; lotta alla povertà e all’esclusione sociale, con almeno 20 milioni di persone a rischio. Per raggiungere questi obiettivi occorrono mercati finanziari solidi – e adeguatamente regolamentati – e nuovi strumenti di finanziamento come le public-private partnership.

Importante l’opportunità costituita dal buon uso dei fondi europei, disponibili a supporto di lavoro, ricerca, banda larga e trasporti. In conclusione, un rapido sguardo all’Italia: dopo tre anni di recessione, l’economia ha ripreso a crescere nella prima metà del 2015 dello 0,3% nel primo trimestre e dello 0,2% nel secondo (un incremento dello 0,5% a confronto con il secondo trimestre dello scorso anno). Ci aspettiamo che i consumi privati continuino a seguire i recenti trend positivi grazie ai benefici provenienti dal calo dell’inflazione, anche se le famiglie stanno probabilmente cercando di ripristinare i risparmi che sono stati erosi durante la crisi prolungata. Gli indicatori sono positivi e pongono buoni presupposti anche per il futuro, ma i dati non sono così consistenti per poterli analizzare senza inquadrare l’Italia in un discorso di comune politica europea dal quale non può prescindere.

Donato Iacovone, amministratore delegato di EY Italia e managing partner per l’area mediterranea

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