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Perché è Stx ad avere bisogno di Fincantieri (e non il contrario)

Di Michele Nones e Jean-Pierre Darnis

L’incontro del 1 agosto a Roma fra il ministro dell’economia francese e quelli dell’economia e dello sviluppo economico italiani ha riaperto il confronto fra i due governi sulla vicenda Fincantieri-STX France, anche se non ha portato ad un accordo. Adesso vi saranno altri due mesi per cercare una soluzione condivisa. In questo modo si riporta nella giusta prospettiva una discussione che, purtroppo, aveva assunto nell’ultima settimana i toni di uno scontro politico.

Si è rischiato così di minare il rapporto fra due importanti partner europei, proprio alla vigilia delle iniziative che dovrebbero, invece, rafforzare il processo d’integrazione europea e mettere in secondo piano, se non fare dimenticare, le ragioni industriali dell’operazione proposta.

I PUNTI DI FORZA DELL’ACCORDO PROPOSTO

Sul piano industriale la vicenda è quasi paradossale nella sua chiarezza:

1. Tutto il settore delle grandi navi da crociera è caratterizzato da lunghi cicli di produzione, alta intensità di manodopera, bassi ritorni sugli investimenti. Ma, mentre il leader mondiale, Fincantieri, grazie ai frequenti vari di nuove unità (soprattutto di medie dimensioni), può contenere i costi, anche assicurando ai fornitori continuità delle commesse, STX-France paga il prezzo della sua più limitata capacità produttiva. Nel suo super-cantiere può costruire le navi più grandi al mondo, ma in minore numero e maggiore tempo. Di qui l’interesse di avere un azionista industriale che operi nello stesso settore. Negli ultimi anni Fincantieri ha costruito 50 navi da crociera contro le 12 di STX-France. Nel fallimento del gruppo STX, il tribunale coreano ha scelto Fincantieri che con 80 milioni euro ha ottenuto il 66,6% del cantiere francese. Il valore complessivo è stato, quindi, stimato a 120 milioni di euro, una vera inezia. Ciò nonostante, non vi è stata praticamente competizione (tanto meno da parte di qualche investitore francese). Questo cantiere non è, quindi, una “gallina dalle uova d’oro”, anzi.

2. Fincantieri ha dimostrato, con l’acquisizione dei cantieri Marietta (navi militari) negli Stati Uniti nel 2009 e dei cantieri Vard (piattaforme off-shore) in Norvegia nel 2012 (per altro ex-STX), di essere in grado di assicurare la continuità produttiva ed occupazionale e, nel primo caso, di offrire le necessarie garanzie a livello di riservatezza, controllo sui trasferimenti tecnologici e sicurezza degli approvvigionamenti persino ad un Paese particolarmente attento e rigoroso come gli Stati Uniti.

3. La principale attività dei cantieri STX-France è nelle grandi navi da crociera. Solo limitatamente opera in campo militare, soprattutto per le grandi unità (navi d’assalto anfibio Mistral) che richiedono o sono più facilmente realizzabili in un grande bacino di carenaggio. La portaerei Charles De Gaulle è stata, invece, costruita nei cantieri di Brest. Quindi l’impegno in campo militare di STX-France è stato poco rilevante nella ricerca di un acquirente.

4. Tutti i principali Paesi, e la Francia fra i primi, hanno adottato specifiche normative per controllare gli acquisti esteri di imprese ritenute strategiche (in Italia denominata “golden power”). Su questa base, si possono fissare impegni che l’investitore e l’acquirente devono sottoscrivere e rispettare e che sono volti soprattutto a garantire il mantenimento delle capacità tecnologiche e industriali nel Paese interessato. In questo modo si possono consentire gli investimenti esteri, ma essi, se necessario, vengono sottoposti al controllo statale per tutelare gli interessi nazionali. In alcuni casi si è, ad esempio, limitata la partecipazione a determinati programmi militari “sensibili” al solo personale nazionale (una pratica molto diffusa negli Stati Uniti). Vi sono, di conseguenza, diversi ed efficaci strumenti per tutelare l’interesse nazionale, tanto è vero che, nel caso di STX-France, la terza unità della classe Mistral è stata costruita durante la fase della proprietà coreana.

5. Fincantieri ha, inoltre, una lunga tradizione di collaborazione con l’industria navale e la Marina francese. Nel quadro della collaborazione intergovernativa franco-italiana, ha partecipato alla costruzione delle fregate per la difesa aerea classe Orizzonte e di quelle multi-missione classe Fremm e, proprio in questo mese, è stata avviata la collaborazione per le unità di supporto logistico classe Vulcano. Quella franco-italiana è l’unica e continuativa esperienza in campo europeo. Fincantieri, quindi, è ben conosciuta e accettata come partner per i programmi militari francesi.

LE POSSIBILI EVOLUZIONI

Bisogna, quindi, tener presente che è più STX-France ad avere bisogno di Fincantieri che non Fincantieri di STX-France.

Il problema di STX-France non è quello di mettere insieme una cordata di investitori francesi, ma di trovare un partner di mestiere. Rischia altrimenti di fare la fine di Alitalia con la indimenticabile cordata dei “capitani coraggiosi”: a quanti si scandalizzano per il voltafaccia e per le argomentazioni del governo Macron rispetto al precedente Hollande, andrebbe ricordato che in Italia avvenne lo stesso nel 2008 con la staffetta Prodi e Berlusconi quando all’acquisto da parte di Air France si preferì una soluzione italiana in chiave nazionalista. Si è poi visto come questa soluzione velleitaria e fuori da ogni logica di mercato sia andata a finire. Anche allora si accamparono maldestramente e strumentalmente gli “interessi nazionali”, che non dovrebbero essere la foglia di fico dietro cui i politici di turno nascondono i loro interessi di “consenso sociale”, ma una vera tutela del proprio Paese sul piano strategico, principio che confligge con scelte meramente tattiche.

Anche in questo caso dovrà, quindi, essere trovato un azionista industriale, ma andrà messo in condizione di esercitare il suo ruolo-guida, al di là della forma con cui avverrà. Altrimenti il suo intervento non avrebbe alcun senso e non servirebbe a mettere in sicurezza STX-France. Questo è stato, fin dall’inizio, l’obiettivo dichiarato di Fincantieri. Un’ipotetica alternativa per i francesi potrebbe essere rappresentata da un partner tedesco, ma in questo caso potrebbero esservi problemi con la normativa europea anti-trust perché si creerebbe un monopolio europeo nel segmento delle grandi navi.

In ogni caso, il ruolo guida deve essere riconosciuto utilizzando tutti gli strumenti possibili: quota azionaria (eventualmente crescente nel tempo), presenza di altri soci, accordo sulla governance, piano industriale, impegni col governo. E la soluzione dovrà garantire l’efficienza industriale e rispondere alle preoccupazioni francesi sul piano politico, sociale e della sicurezza.

Se, ad esempio, l’investitore avesse inizialmente “solo” il 50% e il restante 50% fosse suddiviso fra due o più azionisti francesi, nessuno dubiterebbe sul suo ruolo di azionista di riferimento, soprattutto se sancito da un chiaro e forte accordo sulla governance. Più rischioso, invece, avere due soli azionisti al 50%. Basti osservare la società franco-italiana Atr (Airbus e Leonardo). Da anni si discute sullo sviluppo di un nuovo velivolo destinato a sostituire l’attuale e unico Atr 72 senza arrivare ad alcuna decisione perché i due azionisti hanno strategie divergenti: peccato che fra non molto l’invecchiamento del prodotto e la competizione internazionale lo stritoleranno, nonostante sia oggi una macchina di grande successo.

RIFLESSI SULLA SICUREZZA E SULLA DIFESA

Da anni governi e istituzioni europee indicano nella mancata concentrazione di molti settori della base tecnologica e industriale europea legata all’aerospazio, sicurezza e difesa, uno dei punti di debolezza e auspicano che si creino più forti gruppi in grado di competere a livello globale. In altri termini, i campioni non possono più essere “nazionali”, ma solo “europei”.

La strategia di Fincantieri di cominciare a creare un grande gruppo navale europeo va proprio in questa direzione. Ma anche attori francesi come Naval Group (gia Dcns) caldeggiano la concentrazione delle capacità europee. Il maggiore ostacolo è rappresentato dai diversi sistemi d’arma delle navi che anche nei programmi congiunti sono nazionali. Fare un’unica nave significa dover scegliere un unico sistemista e concordare un’unica politica esportativa.

In quest’ottica va considerata la positiva esperienza di Airbus che è stata basata proprio su una cooperazione industriale nel campo civile, con un forte nocciolo franco-tedesco e solidi finanziamenti a nuovi programmi. È stato più facile partire in questo modo, lasciando il settore militare sullo sfondo perchè più problematico. Ancora oggi, quando Airbus è diventata la prima società europea nel campo dell’aerospazio, sicurezza e difesa, il settore dei velivoli da combattimento francese e tedesco non è ancora stato concentrato.

In campo navale la prima tappa può, quindi, essere rappresentata da un nucleo franco-italiano nel campo delle navi da crociera. Partire con un obiettivo troppo ambizioso può far correre il rischio che il treno della collaborazione deragli se parte veloce. Per rilanciare questo schema di cooperazione sul navale civile bisognerebbe anche disinnestare entrambi i meccanismi politici francesi e italiani nei quali la maggioranza numerica societaria diventa un’affermazione nel dibattito politico interno: un’operazione tutt’altro che semplice.

(Articolo pubblicato sul sito dell’Istituto Affari Internazionali e consultabile anche a questo link)

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