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Cosa unisce (e cosa divide) Farage, Le Pen e Salvini

nigel farage, unione europea

(Pubblichiamo un estratto della tesi di laurea “L’euroscetticismo nelle istituzioni: il Front National, la Lega Nord e l’Ukip al Parlamento europeo”. Relatore: professor Sandro Guerrieri. Laurea magistrale in Storia delle istituzioni politiche italiane ed europee, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma)

Il 25 marzo 2017 l’Unione europea ha celebrato il 60° anniversario dei Trattati di Roma. Eppure, oggi l’Unione, come entità politica e come organizzazione sovranazionale, è al centro del ciclone, aspramente criticata e costantemente messa in discussione al punto da far dubitare della sua sopravvivenza.

Il dilagare di forze politiche apertamente populiste ha messo a dura prova, oltre al sentimento di appartenenza dei cittadini europei, anche il funzionamento dell’Unione stessa. Tra queste, in particolare, spiccano il francese Front National, l’italiana Lega Nord e il britannico United Kingdom Independence Party.

Gli ostacoli che tali forze hanno posto sul percorso d’integrazione variano a seconda del singolo partito e del momento storico. Il Front National, nato nel 1972 anche se concretamente attivo dal 1984, è la forza politica sulla scena da più tempo. Nell’arco di un trentennio, si è ritagliato lentamente il suo spicchio di emiciclo fino all’exploit del 2014, ma sempre partecipando, anche se in toni critici, alla definizione delle politiche europee in seno al Parlamento.

L’Ukip è la più recente di queste forze, ma nell’arco di un decennio è comunque riuscita ad affermarsi come primo partito della Gran Bretagna e a raggiungere l’obiettivo che costituiva la sua ragion d’essere: la Brexit. Eppure, giunto all’apice della popolarità, la formazione guidata da Nigel Farage, (nella foto), ha intrapreso una rapida discesa fino a scomparire dalla scena politica europea e nazionale.

La Lega Nord merita un discorso a parte: il revirement che ha compiuto nei confronti dell’Ue s’inquadra in un processo più ampio di ricerca della propria identità, che sin dalle origini ha oscillato tra la destra estrema e la destra di carattere moderato-istituzionale. L’arrivo di Matteo Salvini sembra aver risolto il dilemma identitario del partito, che ha imboccato con decisione la strada del populismo di estrema destra e inasprito i toni euroscettici.

Va detto, però, che la capacità di queste forze politiche di influenzare il processo d’integrazione si è storicamente manifestata più sul piano nazionale che all’interno del Parlamento europeo. Il che riconduce a un tema ben più ampio e discusso: quello del deficit democratico dell’Unione, da cui discende la scarsa incidenza del ruolo del Parlamento europeo.

Tuttavia, anche per ciò che concerne l’aspetto nazionale, cui si collega strettamente la capacità d’influenza futura dei tre partiti in questione, sono necessarie alcune considerazioni.

La prima riguarda l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Anche se la sua presidenza si sta rivelando non priva di contraddizioni, resta evidente che Trump è un populista e la sua vittoria ha rappresentato l’apice del successo dei populismi. Il suo arrivo alla Casa Bianca ha suscitato non poche preoccupazioni nell’Unione europea, dove si temono gli sviluppi di una collaborazione con colui che il 24 giugno 2016 ha definito la Brexit “a great thing”. La vittoria di Trump ha fatto sorgere il dubbio che l’avvento dei populismi fosse imminente ovunque, ma così non è stato: al contrario, proprio dal novembre 2016 le varie forze politiche populiste hanno iniziato quello che sembra un lento declino.

Nelle presidenziali austriache, per esempio, i cittadini hanno avuto la possibilità di scegliere tra un candidato del FPÖ, Norbert Hofer, e un candidato indipendente sostenuto dai Verdi, Alexander Van der Bellen. Per la prima volta, nessuno dei candidati era sostenuto dai due principali partiti austriaci, e i cittadini hanno scelto senza esitazioni il candidato più moderato.

In Francia, sebbene Marine Le Pen sia arrivata al ballottaggio nelle presidenziali e sia riuscita, con le successive legislative, ad accedere per la prima volta al Parlamento, gli elettori hanno preferito Emmanuel Macron: sicuramente non nuovo al mondo politico, ma che con il suo En Marche! sembra voler indicare una “terza via” tra populismo e partiti tradizionali. Con Macron, inoltre, i cittadini francesi hanno scelto un candidato che ha caratterizzato tutta la sua campagna presidenziale con un forte europeismo. Per spiegare un tale risultato è utile riprendere un sondaggio condotto dall’Institut Français d’opinion publique nell’aprile 2017, relativo alla fiducia nelle istituzioni. Dal sondaggio risulta che i cittadini francesi hanno più fiducia nelle istituzioni internazionali – prima fra tutte la Nato – rispetto a quelle nazionali. In particolare, è emerso che la sfiducia nell’Unione europea si attesta sul 59%: percentuale elevata, ma meno preoccupante se confrontata con la sfiducia verso il proprio governo, che riguarda ben il 68% degli intervistati. Inoltre, il 57% dei francesi ritiene che l’appartenenza all’Europa sia “une bonne chose”, tanto che per il momento la questione Frexit, cara a Marine Le Pen, sembrerebbe archiviata assieme alla leader sconfitta del Front National.

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