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Stabilità e primavere mancate

Un appello a passeggiare “democraticamente” sull´onda delle sollevazioni che infiammavano il mondo arabo e islamico contro regimi in piedi da decenni fu lanciato sull´internet cinese il 20 febbraio 2011. Fu l´inizio di quella che sarà chiamata la “rivoluzione dei Gelsomini”. Ne parlano in Cina, la primavera mancata (edizioni L´Asino d´oro), Sonia Montrella, Simone Pieranni, Alessandra Spalletta e Antonio Talia, giornalisti italiani che quei giorni li hanno seguiti da vicino e in prima persona.
Fu una rivoluzione non pervenuta: le passeggiate andarono praticamente deserte, nelle tre domeniche in cui gli appelli si susseguirono in rete. Allo stesso tempo Pechino attuò una delle più imponenti campagne di repressione degli ultimi dieci anni, forse la più grande dal 1989, anno del movimento di piazza Tian´anmen. Centinaia di cittadini, non necessariamente dissidenti, furono arrestati anche solo per aver fatto girare in rete gli appelli. 
Una reazione spropositata se paragonata a quanto realmente accaduto, ma, come ebbe da dire il professor Jean-Philippe Béja, sinologo e direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique – Centre d´Etudes et de Recherches Internationales (CNRS-CERI) di Parigi: “forse la dirigenza ha in mano informazioni che gli altri ignorano. Guardandolo con gli occhi della leadership cinese il rischio che manifestazioni ispirate al Medio Oriente potessero esplodere anche in Cina era serio”.
Alla base di tutto c´è il weiwen, abbreviazione di weichi wending, ossia, il “mantenimento della stabilità”. Obiettivo messo in discussione proprio nell´ultimo anno, quello che precede il congresso che una volta ogni decennio segna il passaggio di leadership.
Da marzo la stabilità interna ha subito non pochi scossoni. Le congetture e le indiscrezioni per l´assenza dalla scena pubblica di Xi Jinping, leader designato fattosi vedere nuovamente domenica dopo due settimane di silenzio ne sono una prova.
Sullo sfondo la lotta per le riforme e lo scandalo Bo Xilai, ex astro nascente della politica cinese, paladino della sinistra per comodità chiamata neomaoista e ormai in disgrazia, epurato per gravi motivi disciplinari.
Una vicenda che ha toccato anche Zhou Yongkang, capo degli apparati di sicurezza e alleato di Bo all´interno dei Comitato permanente del Pcc. Di contorno la condanna a morte (con sospensione) per Gu Kailai, moglie di Bo, accusata per l´omicidio dell´uomo d´affari britannico Neil Heywood. E il processo di questi giorni contro Wang Lijun. La sua fuga nel consolato statunitense di Chengdu, lo scorso febbraio, fu l´inizio di questi mesi convulsi della politica cinese. 
Ex super poliziotto a Chongqing, Wang guidò la campagna anticriminalità nella megalopoli feudo di Bo, segnata da un uso disinvolto delle procedure e della legge. Contro Wang sono state mosse le accuse di diserzione, corruzione, abuso di potere, e di aver manipolato la legge per fini personali. Accuse che l´imputato non ha respinto. Ma la parole fine su tutta la vicenda, ostacolo all´armonioso svolgimento del 18esimo Congresso, non è ancora stata scritta.
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