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Alla ricerca del vero

“Eravamo ragazzi e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”. Studiammo. Dopo aver studiato ci dissero: “Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!” Lo imparammo. Dopo averlo imparato ci dissero: “Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?”. Ci convinsero e lasciammo perdere.” Queste sono le prime righe di una riflessione che da qualche tempo circola su facebook e, in generale, in rete. Si tratta di un “pensiero” pubblicato sul social network più diffuso al mondo da un musicista di Bari che è passato di profilo in profilo e che ha portato, da parte dei tipi della “CaretteriMobili” alla pubblicazione di un libro intitolato “Breve storia di una generazione”.
La vicenda del post del rapper barese Torto Og è molto interessante perché è indubitabilmente un segno dei tempi. Persone di età diversa, che non hanno a che fare l’una con l’altra, a prescindere dalla loro identità politica, anzi, probabilmente molti di loro neanche sapevano chi fosse l’autore del post, hanno riprodotto sul loro profilo utente le parole del giovane barese. Dico subito che a me questo post non piace. Nonostante il tema lo senta molto vicino, a me e alla mia generazione, lo trovo retorico. In qualche maniera mi sembra scivolare sulla superfice del problema (la situazione dell’occupazione giovanile) senza andare in profondità. Si tratta, a mio avviso, di una sintesi che non riesce a restituire l’importanza che la questione ha per chi la vive nel proprio quotidiano. Non voglio dire però che sarei stato capace di fare di meglio, sia ben chiaro.
E mentre il cinema, ad esempio, ma anche la letteratura (con qualche rara eccezione) difficilmente riescono a suscitare qualche reazione, accade che nell’anarchia del web le cose vadano diversamente. Ci sono casi di video autoprodotti, di canali su you tube, che in relazione a quelle che sembrerebbero essere le loro potenzialità, ottengono dei feed back straordinari. Perché le forme più tradizionali di comunicazione artistica non riescano più, nella maggior parte dei casi, a colpire come una volta è uno di quei misteri insoluti a cui in tanti provano a dare risposta. Banalmente potrebbe essere un fatto legato ai temi che si affrontano, oppure, a mio modo di vedere, al modo in cui vengono raccontati. C’è ovviamente anche il contesto storico da tener presente. In realtà non mi sembra che, da un punto di vista delle modalità della comunicazione, la maggior parte dei video o dei testi autoprodotti differiscano, al di là degli strumenti a disposizione (dai budget alle competenze tecniche), dalle produzioni cinematografiche o letterarie contemporanee.
Chi è che ricorda il film di Virzì “Tutta la vita davanti”? Quando uscì l’argomento trattato era estremamente attuale, forse addirittura profetico. Il tema del precariato declinato nei suoi nodi più tristi, dalla perdita d’importanza del titolo di studio, al mondo incubotico e quasi irreale dei call-center, fino alle raccomandazioni che tutto smuovono. In realtà non ricordo le reazioni della critica al film, mi sembra che se ne parlò, ma, anche per quelle che erano le potenzialità dell’argomento in questione, non mi pare che fosse stato preso particolarmente sul serio. Per come la vedo io, anche qui, il problema del prodotto del regista livornese stava tutto nel linguaggio utilizzato. Da questo punto di vista “Tutti i santi giorni” nelle sale da fine Ottobre, nonostante le ingenuità e gli stereotipi ricorrenti, riesce ad arrivare molto più in profondità. Ci sono stati casi però, rimanendo nell’ambito della storia del cinema, di film, girati con pochi soldi, che sono diventati il manifesto di una generazione o che hanno suscitato dibattiti di altissimo livello culturale. Il film di Virzì ed i vari tentativi di emulazione (ricordo ad esempio “Generazione mille euro”) non sono di questo tipo.
Al di là dei problemi di elaborazione linguistica (estendo il termine a tutto il linguaggio impiegato nella comunicazione), internet, secondo me, offre qualcosa che la comunicazione ufficiale non è più in grado di offrire. C’è il discorso dell’interattività (la possibilità che viene concessa all’utente di commentare etc. etc.), ma credo che il fattore determinante sia che il prodotto di un ragazzo come Torto Og venga percepito, forse anche in virtù degli stilemi espressivi che usa, il linguaggio quotidiano e disincantato che conosciamo tutti, come autentico. Ed era anche questa la grandezza dei grandi autori colti di una volta. Non si può rimanere indifferenti alle verità di un film come Amarcord (chiaramente l’arte colta va decodificata, era faticosa, e non tutti hanno voglia di usufruirne) perché si ha chiaramente la sensazione che l’autore, in qualche modo misterioso, parli di noi, delle nostre emozioni più autentiche e inafferrabili. Secondo me è questa autenticità che oramai tutti inseguono senza trovarla. I tentativi ufficiali in questa direzione però, a me perlomeno, paiono sempre stonati (lasciamo perdere poi il discorso reality), mentre, anche in virtù del mezzo utilizzato, il post del rapper barese risulta essere autentico. Nonostante, sempre di più, le nuove generazioni siano plasmate dalla cultura di massa, nonostante la ricerca dell’autenticità sembri passata di moda, la verità colpisce ancora, quale che sia l’abito che indossa.
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