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I Bric cominciano a sgretolarsi

Pubblichiamo un articolo uscito sul sito dell’Ispi

Brasile, Russia, India e Cina (e più in generale i cosiddetti “emergenti”) hanno una peculiarità: comunque vada la loro economia, qualunque evoluzione prenda la loro politica interna ed estera sono per noi, per l’Occidente, un fattore di preoccupazione.

Negli anni ’80 e ’90 erano le loro crisi finanziarie (prima il Brasile, poi la Russia e l’Asia) a mettere periodicamente in subbuglio i nostri mercati. A partire dal 2000 i loro primati hanno via via scatenato la “sindrome del sorpasso”: quello della Cina sugli Usa; del Brasile su Italia e Gran Bretagna; dell’India sul Brasile; sino al grande sorpasso atteso per il 2015 quando la ricchezza prodotta dal blocco degli emergenti supererà quella delle economie avanzate.

Poi, con le prime “prove generali” di coordinamento politico fra questi paesi (i vertici dei capi di Stato, l’ingresso nel G20, le prese di posizione comuni su Libia e Palestina) è emersa la preoccupazione che nella Babele multipolare che si andava delineando, a un Occidente diviso (l’Europa al suo interno; l’Europa vs gli Stati Uniti) potesse contrapporsi il blocco coeso dei Bric, forte e determinato grazie al nuovo potere economico.

Al di là di vaghe dichiarazioni ufficiali nei vertici, la temuta coesione non si è però palesata; le differenze profonde – due regimi autoritari vs due democrazie consolidate: due grandi esportatori di materie prime vs due paesi grandi importatori – e i fattori interni di tensione sono risultati predominanti sia in ambito politico che in quello economico (basti pensare alla “dialettica” Indo-Cinese in Asia o alle crescenti tensioni commerciali fra Cina e Brasile).

Pur poco coesi, pur parlando lingue diverse, i Bric hanno comunque contribuito alla “Babele della governance” mondiale; le loro posizioni, con alleanze variabili con gli altri emergenti, hanno infatti giocato un ruolo significativo nel fallimento dei negoziati mondiali su commercio e ambiente e nell’alimentare il crescente contrasto fra Fmi ed Europa sul ruolo della politica di austerità per usci-re dalla crisi del debito.

Emerge ora una nuova preoccupazione. Mentre l’economia mondiale si avvia a chiudere il 2012 con risultati addirittura peggiori di quelli del 2009, l’annus horribilis, anche nei Bric si profilano pericolosi scricchiolii: la crescita cinese rallenta; quella del Brasile e della Russia si è dimezzata; in India passa dal 9 al 6 per cento.

Arretramenti non drammatici per i nostri standard, ma certamente preoccupanti per paesi con un’intensa dinamica demografica (Russia esclusa) e con quota elevata della popolazione ancora sotto la soglia di povertà: paesi che vedono quindi nella crescita sostenuta la principale garanzia di consenso sociale.

La decelerazione – scontata e ampiamente prevista dalle teorie economiche – rischia così di generare instabilità interna (con segni già evidenti in Russia e Cina) e crescenti difficoltà politiche che in India sono già da tempo causa e conseguenza del rallentamento economico. Difficoltà e tensioni che, alimentando nazionalismi politici ed economici, non favoriscono certo la coesione politica dei Bric e complicano ulteriormente il quadro mondiale.

Ne vediamo un chiaro esempio nel Mar Cinese meridionale dove la nuova assertività cinese sta surriscaldando i rapporti con i principali paesi dell’area (e con gli Usa): ancora in Asia, dove l’enfasi russa sulla nuova Unione euroasiatica rischia di affollare ulteriormente il Grande Gioco per la definizione delle sfere d’influenza sulla regione; o, in ambito economico, con l’assertività brasiliana nella cosiddetta “guerra delle valute” e con il riemergere di istanze protezionistiche.

Ci preoccupano se hanno crisi finanziarie; se crescono a ritmi sostenuti; se rallentano e divengono instabili. Speriamo riprendano a crescere: impareremo a convivere con la sindrome da sorpasso ma le nostre imprese in affanno potranno perlomeno contare su mercati meno asfittici di quelli domestici in attesa della ripresa che, prima o poi, arriverà.

Paolo Magri è vice-presidente esecutivo e direttore dell’Ispi

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