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Un debito è per sempre

La verità che non si può dire, ma al limite sussurrare, è che i nostri debiti siamo destinati a non pagarli. Ciò non vuol dire che ci saranno rimessi. Tutt’altro. Li pagheremo cari, sia come società sia come individui, in ratei annuali permanenti.

Gli scenari di raffinati analisti proiettano già il debito degli stati più esposti fino al 2060, e lo immaginano in costante crescita, sempre sull’orlo della bancarotta, mai redimibile. Ormai gli economisti non pensano più a come liberarsi del debito, ma a come renderlo sostenibile. Ossia finanziabile. E poco importa da dove arriveranno i soldi.

L’ipoteca del nostro debito, che non a caso è insieme pubblico e privato, è ormai la declinazione economica di uno stato storico e psicologico. Riguarda le società ricche, che hanno voluto e vogliono vivere al di sopra delle proprie possibilità, e riguarda gli individui, che hanno voluto e vogliono sempre di più. Tale fardello è destinato a segnare il nostro futuro, dove la parola sacrificio, svuotata del suo portato simbolico e spirituale, verrà sillabata dalla gran parte dei bambini poco dopo aver imparato a dire mamma e papà. Nascono già indebitati, cresceranno e moriranno indebitati. Questo nel migliore dei casi, perché vorrà dire che gli stati saranno riusciti ad avere credito. Ma a che prezzo?

I dati aggregati fanno tremare le vene dei polsi anche ai più volenterosi. A fine 2011 la somma degli stock di debito di Eurozona, Stati Uniti e Giappone superava abbondantemente i 36.000 miliardi di dollari (e non parliamo dei debiti dei privati). L’Eurozona, secondo Eurostat, a fine 2011 veleggiava verso l’87,2% del Pil. Poco più di 10.000 miliardi di dollari di debiti, di cui circa un quarto sono italiani. E la tendenza è al rialzo. I giapponesi hanno varato oggi l’ennesimo piano di stimolo della loro storia – a debito – per rianimare la loro economia. Gli americani, dopo essersi impelagati col fiscal cliff stanno seriamente discutendo dell’opportunità di far coniare una banconota da mille miliardi di dollari per consentire al Tesoro di infischiarsene del tetto del debito. Entrambi stampano moneta come se nulla fosse. Monetizzano il debito, come si dice.

L’Europa si interroga e prende tempo. Di fronte alla politica, divisa fra chi vuole imitare il Giappone e gli Usa e chi i tedeschi, si erge la voce unica della Banca centrale. “E’ ormai evidente- ha ammonito di recente il presidente Mario Draghi – che la posizione debitoria di molti governi non era sostenibile e che la governance dell’euro vada migliorata. Concordo sul fatto che ci sia un duro prezzo da pagare, ma è inevitabile. Ho sempre detto che l’unico modo per mitigare l’impatto di questo consolidamento fiscale, che provocherà una contrazione nel breve periodo, è mettere mano alle riforme strutturali per migliorare la competitività e l’export, al fine di creare lavoro e crescita”. In pratica Draghi dice all’Europa di fare quello che ha fatto la Germania negli ultimi dieci anni, e puntare sull’export per rilanciare l’economia (con tutto quel che ne segue per mercato di lavoro, spesa pubblica, etc).

Ma il debito? Anche qui, in Europa, nessuno pensa di poterlo ripagare. La grande operazione che si è consumata nel corso del 2012, e di cui Draghi è stato l’alfiere, ha avuto come scopo di renderlo sostenibile. Leggi credibile. Leggi vendibile.

Quindi i debiti sono destinati a crescere, e la dipendenza dai nostri creditori pure. E poiché un debito corrisponde a un’obbligazione, a un dovere, è chiaro a tutti che ad ogni aumento del debito corrisponde una diminizione della nostra libertà. Questo è il prezzo che stiamo pagando, e che pagheremo anche in futuro.

Saremo liberi di indebitarci (fiché avremo credito). E basta.

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