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Il partito nordamericano in conclave. Nomi, ambizioni e velleità

C’è una voce che gira, da qualche settimana, in Vaticano. Il nuovo Papa, probabilmente, non sarà un cardinale nordamericano. E gli stessi porporati sembrano esserne consci. “Un pontefice statunitense, proveniente dalla superpotenza americana, incontrerebbe molti ostacoli nel presentare un messaggio spirituale al resto del mondo”, ha dichiarato pochi giorni fa l’arcivescovo di Washington Wuerl. Un’idea, quest’ultima, rafforzata dalle parole di Thomas Reese, professore presso la Georgetown University, secondo il quale nel caso di un’elezione di un Papa americano “la gente penserebbe che la sua elezione sia stata combinata dalla Cia o da Wall Street”.

Al di là della nazionalità del prossimo Papa c’è, però, una certezza. In conclave sarà difficile prescindere da quello che Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, ha chiamato il “partito nordamericano”. Secondo Franco, infatti, “decidere il prossimo Papa senza concordarlo con il manipolo dei cardinali statunitensi, ai quali vanno aggiunti i due canadesi, significherebbe sottovalutare uno degli episcopati più potenti ed influenti nella Chiesa, e non solo per ragioni finanziarie”.

Timothy Dolan, il “papabile” per eccellenza
Secondo gli osservatori, la “punta di diamante” della pattuglia di cardinali statunitensi sarebbe l’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Sessantatrè anni, figlio di un ingegnere aeronautico, Dolan è il “papabile” per eccellenza secondo il celebre vaticanista americano John Allen. Ed è famoso soprattutto per i suoi scontri, in particolare sulla riforma dell’assistenza medica, con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Un comportamento, quello di Dolan, che, secondo Massimo Franco, “ha costretto più volte la Santa Sede ad attenuare le proprie aperture di credito verso la Casa Bianca per tenere conto degli umori della conferenza episcopale statunitense” che ha in Dolan il proprio punto di riferimento. Per chi volesse incontrare l’arcivescovo di New York, oltre che prendere un appuntamento con il proprio segretario, potrebbe recarsi alle partite casalinghe dei New York Yankees e cercare un signore sulla sessantina con indosso una maglia della squadra locale di baseball.

Sean O’Malley, il cappuccino di Boston
Sean O’Malley è, invece, il cappuccino più famoso negli Stati Uniti. Arcivescovo di Boston, O’Malley ha come “nemico” numero uno l’ex Segretario di Stato e ora decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano. Nel 2010, infatti, mentre Benedetto XVI stava portando avanti la propria opera di “pulizia” nella Chiesa imprimendo una maggiore severità e trasparenza in materia di pedofilia, O’Malley rilasciò una durissima intervista proprio contro Sodano, accusandolo di avere ostacolato per lungo tempo l’opera di pulizia intrapresa dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. E’ il vaticanista Paolo Rodari su Repubblica ad indicare le caratteristiche che fanno del cappuccino di Boston un candidato al Papato: “i cappuccini sono vicini al popolo, non hanno una mentalità clericale, puntano molto sulla collaborazione con i laici, hanno un modello di vita semplice che cattura”. In pratica, conclude Rodari, “hanno tre caratteristiche tagliate per una Chiesa che ha pagato dazio per gli scandali”.

L’importanza del comunicare
Ai tempi di internet e twitter, i cardinali americani sono dei “maestri” di comunicazione. Sia Dolan che O’Malley sono tra i porporati più attivi su twitter e ancora ieri sera l’arcivescovo di New York si dilettava a cinguettare invitando i fedeli ad unirsi a lui nella preghiera. Non è un caso, quindi, se i porporati statunitensi hanno deciso di portare con sé a Roma l’intero staff dell’ufficio stampa della Conferenza episcopale. A Sister Mary Ann Walsh, una suora a capo della comunicazione dei vescovi USA, il compito di coordinare l’immagine dei cardinali americani. Ogni giorno, infatti, presso il Collegio nordamericano, dove studiano i seminaristi che provengono dagli Stati Uniti, si tengono delle conferenze stampa che vedono per protagonisti, a turno, i vari cardinali. Conferenze che, però, sono “alternative” ai briefings di padre Federico Lombardi, dal momento che spesso si svolgono in concomitanza. E questo non deve essere piaciuto alla Santa Sede tanto che proprio ieri nel corso delle Congregazioni generali i cardinali americani sono stati invitati a tenere un atteggiamento più cauto. Di qui, quindi, la decisione di annullare le future conferenze stampa e, come riportato da Sister Walsh, “la decisione di non fare interviste”.

Ma cosa non è piaciuto, in realtà, alla Santa Sede? I cardinali americani, di certo, non hanno violato alcun segreto con riferimento alle discussioni in corso. Ma di certo non deve essere piaciuta la facilità e la spigliatezza con le quali i vari cardinali hanno parlato della necessità di riformare la Curia romana, hanno chiesto chiarezza sullo scandalo Vatileaks e hanno fatto forti pressioni per una “tolleranza zero” sulla pedofilia.

 

L’ombra della pedofilia
E’ stata definita, da alcuni, come l’arma impropria per colpire i cardinali nordamericani. Ma non c’è dubbio che un peso sul Conclave lo giocheranno proprie le accuse di avere coperto, in passato, casi di abusi sessuali. L’ex arcivescovo di Los Angeles, Roger Mahony, è per questo motivo sotto l’occhio del ciclone. Associazioni cattoliche d’oltreoceano hanno presentato una petizione, ripresa in Italia dal settimanale paolino Famiglia Cristiana, per chiedere a Mahony di non presentarsi in Conclave. Il porporato americano ha deciso invece di tenere duro e forte della sostegno di Charles Scicluna, che in passato ha ricoperto la carica di “pubblico ministero” vaticano contro la pedofilia (“Mahony molte volte veniva a chiedermi consigli su cosa fare. Questi porporati al conclave porteranno una grande consapevolezza” ha dichiarato il monsignore), ha twittato qualche giorno fa “parto per Roma”. E le telecamere di tutto il mondo, ovviamente, hanno indugiato parecchio sull’incontro tra Mahony e Benedetto XVI in occasione dell’addio di quest’ultimo. Ma l’ombra della pedofilia si riversa anche su altri porporati. E soprattutto sul “papabile” Timothy Dolan, che è stato chiamato a testimoniare prima della sua partenza per Roma su casi di abusi sessuali verificatisi nella diocesi di Milwaukee.

Conclave veloce? No, grazie!
Con il motu proprio Benedetto XVI ha conferito al collegio cardinalizio la possibilità di anticipare la data del conclave. Un’ipotesi, quest’ultima, particolarmente auspicata dai cardinali di curia, desiderosi di vedere salire al soglio di Pietro un proprio esponente. C’è, però, chi non ha nessuna fretta di entrare nella clausura della Cappella Sistina e della residenza Santa Marta. Tra questi, in particolare, i cardinali statunitensi che stanno cercando di prolungare il più possibile la durata delle Congregazioni generali. Significative le parole dell’arcivescovo di Chicago Francis George: “Non è un problema di regole: se anche tutti i cardinali elettori fossero già a Roma, io non vorrei entrare in conclave ora. Per una semplice ragione: non siamo ancora pronti”. I cardinali americani vogliono conoscere meglio i propri “colleghi” (si dice che negli ultimi tempi abbiano ridotto notevolmente le proprie visite a Roma), vogliono capire chi sia realmente coinvolto nello scandalo Vatileaks. Una conferma viene dalle parole del cappuccino O’Malley: “ci sono ancora troppe questioni da discutere e molte persone da conoscere”. Ma a cosa puntano veramente i porporati nordamericani?

Un Papa americano
Secondo un articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera, è all’elezione di un Papa statunitense che puntano questi cardinali. Alcuni, in realtà, come si usa fare in questi casi, si sono tirati fuori. Ad un giornalista che prospettava a Dolan la possibilità che gli altri cardinali votassero per lui, l’arcivescovo di New York ha risposto: “no, in conclave i matti non possono entrare”. Anche il cappuccino O’Malley sembra tirarsi indietro, dicendo che “non siamo Alice nel paese delle meraviglie”. Stando al Corriere della Sera, quindi, i porporati americani starebbero cercando di “tirare la volata” all’arcivescovo di Washington Donald Wuerl, buon conoscitore sia dell’italiano che della curia romana. Un cardinale, Wuerl, che ben ha figurato in occasione del sinodo di ottobre, dove in qualità di relatore generale, ha avuto il compito di aprire e chiudere le riunioni, affermando: “La Chiesa di oggi somiglia a quella delle origini, il tema più importante è la missione spirituale della Chiesa”. Già, proprio quel Wuerl secondo il quale un Papa statunitense incontrerebbe ostacoli di natura geopolitica.

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