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Giappone e Germania vincono la guerra dei trent’anni

Ci sono voluti trent’anni perché la guerra del credito, che ci ha condotto oggi agli albori di un’altra guerra – quella del debito – spiegasse i suoi effetti globali.

Si  è trattata di una guerra mondiale, a tutti gli effetti, sorretta da un’ideologia dogmatica – la supremazia del mercato finanziario – e combattuta con armi micidiali, a cominciare dalle liberalizzazione dei movimenti di capitale e la disgregazione del potere dei vecchi stati nazionali.

Nella dogmatica rientrano altre teorie tuttora mainstream: l’indipendenza della banche centrali, la nocività dei deficit pubblici, la nozione stessa di crescita, teoricamente indefinita. Tutto l’armamentario che la dottrina economica etichetta come “monetarista”, anche se nella realtà le sfumature sono parecchie.

Bene. Dopo trent’anni possiamo tirare le somme. La prima conclusione è di sistema: la crisi iniziata nel 2007 e tuttora in corso, ha mutato la natura stessa della contesa: quella che prima era una ricorsa tesa all’allargamento indefinito del credito bancario, in nome di un arricchimento collettivo, è diventata una rincorsa altrettanto forsennata verso il rientro da tali crediti in nome della salvezza collettiva.

La guerra del debito.

Adesso gli stati, e quindi i popoli sono chiamati a restituire quei crediti ai quali si sono abbeverati per anni, dopo aver disimparato a fare senza. Una potenziale tragedia.

Ma che guerra sia stata, quella del credito, non c’è dubbio. Infatti ci sono vincitori e vinti.

Per identificarli ci siamo serviti di un paper diffuso nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia, dove si analizza la ricchezza delle famiglie dei principali paesi Ocse dal 1980 ad oggi. Quale miglior criterio, in un conflitto per la ricchezza, che misurare quella raggiunta dalle popolazioni nel corso del tempo?

“Negli ultimi trent’anni – scrive Bankitalia – l’importanza degli asset finanziari è cresciuta in tutti i paesi Ocse”.

Il paper individua all’incirca sei cicli. Il primo, iniziato negli “tranquilli anni ’80″, quando, salvo il Giappone, negli altri paesi la crescita degli asset fu costante e senza scosse. Il secondo ciclo è quello del boom dei prezzi degli asset, a partire dalle seconda metà degli anni ’90, collegata alla bolla di internet. Quindi, ciclo numero tre, lo scoppio della bolla e la distruzione delle ricchezze che ne seguì. Poi il recupero – quarto ciclo – fra il 2003 e il 2007. Quindi di nuovo il crollo – quinto ciclo – culminato col collasso di Lehman Brothers, a cui è seguito il ciclo numero sei, ”contraddistinto da vari trends”. Le scosse d’assestamento dopo il terremoto.

A partire da fine 2011, scrive ancora Bankitalia ”gli asset finanziari delle famiglie di Francia, Germania e Giappone hanno recuperato il livello raggiunto nel 1999, mentre negli altri paesi sono sotto i picchi dell’era della bolla internet”.

Francia, Germania e Giappone, quindi. Ma mentre la Francia è impelagata in una crisi strutturale dagli esiti imprevedibili, Giappone e Germania sono gli unici che entrano nella guerra del debito con tutte la carte in regola. Sono loro i veri vincitori della guerra dei trent’anni.

Alcuni dati raccolti nello studio autorizzano questa conclusione. Nel trentennio considerato gli asset finanziari sono risultati sempre in crescita in Francia, Germania e Giappone. Quest’ultimo, pure se un soffio sotto gli Usa, ha visto cresce il valore dei propri asset fino a 3,2 volte il Pil, nel 2011, quando nel 1980 valevano poco più della metà. La crescita, negli Usa è stata molto meno. Nel 1980 gli asset finanziari americani valevano già quasi 2,5 volte il Pil e a fine 2011 erano arrivati a 3,3 volte.

Il dato del Giappone somiglia di più a quello della Francia, che nel 1980 aveva asset finanziari pari a una volta il Pil e che ha chiuso il trentennio con un valore doppio. Ma con una profonda differenza: mentre la Francia ha una posizione netta con l’estero negativa, più o meno il 14% del Pil, il Giappone ha una posizione netta con l’estero positiva che vale oltre il 50% del Pil.

Anche la Germania ha chiuso il trentennio col raddoppio del propri asset finanziari, passati da 0,9 volte il Pil a 1,8. Tutto questo con conti esteri floridi e basso indebitamento pubblico.

La Germania, inoltre, chiude il ciclo con un tasso di risparmio netto che è al top della classifica, praticamente lo stesso da oltre 17 anni, intorno al 12%, più o meno come la Francia.

Per l’Italia, dal punto di vista del risparmio, gli ultimi diciassette anni sono stati una tragedia. Partivamo da circa il 18% nel 1994 e siamo crollati sotto il l’8%, al livello della Spagna e delle “cicale” inglesi.

Chiude il cerchio l’analisi della ricchezza netta, ossia del saldo fra asset e debiti.

Nel 1980 le famiglie tedesche avevano debiti per poco più di 0,4 volte il Pil, quelle giapponesi per 0,6 volte.

Nel 2011, dopo aver raggiunto il picco di indebitamento nel 1999 (al top del ciclo rialzista degli asset che abbiamo visto) il debito delle famiglie tedesche ha iniziato a declinare costantemente fino ad avvicinarsi a quello del 1980.

Un andamento del tutto simile a quello delle famiglie giapponesi, che dopo aver toccato 0,8 il Pil a fine anni ’90, hanno visto il loro indebitamento declinare costantemente fino quasi al livello del 1980.

Sono gli unici due paesi del confronto considerato che si trovano in questi condizioni.

Per fare il confronto con quanto è successo in Italia, basti considerare che nel 1980 le famiglie italiane avevano debiti inferiori a o,1 volte il Pil.

Il primo incremento significativo si registra alla fine degli anni ’80, nel 1987, quando i debiti arrivano a 0,2, praticamente raddoppiano, in coincidenza guarda caso con uno dei nostri boom immobiliari. Da quel momento in poi i nostri debiti crescono senza sosta.

Nel 2011 le famiglie italiane raggiungono un livello di indebitamento sul Pil pari a quello tedesco. In pratica oltre 0,4 volte il Pil, il più basso fra i paesi considerati. Con la differenza che mentre il debito tedesco appare in calo, quello italiano è inclinato al rialzo.

Per tirare le somme usiamo il parametro della ricchezza netta, quindi senza i debiti.

Quella giapponese è in crescita costante dal 1980 e appare pressoché raddoppiata in rapporto al Pil. Lo stesso vale per quella tedesca. Quella Usa, sebbene abbia raggiunto livelli più elevati (ma nel 2011 è inferiore a quella giapponese) ha un andamento molto più erratico, probabilmente a causa della circostanza che gran parte della ricchezza finanziaria americana sia investita in azioni, quindi più soggette al ciclo economico, mentre quella giapponese è più concentrata sui depositi bancari.

Noi italiani abbiamo raggiunto il picco della ricchezza finanziaria netta nel 1999, come gli altri, e da allora abbiamo conosciuto solo un costante declino. Nel 1980, grazie anche al livello pressoché nullo di indebitamento, le famiglie italiane gareggiavano col Giappone e gli Usa per ricchezza netta. Oggi ci avviciniamo sempre più alla Spagna.

La nostra guerra, noi, l’abbiamo persa.

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